Ordinanza n. 53/99

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ORDINANZA N. 53

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA         

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI    

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, settimo (recte: quinto) comma, della legge 26 ottobre 1957, n. 1047 (Estensione dell’assicurazione per invalidità e vecchiaia ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni), promosso con ordinanza emessa il 5 marzo 1997 dal Pretore di Treviso sul ricorso proposto da Nichele Guido contro l’I.N.P.S., iscritta al n. 324 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di costituzione dell’I.N.P.S.;

udito nell’udienza pubblica del 12 gennaio 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri;

udito l’avvocato Carlo De Angelis per l’I.N.P.S.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da Guido Nichele contro l’INPS, il Pretore di Treviso, con ordinanza emessa il 5 marzo 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, settimo (recte: quinto) comma, della legge 26 ottobre 1957, n. 1047 (Estensione dell’assicurazione per invalidità e vecchiaia ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni), nella parte in cui non consente l’accreditamento dei contributi versati dal lavoratore che, "dopo aver svolto abitualmente e direttamente attività manuale di coltivazione del fondo con i propri familiari per la maggior parte dell’anno, non risulta essere presente nel nucleo familiare al 31 dicembre dell’anno cui si riferiscono i contributi";

che il giudice a quo afferma la rilevanza della questione sollevata;

che, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il Pretore di Treviso prospetta il contrasto con l’art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento derivante da una circostanza - l’emigrazione a scopo lavorativo - "causata da scarsità di lavoro in Italia e non riconducibile quindi ad un atto meramente volitivo del ricorrente";

che, in merito al prospettato contrasto con l’art. 38 della Costituzione, il giudice a quo osserva che la disposizione impugnata precluderebbe senza ragione la computabilità - ai fini dell’accredito dei contributi sulla singola posizione assicurativa - di periodi di lavoro effettivamente prestati dall’interessato e per i quali i contributi sono stati versati;

che nel giudizio davanti a questa Corte si é costituito l’INPS, per chiedere che la questione sollevata dal Pretore di Treviso sia dichiarata infondata;

che, ad avviso dell’INPS, la censura formulata dal giudice a quo non può essere circoscritta all’esclusione della computabilità di periodi di lavoro prestati da coloro che non risultavano presenti nel nucleo familiare al 31 dicembre dell’anno cui si riferivano i contributi, non garantendo la disciplina introdotta dall’art. 5 della legge 26 ottobre 1957, n. 1047, la corrispondenza all’effettivo impiego di mano d’opera della "individuale spettanza di contributi giornalieri", e dipendendo l’attribuzione di questi ultimi dall’applicazione dei criteri di priorità fra i componenti la famiglia stabiliti dalla medesima legge.

Considerato che, in ordine alla fattispecie concreta sottoposta alla cognizione del giudice rimettente, dall’ordinanza di rimessione si desume soltanto che oggetto del procedimento civile a quo sarebbe la liquidazione della pensione del ricorrente, emigrato a scopo lavorativo nell’anno 1959;

che il giudice a quo, in merito alla fattispecie concreta sottoposta al suo esame, non fornisce alcun elemento ulteriore, omettendo, in particolare, ogni riferimento all’iscrizione del ricorrente negli elenchi di categoria, alla sua collocazione nel nucleo familiare ai fini dell’applicazione dei criteri di priorità di cui ai primi tre commi del denunciato art. 5, alla maturazione dei requisiti di età e di anzianità contributiva, all’eventuale presentazione, da parte dell’interessato, a norma dell’art. 11 della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti penisonistici dei lavoratori autonomi), della richiesta di riscatto dei contributi non accreditati per effetto del secondo comma dell’art. 3 e dell’impuganto art. 5 della legge n. 1047 del 1957;

che il giudice a quo non si sofferma sulla perdurante applicabilità della disciplina impugnata, abrogata dalla legge 9 gennaio 1963, n. 9 (Elevazione dei trattamenti minimi di pensione e riordinamento delle norme in materia di previdenza dei coltivatori diretti e dei coloni e mezzadri), nè - in presenza di una giurisprudenza di merito sul punto non univoca - fa cenno agli effetti eventualmente derivanti, sul piano dell’applicabilità della norma censurata al caso dedotto nel giudizio principale, dall’art. 4-ter del decreto-legge 15 gennaio 1993, n. 6 (Disposizioni urgenti per il recupero degli introiti contributivi in materia previdenziale) come modificato dalla legge 17 marzo 1993, n. 63 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 gennaio 1993, n. 6, recante disposizioni urgenti per il recupero degli introiti contributivi in materia previdenziale);

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’insufficiente motivazione dell’ordinanza di rimessione sotto il profilo della adeguata descrizione della fattispecie concreta comporta l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, giacchè impedisce di valutarne la rilevanza nel procedimento a quo (ex plurimis, ordinanze nn. 129 e 69 del 1998; 151, 69 e 62 del 1997);

che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora le norme oggetto di censura siano abrogate o comunque modificate, sui giudici a quibus grava un onere di motivazione rigoroso e pieno, dovendo il rimettente indicare con sufficiente esaustività i concreti elementi della fattispecie sottoposta al suo esame e specificare i motivi della perdurante rilevanza della questione (da ultimo, ordinanze nn. 343 e 79 del 1998; 419 del 1997);

che i rilevati vizi della motivazione impediscono alla Corte qualsiasi controllo sul requisito della rilevanza della questione sollevata ed anche sull’avvenuto apprezzamento di tale condizione di proponibilità da parte del giudice a quo;

che, pertanto, la questione dev’essere dichiarata manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, quinto comma, della legge 26 ottobre 1957, n. 1047 (Estensione dell’assicurazione per invalidità e vecchiaia ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Treviso con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 4 marzo 1999.