Ordinanza n. 68/98

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ORDINANZA N.68

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI               

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof. Annibale MARINI "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1-sexies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), introdotto dall’art. 1 della legge di conversione 8 agosto 1985 n. 431, promossi con sette ordinanze emesse tra il 19 marzo ed il 28 maggio 1997 dal Pretore di Roma, sezione distaccata di Tivoli, rispettivamente iscritte ai nn. 416, 490, 491, 495, 496, 633 e 634 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28, 35 e 40, prima serie speciale dell’anno 1997.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 1998 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che il Pretore di Roma, sezione distaccata di Tivoli, con sette ordinanze di identico contenuto, emesse tra il 19 marzo e il 28 maggio 1997 (r.o. nn. 490, 491, 495, 496, 633, 634 del 1997), nel corso di altrettanti procedimenti penali nei quali era chiamato ad applicare, tra l’altro, l’art. 1-sexies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431 — , ha sollevato questione di legittimità costituzionale della predetta norma;

che, ad avviso del giudice a quo, essa si porrebbe anzitutto in contrasto con gli artt. 42 e 97 della Costituzione (per quanto il richiamo a tale secondo parametro, pur presente nella parte motiva di tutte le ordinanze, figuri, poi, nel dispositivo delle sole ordinanze r.o. nn. 416 e 491 del 1997), rimandando alla nozione di aree protette quale desumibile dalla espressa elencazione normativa di cui all’art. 1 dello stesso d.l. n. 312 del 1985, che individua i beni oggetto di tutela per categoria;

che siffatta elencazione sarebbe illegittima, non consentendo che la individuazione dei beni con naturale attitudine al vincolo, e conseguenti limitazioni al diritto di godimento e di disposizione, avvenga nelle forme del giusto procedimento, sia al fine di rendere conoscibili le ragioni che connotano il particolare pregio del bene, sia per consentire ai privati di introdurre le proprie osservazioni ed istanze;

che, inoltre, la norma in questione recherebbe vulnus all’art. 9 della Costituzione, introducendo un regime particolarmente afflittivo senza alcuna certezza che lo stesso sia in rapporto di sintonia con interessi effettivamente sussistenti, proprio per non essere la tutela del valore ambientale affidata a concreti atti della pubblica autorità di individuazione del bene da tutelare;

che, parimenti, essa, per il suo carattere prevalentemente formale, risulterebbe irragionevolmente più afflittiva rispetto alla previsione di cui all’art. 734 cod. pen., che considera la deturpazione di fatto ed in concreto del bene ambientale;

che, nella prospettazione del giudice rimettente, l’art. 1-sexies violerebbe, altresì, l’art. 25, secondo comma, della Costituzione, per il contrasto con il principio della legalità, avuto riguardo alla indeterminatezza della pena da applicare, oltre che della condotta incriminata, individuata con generico riferimento alla violazione delle disposizioni dello stesso d.l. n. 312 del 1985;

che in tutti i predetti giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità delle questioni, non avendo il giudice rimettente esposto alcun elemento descrittivo delle fattispecie oggetto dei procedimenti penali a quibus, e, nel merito, per la manifesta infondatezza.

Considerato che l’identità delle questioni consente che esse siano trattate e decise congiuntamente;

che, per quanto riguarda la eccezione di inammissibilità sollevata dall’ Avvocatura generale dello Stato, essa risulta infondata in quanto, pur nella lacunosità delle ordinanze di rimessione con riguardo al punto della motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate nei giudizi a quibus, é possibile, tuttavia, rinvenire elementi idonei a consentire una valutazione positiva sulla sussistenza della rilevanza stessa;

che, nel merito, quanto al rilievo secondo il quale la legge n. 431 del 1985 elenca i beni da tutelare per categoria, anzichè affidare la relativa individuazione ad atti concreti della pubblica autorità, questa Corte ha ripetutamente affermato che la ratio della introduzione di vincoli paesaggistici generalizzati risiede nella valutazione che l’integrità ambientale é un bene unitario, che può risultare compromesso anche da interventi minori e che va, pertanto, salvaguardato nella sua interezza (sentenze nn. 247 del 1997, 67 del 1992 e 151 del 1986; ordinanza n. 431 del 1991);

che tali considerazioni rendono altresì ragione della manifesta infondatezza dell’ulteriore censura relativa alla mancata osservanza, nell’apposizione del vincolo di cui si tratta, delle forme del "giusto procedimento", la cui disciplina, del resto, é rimessa alla discrezionalità del legislatore nei limiti della ragionevolezza e del rispetto dei principi costituzionali (sentenza n. 312 del 1995);

che, quanto alla lamentata violazione dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione, questa Corte ha già ritenuto infondate analoghe questioni sollevate con riferimento al medesimo rilievo, osservando che "la scansione... dell’ambito sanzionatorio e della conseguente quantificazione della pena, distinta su tre livelli, sulla base della tipologia di condotte incriminate... risulta, alla luce sia della interpretazione adeguatrice operata dalla giurisprudenza che dell’indirizzo interpretativo della Corte di cassazione, corrispondere ai precetti di determinatezza della sanzione penale, soddisfacendo, inoltre, il canone di adeguatezza e congruità della pena nel rapporto di proporzionalità, sia nel minimo che nel massimo, alla tutela del bene presidiato dalla norma" (sentenza n. 247 del 1997; v. anche sentenze nn. 122 del 1993 e 67 del 1992);

che, d’altra parte, la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto in evidenza che l’accentuata severità del trattamento, che può risultare dalla norma di cui si tratta, trova giustificazione nella entità sociale dei beni protetti e nel ricordato carattere generale, immediato ed interinale, della tutela che la legge ha inteso apprestare di fronte alla urgente necessità di reprimere comportamenti tali da produrre all’integrità ambientale danni gravi e talvolta irreparabili (sentenze nn. 269 e 122 del 1993);

che questa Corte ha, altresì, già esaminato il problema del diverso, e più grave, livello sanzionatorio previsto dall’art. 1-sexies rispetto al trattamento riservato a chi compia opere di trasformazione non autorizzata in zona vincolata ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, osservando che le censure avverso un differente trattamento sanzionatorio operante su piani diversi, quali sono quelle di cui si tratta, sono manifestamente infondate per la non comparabilità dei due sistemi presi in considerazione, l’uno dei quali (legge n. 1497 del 1939) prevede una tutela diretta alla preservazione di cose e località di particolare pregio estetico isolatamente considerate, mentre l’altro (d.l. n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, in legge 8 agosto 1985, n. 431) introduce una tutela del paesaggio improntata a integrità e globalità, implicante una riconsiderazione assidua dell’intero territorio nazionale alla luce e in attuazione del valore estetico culturale;

che, anche per quanto concerne l’offensività in concreto delle condotte incriminate, é sufficiente richiamare l’indirizzo interpretativo di questa Corte, secondo il quale l’accertamento della stessa é in ogni caso devoluto al sindacato del giudice penale (v., da ultimo, sentenza n. 247 del 1997);

che, pertanto, tutte le questioni sollevate dal giudice a quo devono essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1-sexies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), introdotto dall’art. 1 della legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431, sollevate, in riferimento agli artt. 42, 97, 9, 25, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Roma, sezione distaccata di Tivoli, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Riccardo CHIEPPA

Depositata in cancelleria il 12 marzo 1998.