SENTENZA N.338
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
- Prof. Giuliano VASSALLI,Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana l’11 giugno 1997, recante "Criteri per le nomine e designazioni di competenza regionale di cui all’art. 1 della legge regionale 28 marzo 1995, n. 22. Funzionamento della Commissione paritetica (articolo 43 dello Statuto siciliano). Prima applicazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Disposizioni in materia di indennità e permessi negli enti locali. Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, notificato il 19 giugno 1997, depositato in Cancelleria il 26 successivo ed iscritto al n. 43 del registro ricorsi 1997.
Udito nell’udienza pubblica del 16 giugno 1998 il Giudice relatore Fernanda Contri;
udito l’Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il ricorrente.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso del 19 giugno 1997, ritualmente notificato e depositato, il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha impugnato - per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, e con l’art. 2, comma 1, lettera g), numeri 1 e 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, in relazione ai limiti posti dall’art. 14 dello statuto speciale - l’art. 11 della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana l’11 giugno 1997, recante "Criteri per le nomine e designazioni di competenza regionale di cui all’art. 1 della legge regionale 28 marzo 1995, n. 22. Funzionamento della Commissione paritetica (articolo 43 dello Statuto siciliano). Prima applicazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Disposizioni in materia di indennità e permessi negli enti locali. Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29".
Il Commissario dello Stato censura l’art. 11 - di contenuto eterogeneo rispetto alle altre disposizioni della predetta legge regionale - osservando che il legislatore regionale, in virtù della potestà esclusiva riconosciutagli dallo statuto, ha introdotto "ex abrupto una prima asserita applicazione dei principi della legge n. 421 del 1992, senza considerare che non sono ancora state emanate le norme di raccordo necessarie per consentire un passaggio graduale dal vecchio al nuovo regime".
Nel ricorso si sottolinea la peculiarità della disciplina siciliana del pubblico impiego, ed in particolare della dirigenza pubblica, che la legge impugnata si propone di riformare radicalmente. Al riguardo, si rileva che da un esame comparato delle varie figure professionali - dell’ordinamento regionale e dell’amministrazione statale - "emerge inequivocabilmente che le funzioni svolte dai ’dirigenti’ e dai ’dirigenti superiori’, ai sensi, rispettivamente, degli artt. 13 della legge regionale n. 7 del 1971 e 9 della legge regionale n. 41 del 1985, non possono considerarsi dirigenziali, essendo piuttosto riconducibili a quelle proprie dei funzionari amministrativi di 8° e di 9° livello dello Stato". Richiamando la sentenza di questa Corte n. 12 del 1980, il ricorrente rileva inoltre - sempre con riferimento all’assetto della dirigenza che la denunciata disposizione si propone di riformare - che anche le attribuzioni dei funzionari di vertice dell’amministrazione regionale e i direttori preposti alle singole direzioni regionali istituite presso ogni assessorato "sono notevolmente diverse ed inferiori rispetto a quelle proprie dei dirigenti generali dell’amministrazione statale, i quali assumono anche la qualità di organi esterni dell’amministrazione medesima".
Tutto ciò premesso sull’attuale ordinamento degli uffici della Regione Siciliana, il Commissario dello Stato prospetta nei confronti della disciplina impugnata le seguenti censure.
Dall’esame del denunciato art. 11 - si legge nel ricorso - emerge l’intento del legislatore regionale di "effettuare ope legis e per relationem una generalizzata equiparazione dei propri dipendenti, in atto con funzioni riconducibili a quelle della carriera direttiva, ai dirigenti previsti dalla normativa statale, in assenza della prescritta e necessaria selezione con criteri obiettivi di valutazione". Qualora dovesse darsi applicazione alla previsione dell’art. 11 - si paventa nel ricorso - l’effetto immediato sarebbe quello di una proliferazione - seppure di carattere nominalistico, in mancanza della contestuale definizione dei compiti - dei dirigenti, il cui numero potrebbe ulteriormente aumentare in virtù della previsione del comma 2, il quale, premesso che " ai dirigenti sono attribuite le funzioni di studio, programmazione e controllo, o le funzioni dirigenziali" , proibisce "la contemporanea assegnazione di più funzioni equiparate".
Il legislatore regionale, osserva il ricorrente, "in evidente dissonanza con i principi della normativa statale di riferimento, scinde nell’ambito delle funzioni dirigenziali, che per loro natura non possono che essere un unicum composito, quelle di studio, programmazione e controllo da quelle propriamente dirigenziali", consistenti " nell’emanazione ed attuazione degli atti aventi per oggetto singoli provvedimenti, ivi inclusi quelli riguardanti impegni di somme" (art. 11, comma 1). Aggiunge il Commissario dello Stato che "siffatta artificiosa distinzione ... dovrebbe essere posta a fondamento della rideterminazione delle piante organiche (comma 3) causando inevitabilmente un incremento, se non addirittura il raddoppio, del numero dei dirigenti, così vanificando uno degli obiettivi primari della legge n. 421 del 1992".
Il Commissario dello Stato censura la stessa distinzione tra funzioni dell’assessore regionale e funzioni dei dirigenti delineata dal comma 1 dell’art. 11 - secondo il quale "l’Assessore regionale esercita le sue funzioni di capo dell’Amministrazione attraverso l’emanazione di atti generali", mentre "l’emanazione ed attuazione degli atti aventi per oggetto singoli provvedimenti, ivi inclusi quelli riguardanti impegni di somme, compete ai dirigenti in relazione alle funzioni ad essi attribuite" - ritenendola inidonea a realizzare gli obiettivi fissati dal legislatore nazionale, in ordine alla separazione tra i compiti di direzione politica e quelli di direzione amministrativa, all’art. 2, comma 1, lettera g), numero 1, della legge n. 421 del 1992.
La disciplina impugnata, in conclusione, appare al ricorrente intrinsecamente contraddittoria ed irragionevole, oltre che gravemente pregiudizievole per il buon andamento dell’amministrazione regionale.
2. - In data 20 giugno 1997, il Presidente regionale ha promulgato parzialmente la legge impugnata (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 21 giugno 1997, n. 30), con l’omissione dell’art. 11, censurato dal Commissario dello Stato con il ricorso introduttivo del presente giudizio costituzionale.
3. - Non si é costituita nel presente giudizio costituzionale la Regione Sicilia.
4. - In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato - per il Commissario dello Stato della Regione Siciliana - una memoria per dedurre che, in sèguito all’intervenuta promulgazione parziale della legge impugnata, é divenuta impossibile un’autonoma, successiva, promulgazione delle disposizioni censurate, e per chiedere, conseguentemente, che sia dichiarata cessata la materia del contendere.
Considerato in diritto
1. - Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana l’11 giugno 1997 recante "Criteri per le nomine e designazioni di competenza regionale di cui all’art. 1 della legge regionale 28 marzo 1995, n. 22. Funzionamento della Commissione paritetica (articolo 43 dello statuto siciliano). Prima applicazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Disposizioni in materia di indennità e permessi negli enti locali. Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29", per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonchè con l’art. 2, comma 1, lettera g), punti 1 e 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, in relazione ai limiti posti dall’art. 14 dello statuto della Regione Siciliana alla potestà legislativa dell’Assemblea regionale siciliana.
2. - Dopo l’instaurazione del presente giudizio costituzionale, la legge impugnata - come anticipato nelle premesse in fatto - é stata promulgata come legge 20 giugno 1997, n. 19, con integrale omissione dell’art. 11, censurato dal Commissario dello Stato.
Indipendentemente da ogni questione prospettabile in merito alla legittimità della promulgazione parziale delle leggi regionali siciliane in pendenza del giudizio di costituzionalità promosso in via principale dal Commissario dello Stato, con omissione delle parti oggetto di impugnazione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 216 del 1998, nn. 306 e 205 del 1996, nn. 493, 395 e 64 del 1995) deve ritenersi cessata la materia del contendere, in quanto l’intervenuto esaurimento del potere promulgativo, che si esercita necessariamente in modo unitario e contestuale rispetto al testo deliberato dall’Assemblea regionale, preclude definitivamente la possibilità che le parti della legge impugnate ed omesse in sede di promulgazione acquistino o esplichino una qualsiasi efficacia, privando di oggetto il giudizio di legittimità costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.
Presidente: Giuliano VASSALLI
Redattore: Fernanda CONTRI
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.