SENTENZA N.133
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna 16 marzo 1995, n. 13 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 14 marzo 1984, n. 12, in materia di assegnazione, gestione, decadenza e disciplina dei canoni degli alloggi di edilizia pubblica, come modificata dalla legge regionale 2 dicembre 1988, n. 50, e ulteriori modificazioni), promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1997 dal Pretore di Rimini, nel procedimento civile vertente tra Luigia Makuc e il Comune di Rimini, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 1998 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto in fatto
1. — Il Pretore di Rimini, nel procedimento di opposizione avverso il provvedimento del sindaco di detta città, che aveva dichiarato decaduto dall’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica il beneficiario della medesima, in quanto non lo avrebbe abitato stabilmente, con ordinanza del 28 gennaio 1997, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna 16 marzo 1995, n. 13 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 14 marzo 1984, n. 12, in materia di assegnazione, gestione, decadenza e disciplina dei canoni degli alloggi di edilizia pubblica, come modificata dalla legge regionale 2 dicembre 1988, n. 50, e ulteriori modificazioni), nella parte in cui stabilisce che < < contro il provvedimento del sindaco si applica la procedura prevista dagli ultimi tre commi dell’art. 11 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035>>, in riferimento agli artt. 108 e 117 della Costituzione.
2. — Nel giudizio pretorile, la parte ricorrente, pregiudizialmente, ha sostenuto la giurisdizione del giudice adito, sul rilievo che il provvedimento impugnato inciderebbe su un proprio diritto soggettivo.
Il Comune di Rimini, in persona del sindaco pro-tempore, ha, invece, eccepito il difetto di giurisdizione, deducendo che, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 23 della legge della Regione Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12 (sentenza n. 727 del 1988), mancherebbe la norma attributiva della potestas judicandi al pretore. In contrario, a suo avviso, neppure potrebbe essere invocato l’art. 11, tredicesimo comma, del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 dato che la disposizione disciplina una fattispecie diversa da quella oggetto del giudizio ed é inapplicabile per analogia, in quanto ha natura di norma eccezionale.
3. — Il Pretore di Rimini, nell’ordinanza di rimessione, premette che proprio la norma denunziata radica la sua giurisdizione sulla controversia ed esplicita le argomentazioni che inducono a ritenerne l’applicabilità, nonostante la legge regionale che la reca sia stata emanata successivamente al deposito del ricorso, e quindi fanno ritenere rilevante la questione di legittimità costituzionale.
In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente osserva che l’art. 11, tredicesimo comma, del d.P.R. n. 1035 del 1972, stabilisce che l’opposizione avverso il provvedimento di decadenza dall’assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica adottato dal presidente dell’Istituto autonomo case popolari deve essere proposta innanzi al pretore del circondario in cui é ubicato l’immobile.
La norma regionale impugnata, stabilendo analogo principio per i provvedimenti di decadenza adottati dal sindaco, violerebbe gli artt. 108 e 117 della Costituzione, dato che la regione non ha potestà legislativa nella materia della giurisdizione, che é inderogabilmente riservata al legislatore statale. Inoltre, a suo avviso, la violazione di entrambi i parametri costituzionali neppure é esclusa dalla circostanza che la disposizione censurata stabilisce la giurisdizione del pretore attraverso il richiamo della norma statale.
4. — Le parti del processo principale non si sono costituite; la Regione Emilia-Romagna non ha spiegato intervento.
Considerato in diritto
1. — La questione di legittimità costituzionale sollevata dall'ordinanza in epigrafe investe l'art. 22, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna 16 marzo 1995, n. 13, nella parte in cui prevede che contro il provvedimento del sindaco che dispone la decadenza dall'alloggio di edilizia residenziale pubblica "si applica la procedura prevista dagli ultimi tre commi dell'art. 11 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035", che, a sua volta, stabilisce che il suddetto provvedimento é impugnabile innanzi "al pretore del luogo nel cui mandamento" é situato l'alloggio.
Secondo il giudice a quo, la norma regionale impugnata -che peraltro riproduce l'art. 23 della legge della Regione Emilia-Romagna 14 marzo 1984, n. 12, già dichiarato, con sentenza n. 727 del 1988, costituzionalmente illegittimo- richiamando il dettato della disposizione statale, intende "legiferare in materia di tutela giurisdizionale di diritti ed interessi legittimi", violando così gli artt. 108 e 117 della Costituzione, in quanto non rientrerebbe nelle competenze regionali la disciplina della materia giurisdizionale, riservata alla legge dello Stato.
2. — La questione é fondata.
Secondo la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, concernente proprio disposizioni molto spesso identiche a quella in esame, il legislatore regionale non può emanare norme che prevedano rimedi giurisdizionali, ovvero dispongano in ordine a poteri o facoltà dell'Autorità giudiziaria, in quanto l'art. 108 della Costituzione riserva la materia della giurisdizione e quella processuale alla competenza del legislatore statale (tra le più recenti, le sentenze n. 390 del 1996, nn.76 e 459 del 1995, nn. 303 e 457 del 1994, n. 210 del 1993). La violazione di tale parametro, d'altra parte, non può neppure essere esclusa, secondo quanto affermato da questa Corte in fattispecie identica a quella ora in esame, "sulla base del rilievo che la norma regionale impugnata si é limitata a fare rinvio alla normativa statale contenuta nell'art. 11, comma 13, del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, perchè le regioni in nessun caso possono emanare leggi in materie soggette a riserva di legge statale, comportando ciò un'indebita novazione della fonte con la forza e le conseguenze che ne derivano" (sentenza n. 457 del 1994, nonchè sentenze nn. 210 del 1993, 203 e 615 del 1987).
Nel quadro di tali principi, pertanto, la norma censurata viola l'art. 108 della Costituzione, disciplinando una materia, che é al di fuori delle competenze regionali fissate dall'art. 117 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna 16 marzo 1995, n. 13 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 14 marzo 1984, n. 12, in materia di assegnazione, gestione, decadenza e disciplina dei canoni degli alloggi di edilizia pubblica, come modificata dalla legge regionale 2 dicembre 1988, n. 50 e ulteriori modificazioni).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Relatore: Piero Alberto CAPOTOSTI
Depositata in cancelleria il 23 aprile 1998.