ORDINANZA N.191
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1997 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Sala Consilina, iscritta al n. 317 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 aprile 1998 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che con ordinanza del 24 gennaio 1997 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Sala Consilina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare all’udienza preliminare nei confronti di alcuni imputati il giudice che abbia, in una precedente sentenza di applicazione della pena concordata resa nei confronti di altri imputati, valutato incidentalmente la posizione dei primi, esprimendo un giudizio sulla sussistenza degli elementi materiali del reato contestato, agli uni e agli altri, a titolo di concorso;
che nell’ipotesi anzidetta, che ricorre nel giudizio principale, il rimettente ravvisa una violazione dei parametri costituzionali invocati, alla stregua della sentenza n. 371 del 1996 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede quale causa di incompatibilità al giudizio nei confronti di un imputato la precedente pronuncia di una sentenza, resa nei confronti di soggetti diversi, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia già stata comunque valutata;
che, ad avviso del rimettente, l’ipotesi sottoposta a scrutinio sarebbe analoga a quella oggetto della sentenza citata: la sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen. comporta l’apprezzamento della sussistenza di elementi oggettivi dei reati contestati, assumendo pertanto forza pregiudicante rispetto alla successiva valutazione sulla responsabilità di altri imputati dei medesimi reati a titolo di concorso; d’altra parte, il giudice dell’udienza preliminare é chiamato a svolgere, in essa, una funzione qualificabile come giudizio, in particolare a seguito della modifica dell’art. 425 cod. proc. pen. apportata con la legge 8 aprile 1993, n. 105, giacchè il decreto che dispone il giudizio presenta un "contenuto di accertamento positivo", sia pure di carattere probabilistico, della sussistenza di elementi idonei a fondare l’affermazione di responsabilità dell’imputato;
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione.
Considerato che la disciplina dell’incompatibilità del giudice vale a evitare che l’attività di "giudizio", cioé la valutazione sul merito dell’accusa, sia, o appaia, pregiudicata da precedenti valutazioni della medesima natura compiute dallo stesso giudice;
che, come numerose volte é stato affermato da questa Corte, nell’udienza preliminare il giudice é chiamato non già a svolgere una valutazione sul merito dell’accusa, bensì a controllare la legittimità della domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero, dandole ingresso ovvero paralizzandola, con una delibazione di carattere processuale (sentenze nn. 311, 206 e 94 del 1997; ordinanze nn. 91 del 1998, 367 e 97 del 1997, 410, 333, 279, 232 e 24 del 1996);
che l’anzidetta configurazione dell’udienza preliminare esclude che in essa possa ravvisarsi una funzione di "giudizio" - come tale suscettibile di essere condizionato da precedenti attività valutative e decisorie - e ciò anche dopo la modifica dell’art. 425 cod. proc. pen. operata dalla legge 8 aprile 1993, n. 105, con la soppressione del requisito dell’evidenza ai fini del decreto che dispone il giudizio, poichè comunque l’apprezzamento del giudice, in detta udienza e in vista di detto decreto, "non si sviluppa ... secondo un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare ... se risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento" (sentenze nn. 51 del 1997 e 71 del 1996);
che, in assenza dei caratteri del giudizio, non può delinearsi alcun pregiudizio, rilevante in termini di imparzialità e terzietà del giudice;
che pertanto, non apportando il rimettente argomentazioni idonee a condurre a diversa conclusione, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Sala Consilina, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Gustavo ZAGREBELSKY
Depositata in cancelleria il 26 maggio 1998.