Sentenza n. 85/98

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SENTENZA N.85

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 39, comma 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) promosso con ordinanza emessa il 28 novembre 1996 dal Pretore di Grosseto, sezione distaccata di Massa Marittima nel procedimento penale a carico di Valsecchi Pieralba ed altro iscritta al n. 77 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 1997 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso del procedimento penale a carico di Valsecchi Pieralba, imputata del reato di cui agli artt. 20, lettera c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e 1-sexies della legge n. 431 del 1985, per aver eseguito opera abusiva in area assoggettata a vincolo paesaggistico, il Pretore di Grosseto, sezione di Massa Marittima, con ordinanza del 28 novembre 1996, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 39, comma 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui non prevede la sospensione del procedimento penale in presenza di impugnazione in via giurisdizionale del provvedimento di diniego sulla richiesta di condono.

Secondo il giudice rimettente, l’omessa previsione della sospensione in pendenza dell’impugnazione giurisdizionale del provvedimento di diniego della richiesta di condono, oltre ad essere affetta da irragionevolezza perchè imporrebbe al giudice — in carenza di rimedi processuali che consentano la disapplicazione del provvedimento di diniego (illegittimo) — di emettere una sentenza di condanna, in violazione del principio del libero convincimento del giudice, pur nell’eventualità dell’illegittimità amministrativa del provvedimento, contrasterebbe con il principio di uguaglianza nei confronti di imputati per gli stessi fatti che abbiano ottenuto da amministrazioni diverse provvedimenti di accoglimento o diniego della domanda di sanatoria.

2.— Nel giudizio di legittimità costituzionale é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, sottolineando che la Corte con le sentenze n. 370 del 1988 e n. 270 del 1996 ha riconosciuto dapprima la piena conformità ai principi costituzionali della sospensione dell’azione penale limitata alla durata del procedimento amministrativo di sanatoria; di seguito l’estensione della sospensione fino all’esaurimento del giudizio avverso i provvedimenti di diniego del condono innanzi al tribunale amministrativo regionale.

Con quest’ultima decisione la Corte, osservando che la scelta di estendere la sospensione dell’azione penale fino al giudizio amministrativo rientra nell’ambito della discrezionalità del legislatore, ha espressamente riconosciuto la ragionevolezza dell’art. 7, nono comma, del decreto-legge 27 marzo 1985, n. 88 che ha modificato l’art. 22 della legge n. 47 del 1985, laddove ha delimitato il periodo di sospensione fino alla definizione del giudizio innanzi al giudice amministrativo di primo grado.

Anche se questa disposizione nei successivi decreti-legge non é stata più riprodotta, secondo l’Avvocatura generale dello Stato deve essere confermato l’orientamento seguito dalla Corte nel senso che il rapporto tra procedimento di sanatoria e azione penale rientra nella discrezionalità del legislatore, che può liberamente valutare opportuna l’una o l’altra soluzione. Ciò in quanto la previsione di strumenti processuali acceleratori, volti a ridurre il pericolo della prescrizione dell’azione penale, nonchè la diversa posizione di coloro i quali abbiano ottenuto il provvedimento amministrativo in sanatoria, rispetto ai destinatari del provvedimento di diniego (anche potenzialmente illegittimo), costituiscono altrettanti argomenti per ritenere infondata la prospettata questione di costituzionalità.

Considerato in diritto

1.— La questione sottoposta all’esame della Corte ha per oggetto l’art. 39, comma 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nella parte in cui non prevede la sospensione dell’azione penale, per violazione degli artt. 20, lettera c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e 1-sexies — rectius: del d.l. 27 giugno 1985, n. 312 introdotto in sede di conversione con la legge 8 agosto 1985, n. 431 — in pendenza dell’impugnazione in via giurisdizionale del provvedimento di diniego nella richiesta di condono edilizio e di autorizzazione paesaggistica per opere abusive in zona sottoposta a vincolo paesistico.

I profili dedotti riguardano la violazione dell’art. 3 della Costituzione per irragionevolezza, poichè la norma imporrebbe al giudice di emettere una sentenza di condanna pur in presenza di un’eventuale illegittimità amministrativa del provvedimento di diniego e per disparità di trattamento fra imputati dello stesso reato, in quanto il corso del procedimento penale dipenderebbe dall’amministrazione che concede o meno il provvedimento richiesto.

2.— La questione non é fondata.

Preliminarmente deve essere posto in rilievo che il comma 8 dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994 ha esteso l’ambito di applicabilità del condono edilizio ai reati connessi "per interventi edilizi nelle zone e fabbricati sottoposti a vincolo" (culturale, paesaggistico e ambientale) previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1939, n. 1497 e dal d.l. 27 giugno 1985, n. 312 convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.

Il meccanismo del condono-oblazione e della conseguente estinzione di questi ultimi reati non é tuttavia nè automatico, nè semplicemente subordinato al verificarsi dei soli presupposti propri del condono edilizio: cioé temporali, relativi all’ultimazione dell’opera abusiva (entro il 31 dicembre 1993), soggettivi, inerenti al richiedente, o oggettivi, rapportati alla volumetria realizzata (v. sentenza n. 302 del 1996), sia, infine, procedimentali articolati nella presentazione della domanda nel termine prescritto dopo avere interamente corrisposto la somma dovuta a titolo di oblazione (cfr. combinato disposto degli artt. 38 e 39 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, con le integrazioni apportate dal d.l. n. 146 del 1985, convertito, con modificazioni, in legge n. 298 del 1985, e dell’art. 39, comma 1, della legge n. 724 del 1994).

La estinzione dei reati per la violazione del vincolo culturale, paesaggistico o ambientale in occasione "di interventi edilizi" si può produrre, per effetto del condono, in base all’art. 38, comma 8, della legge n. 724 del 1994, solo quando — come ulteriore elemento assolutamente indispensabile — sia stata rilasciata la concessione edilizia o l’autorizzazione in sanatoria, che rimane tuttavia a sua volta subordinata al conseguimento delle autorizzazioni delle Amministrazioni preposte alla tutela degli anzidetti vincoli. In altri termini la valutazione positiva dell’opera realizzata da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo ha valore di presupposto inderogabile sia per il rilascio della concessione (o autorizzazione) edilizia in sanatoria, sia per il verificarsi dell’effetto estintivo per i reati attinenti ai vincoli.

Diversamente, per i reati edilizi e per gli altri reati connessi, relativi all’abitabilità, alle opere in cemento armato o a struttura metallica e alle opere in zona sismica, tassativamente specificati con le integrazioni del secondo comma dell’anzidetto art. 38 della legge n. 47 del 1985, l’effetto estintivo derivante dalla intera corresponsione dell’oblazione opera anche nel caso in cui le opere non possano conseguire la sanatoria (art. 39 della legge n. 47 del 1985, che pone in rilievo che si tratta di reati contravvenzionali).

Ciò conferma che la definizione agevolata delle violazioni edilizie e degli illeciti connessi (art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985; art. 39, comma 1, della legge n. 724 del 1994) si scinde in due aspetti, separati quanto agli effetti e spesso non coincidenti, della oblazione-condono rispetto alla concessione in sanatoria.

Invece il legislatore del 1994 nell’allargare l’ambito del condono-sanatoria agli altri reati connessi per violazione dei vincoli (culturali, paesaggistici e ambientali) ha condizionato l’effetto estintivo al conseguimento della autorizzazione (in sanatoria) prevista dalla disciplina del singolo vincolo, e insieme al rilascio della concessione (o autorizzazione) edilizia in sanatoria, che a sua volta resta subordinata alla predetta autorizzazione attinente al vincolo.

Risulta evidente che la scelta del legislatore é stata ragionevolmente condizionata, in senso restrittivo e con rigore procedimentale, dal particolare rilievo dei beni protetti dai vincoli suindicati, al fine, quale esigenza costante della legge sul condono edilizio, "di realizzare un contemperamento dei valori in gioco, quelli del paesaggio" (e della cultura), "della salute, della conformità dell’iniziativa economica privata all’utilità sociale, della funzione sociale della proprietà da una parte, e quelli, pure di fondamentale rilevanza sul piano della dignità umana, dell’abitazione e del lavoro dall’altra" (sentenze n. 302 del 1996 e n. 427 del 1995).

La tutela dei beni culturali (patrimonio storico e artistico), non a caso, é nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio-ambiente, come espressione di principio fondamentale dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo e si sviluppa la persona umana.

Del resto, come questa Corte (ordinanza n. 169 del 1996) ha già avuto occasione di puntualizzare, la fattispecie presa in esame ai fini dell’effetto estintivo del reato, dal comma 8 dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994 si riferisce, per quanto riguarda i reati per violazione dei vincoli surrichiamati, alle sole infrazioni meramente formali; cioé mancanza di autorizzazione in ipotesi (esclusiva) di opera sostanzialmente conforme (in base a specifica valutazione) alle esigenze di tutela, tanto da potere successivamente essere oggetto di sopravvenuta autorizzazione specifica in sanatoria.

In definitiva l’estinzione dei reati conseguenti alla violazione dei vincoli costituisce una autonoma scelta legislativa, per nulla irragionevole, determinandosi l’effetto del condono-sanatoria solo quando l’autorità preposta al vincolo, mediante una valutazione di compatibilità con le esigenze sostanziali di tutela del vincolo medesimo, abbia ritenuto l’opera già eseguita (senza autorizzazione) suscettibile di conseguire l’autorizzazione in sanatoria e quando l’autorità edilizia abbia rilasciato la concessione (o autorizzazione) edilizia in sanatoria. Il legislatore per gli anzidetti reati ha voluto che gli effetti dell’oblazione-condono e della sanatoria debbano coincidere, di modo che non possano essere dissociati, anche nel momento in cui si verificano, a maggiore tutela dei beni protetti dai vincoli.

3.— Questa differenziazione, anche temporale rispetto al condono edilizio, degli effetti estintivi sui reati connessi per violazioni dei vincoli suindicati ha comportato una diversa problematica dei rapporti tra procedura amministrativa di condono e processo penale e amministrativo.

In base all’art. 44 della legge n. 47 del 1985 e poi in forza del richiamo contenuto nell’art. 39, comma 1, della legge n. 724 del 1994 — interpretato come rinnovazione delle disposizioni del condono di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni ed integrazioni (ordinanza n. 169 del 1996) — la sospensione temporanea dei procedimenti ha prodotto gli effetti in via generale ed automatica (con il semplice legame di attinenza al capo della sanatoria) per il periodo transitorio dalla data di entrata in vigore delle norme sul condono fino alla scadenza dei termini per la domanda.

Successivamente per le singole fattispecie in conseguenza della presentazione della domanda di condono-sanatoria, purchè accompagnata dall’attestazione di versamento anche parziale dell’oblazione, si é prodotta la conseguente sospensione del procedimento penale e del procedimento per le sanzioni amministrative (art. 38, primo comma, della legge n. 47 del 1985), che si protrae fino al termine implicitamente stabilito della conclusione della procedura di condono-sanatoria.

Per "i reati contravvenzionali, di cui all’art. 38" della legge n. 47 del 1985, il legislatore ha fatto discendere l’estinzione del reato dalla semplice "effettuazione dell’oblazione" "integralmente corrisposta" derivante dall’"intera mediatrice fattispecie" (sentenza n. 369 del 1988), anche "qualora le opere non possano conseguire la sanatoria" (combinato disposto dell’art. 38, secondo comma, e dell’art. 39 della legge n. 47 del 1985).

Invece per gli altri reati, connessi con interventi edilizi abusivi, relativi alle violazioni di vincoli paesaggistici, ambientali e culturali (art. 38, comma 8, della legge n. 724 del 1994) non é prevista una specifica sospensione del procedimento penale, qualora la domanda di sanatoria abbia avuto esito negativo in via amministrativa e sia sorta contestazione avanti al giudice amministrativo sulla legittimità del rifiuto. Nello stesso tempo l’effetto estintivo per gli anzidetti reati, attinenti ai vincoli, non deriva dal pagamento dell’intera oblazione (relativa al reato propriamente edilizio), ma solo — come già sottolineato — dal rilascio della autorizzazione (in sanatoria) da parte dell’autorità preposta al vincolo e della concessione edilizia.

4.— Sul piano costituzionale non si pone per il legislatore, come soluzione obbligata, la sospensione del procedimento penale, quando sia pendente avanti ad un altro giudice una controversia che debba risolvere una questione su un atto, pregiudiziale alla definizione del primo processo. Anzi in sede di disciplina positiva si é andato affermando il principio della separazione dei giudizi e della autonomia ed indipendenza delle giurisdizioni civile, amministrativa e tributaria da un lato e penale dall’altro, con le sole previsioni di ipotesi derogatorie tassativamente previste da legge, ritenendosi di privilegiare, anche in sede penale, l’esigenza di sollecita definizione del processo.

Il legislatore può discrezionalmente — con il limite della ragionevolezza — prevedere come ulteriore eccezione che si soprassieda dal corso dell’azione penale fino alla definizione di controversia giurisdizionale amministrativa, fermi tutti poteri del giudice penale di autonoma valutazione (sentenza n. 270 del 1996 a proposito della diversa fattispecie di accertamento di conformità, in ordine all’art. 7, comma 9, del d.l. 27 marzo 1995, n. 88, poi non convertito, ma i cui effetti sono stati fatti salvi dall’art. 2, comma 61, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

Trattasi tuttavia di scelta tutt’altro che obbligata, che in relazione alla natura e alla finalità dei vincoli tutelati dalle anzidette norme incriminatrici, il legislatore con le disposizioni denunciate non ha inteso concedere.

Del resto la mancata previsione di apposita ed eccezionale ipotesi di sospensione del processo penale non comporta obbligo per il giudice penale a procedere, in ogni caso, giungendo alla condanna dell’imputato per i reati a tutela del vincolo, anche in pendenza, avanti al giudice amministrativo, di giudizio sul rifiuto di autorizzazione in sanatoria.

Il giudice penale può, infatti, esercitare tutti i poteri processuali relativi alla scansione del procedimento, anche in ordine alle verifiche istruttorie, ai tempi delle varie fasi, fino alla eventuale applicazione, ove ne sussistano i presupposti, della sospensione del dibattimento a tempo relativamente indeterminato (art. 479 cod. proc. pen.), con effetti sospensivi del decorso della prescrizione.

In realtà la norma come formulata comporta un vantaggio per gli interessati prevedendo un ampliamento dell’effetto estintivo ad altri reati connessi (non contemplati nell’originario condono edilizio del 1985), ma nello steso tempo con la sua configurazione comporta un incentivo indiretto a che gli stessi interessati si attivino per una sollecita definizione della domanda volta ad ottenere l’autorizzazione in sanatoria, sia in sede amministrativa che in quella giurisdizionale amministrativa, avanti alla quale é prevista la facoltà di tutela contro il silenzio-rifiuto decorsi centottanta giorni dalla domanda (art. 2, comma 44, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

5.— Neppure si configura una violazione del principio di eguaglianza, in quanto diversa é la posizione di chi ha già ottenuto in sanatoria l’autorizzazione richiesta dalla norma che prevede il vincolo, rispetto a colui che non l’abbia ottenuta o si sia visto opporre un rifiuto, ancorchè contestato in altra sede giurisdizionale.

Sullo stesso piano é stata sottolineata la discrezionalità del legislatore nel fissare, una volta individuata la causa estintiva del reato, gli effetti e i limiti temporali di essa, in relazione allo stato dell’azione penale (ordinanze n. 219 del 1997; nn. 294 e 137 del 1996; v. anche ordinanza n. 56 del 1998).

6.— Infine la determinazione di particolari e limitati effetti estintivi della oblazione e del diniego di sanatoria, quali stabiliti in via esclusiva e tassativa dagli art. 38, terzo comma, e 39 della legge n. 47 del 1985 per i reati contravvenzionali previsti dallo stesso art. 38, non esclude una soluzione divergente per la diversa (per presupposti e tempi) e distinta previsione di estinzione dei reati in violazione di vincoli, quale contemplata dalla norma denunciata. Infatti l’estinzione di detti reati é conseguenza della regolarizzazione in sanatoria — sotto il profilo sia edilizio-urbanistico sia del vincolo — con il rilascio delle relative autorizzazioni e concessioni, di modo che non può escludersi la possibilità che l’estinzione produca ulteriori effetti quando intervenga dopo pronuncia di condanna. Del resto, in caso di norma che "ha esteso gli effetti estintivi della oblazione per sanatoria edilizia anche alle contravvenzioni punite dall’art. 20 della legge antisismica 2 febbraio 1974, n. 64", sono intervenute decisioni nel senso che quando sia stata pronunciata condanna definitiva, l’effetto estintivo non concerne il reato, stante la preclusione del giudicato, ma si trasferisce alla esecuzione della pena (Cass. 24 marzo 1993, n. 228).

Infatti l’intervento del legislatore deve essere interpretato in logica conseguenza della attribuzione ampliativa degli effetti estintivi, da parte della norma impugnata, al condono-sanatoria sul connesso reato in violazione di vincoli, quando interviene il rilascio della concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria, subordinata in modo inderogabile alla autorizzazione in sanatoria dell’autorità preposta al vincolo.

Anche nella ipotesi del conseguimento della sanatoria in via amministrativa che intervenga dopo la condanna, si devono pur sempre produrre effetti di estinzione del reato relativo ai vincoli (art. 39, comma 8) che si sottolinea é fuori dello schema e dei limiti dei particolari effetti estintivi stabiliti dagli articoli 38 e 39 della legge n. 47 del 1985.

Ciò in quanto per gli anzidetti reati non é prevista una sospensione necessaria del processo penale, mentre l’estinzione é configurabile solo dopo la definizione in senso positivo della sanatoria in sede amministrativa che può intervenire anche in esito alla tutela avanti il giudice amministrativo.

Il legislatore ha subordinato l’estinzione del reato a tali valutazioni e adempimenti di autorizzazione in sanatoria, che degradano l’illecito in una violazione meramente formale, in quanto la sopravvenuta valutazione positiva dell’autorità preposta al vincolo presuppone l’accertamento della compatibilità sostanziale dell’intervento edilizio con il vincolo stesso in relazione allo stato dei luoghi (argomentando anche dall’art. 2, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 39, comma 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Grosseto, sezione distaccata di Massa Marittima, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 1° aprile 1998.