Ordinanza n. 306/98

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ORDINANZA N.306

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 204, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze emesse l’11 febbraio 1997 (n. 5 ordinanze) dal Pretore di Roma – sezione distaccata di Castelnuovo di Porto – iscritte ai nn. 849, 850, 851, 852 e 853 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visti gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 aprile 1998 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che nel corso di diversi giudizi di opposizione ad ordinanze-ingiunzioni prefettizie con le quali si intimava il pagamento di somme di denaro a titolo di sanzione amministrativa per violazione di norme del codice della strada, il Pretore di Roma - sezione distaccata di Castelnuovo di Porto, dopo aver emesso sentenze di rigetto non definitive (che non statuivano sulla richiesta di riduzione della sanzione, formulata, in via subordinata, da tutti i ricorrenti), con cinque ordinanze emesse l’11 febbraio 1997, ha sollevato – in riferimento all’art. 24 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell’art. 204, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui prevede che il prefetto, se ritiene fondato l’accertamento, ingiunge il pagamento di una somma non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione;

che il Pretore di Roma ritiene di dover riproporre la questione, già decisa dalla Corte costituzionale nel senso della infondatezza (e poi, in epoca successiva alle ordinanze di rimessione, nel senso della manifesta infondatezza), dal momento che non sarebbe stato considerato che il potere del giudice dell’opposizione di rideterminare la sanzione amministrativa può operare soltanto in quanto gli sia permesso di effettuare una valutazione di merito sull’applicazione della sanzione stessa: se, cioé, "abbia il potere di prendere cognizione non soltanto degli aspetti di legittimità del provvedimento amministrativo sanzionatorio, ma anche di quelli che attengono alla discrezionalità, per cui soltanto a seguito di annullamento dell’atto si possa sostituire altra e diversa valutazione del fatto";

che tuttavia la Corte di cassazione, con indirizzo costante, avrebbe più volte ribadito che la cognizione del giudice ordinario deve limitarsi ad un sindacato di legittimità, relativo agli aspetti attinenti alla motivazione del provvedimento e non al concreto esercizio della potestà sanzionatoria dell’amministrazione: perciò il giudice ordinario non potrebbe mai, "in concreto", applicare l’art. 23 della legge n. 689 del 1981, rideterminando in melius l’entità della sanzione, poichè dovrebbe "ripercorrere il procedimento amministrativo sanzionatorio, sostituendosi all’autorità irrogante nella quantificazione concreta della sanzione, ciò che palesemente gli é precluso";

che da ciò deriverebbe il contrasto con l’art. 24 della Costituzione, in quanto la disposizione impugnata si connoterebbe come un "deterrente" alla proposizione del ricorso in via amministrativa, in considerazione dell’impossibilità per il giudice di valutare "in concreto", in caso di rigetto del ricorso stesso, la congruità della sanzione irrogata, che risulta automaticamente maggiorata rispetto a quella non contestata;

che nei giudizi davanti alla Corte costituzionale é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione, essendo già stata decisa in passato nel senso dell’infondatezza e della manifesta infondatezza.

Considerato che, essendo stata sollevata in tutti i giudizi a quibus la medesima questione, i relativi giudizi di legittimità costituzionale devono essere riuniti;

che identica questione é già stata più volte rimessa a questa Corte e decisa, da ultimo, con l’ordinanza n. 324 del 1997 e, in precedenza, con l’ordinanza n. 268 del 1996, la sentenza n. 366 del 1994, le ordinanze n. 67 e n. 350 del 1994, nelle quali si é rilevato che: a) la misura della sanzione può ben essere modulata dal legislatore in modo da perseguire finalità deflattive del contenzioso amministrativo; b) é, comunque, sempre esperibile il ricorso giurisdizionale, in cui il giudice, anche quando respinge l’opposizione, non é vincolato da alcun limite per la determinazione della sanzione, che ben può essere fissata nella misura corrispondente a quella "ridotta" di cui all’art. 202 del codice della strada;

che negli stessi sensi appare orientata la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale "il procedimento amministrativo di determinazione della sanzione … può essere interamente sostituito dal giudice dell’opposizione, cui spetta il potere di determinare autonomamente, prescindendo cioé dalle valutazioni compiute dall’amministrazione ed espresse nell’ordinanza-ingiunzione, l’entità della sanzione dovuta per la concreta violazione" (v. Cass., 2 febbraio 1996, n. 911);

che, non essendo stati addotti profili nuovi, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti la Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 204, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata – in riferimento all’art. 24 della Costituzione – dal Pretore di Roma - sezione distaccata di Castelnuovo di Porto, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 22 luglio 1998.