SENTENZA N.261
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359 e dell'art. 16, commi quarto e quinto, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), promossi con ordinanze emesse il 5 maggio 1995 dalla Corte d'appello di Catania nel procedimento civile vertente tra Strano Maria ed altra e Assessorato alla Presidenza della Regione Siciliana ed altro, iscritta al n. 800 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1995, e il 20 febbraio 1996 dalla Corte d'appello di Trento nei procedimenti civili riuniti vertenti tra l'Ente Ferrovie dello Stato e Burgmann Johann, di San Candido ed altri e tra Chantal Cinzia D'Acquarone di Verona ed altri e l'Ente Ferrovie dello Stato ed altro, iscritta al n. 600 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 1997 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
Ritenuto in fatto
1. La Corte d'appello di Catania nel corso di un procedimento civile concernente l'opposizione alla determinazione della indennità di esproprio ha sollevato, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359.
Il giudice a quo premette che: a) i terreni, oggetto di espropriazione, ricadono in prossimità di "siti archeologici e paesistici di notevole importanza", anche se gli stessi non sono stati in precedenza assoggettati al regime di tutela archeologica di cui agli artt. 11 e 12 della legge 1° giugno 1939, n. 1089; b) detti terreni non rivestono, tuttavia, vocazione di edificabilità, sia perchè al tempo dell'ablazione risultavano compresi in zona "stralciata" dal piano regolatore generale del Comune di Siracusa, avente destinazione agricola, sia perchè la edificabilità degli stessi, di fatto, non avrebbe potuto configurarsi, avuto riguardo al particolare contesto archeologico in cui ricadevano, nonchè all'insussistenza nelle zone vicine di situazioni edificatorie abitative "cui aversi eventualmente riguardo onde desumere un'analoga vocazione".
Il collegio rimettente ritiene che il valore di mercato delle aree in questione, esclusa la natura edificatoria (residenziale) delle stesse, non possa, tuttavia, "correttamente individuarsi" avendo riguardo ai criteri di valutazione dei terreni agricoli posto che il valore, così calcolato, sarebbe "sostanzialmente irrisorio e, in definitiva, meramente simbolico". Di conseguenza, e tenuto conto dei normali criteri di estimo, la valutazione dei terreni espropriati non potrebbe prescindere "dalla loro diversa e specifica fruibilità, compatibile con la natura della zona e correlata ad una destinazione a scopi turistici". Più in particolare, detti terreni si presterebbero a costituire "siti per posti di venditore ambulante di souvenir" ovvero "sede di trattorie-pizzerie stagionali" analoghi ad altri esistenti nelle vicinanze. Ad avviso del giudice a quo, l'individuazione di detta specifica fruibilità assumerebbe ai fini della corretta determinazione del valore dell'immobile una sorta di tertium genus nel quale sarebbero inscrivibili anche secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. unite 17 dicembre 1991, n. 13596) quei terreni privi di "suscettività edificatoria" e per i quali, nondimeno, il ricorso al criterio del mero valore agricolo condurrebbe a risultati "del tutto incongrui".
Il suddetto diverso e necessario criterio estimativo sempre secondo l'ordinanza di rimessione non potrebbe, tuttavia, trovare applicazione in seguito all'entrata in vigore dell'art. 5-bis censurato, posto che detta norma, al comma 4, prevede che tutte le aree non classificabili come edificabili possano essere valutate solo come aree agricole (secondo le norme di cui al Titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni ed integrazioni). Secondo il giudice a quo, detta previsione omettendo di considerare i terreni che, non rivestendo connotazioni edificatorie nè agricole, integrerebbero un autonomo tertium genus violerebbe gli artt. 42, terzo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.
In particolare e con riferimento al succitato art. 42 della Costituzione si rileva che, qualora la determinazione dell'indennità delle predette aree espropriate dovesse essere commisurata al valore agricolo medio, la indennità, così calcolata, non potrebbe assicurare il "serio ristoro" richiesto dall'art. 42 della Costituzione. Il giudice a quo richiama, altresì, la giurisprudenza costituzionale in materia , sottolineando che sin dalla sentenza n. 5 del 1980 si é affermato il principio per cui la determinazione dell'indennizzo, conforme al'art. 42 della Costituzione, richiede il riferimento "al valore del bene assoggettato ad espropriazione, in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla sua potenziale utilizzazione economica secondo legge".
La norma censurata, omettendo di considerare le specifiche connotazioni del bene, ogniqualvolta, non essendovi una vocazione edificatoria, il valore di mercato del bene non sia, tuttavia, commisurabile ai parametri di valutazione utilizzati per i beni agricoli, introdurrebbe, altresì, una ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento tra proprietari delle aree, oggetto di esproprio, per i quali sarebbe liquidata un'indennità commisurata al valore agricolo dei beni, in quanto tale incongrua, e proprietari di aree "ricadenti nelle stesse zone ed aventi uguali caratteristiche, i quali, disponendo in regime di libera contrattazione, potrebbero conseguire il loro giusto valore di mercato".
2. Nel giudizio dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o la manifesta infondatezza della questione.
In ordine all'inammissibilità si rileva che il giudice a quo avrebbe omesso di considerare "gli effetti della destinazione di zona" derivanti prima e transitoriamente dallo stralcio, operato in sede di approvazione del Piano regolatore generale del 1976 e poi dalla adozione dello strumento urbanistico, relativamente alla parte originariamente stralciata, ancorchè perfezionatasi in epoca successiva all'espropriazione.
Nel merito e con riferimento all'art. 42 della Costituzione la questione sarebbe comunque manifestamente infondata in quanto poggerebbe su un'erronea premessa interpretativa, secondo la quale i criteri di determinazione dell'indennità previsti dalla norma censurata troverebbero applicazione solo con riguardo ai terreni aventi vocazione "abitativa o residenziale" e non già a quelli aventi natura edificatoria in genere (e, pertanto, suscettibili di insediamenti industriali, commerciali ecc.). Sulla base di questa erronea premessa, il giudice a quo, da un lato, avrebbe escluso, per il terreno espropriato, la configurabilità di una edificabilità di fatto in ragione "della insussistenza di situazioni edificatorie abitative nelle zone vicine" e, dall'altro, avrebbe negato rilievo (agli effetti del riconoscimento di una corrispondente vocazione dell'immobile espropriato) alla "pur accertata esistenza, in luoghi poco distanti, di esercizi commerciali (bar e ristoranti) ovvero alla constatata utilizzazione di aree vicine per l'installazione di posti di vendita (chioschi ecc.)". Tuttavia l'art. 5-bis, comma 4, censurato non conterrebbe alcun elemento diretto a suffragare le premesse del collegio rimettente. Al riguardo si sottolinea che la norma censurata trova la propria ratio storica nella esigenza di "reintegrare la disciplina della materia" dopo la sentenza n. 5 del 1980 di questa Corte, la quale aveva dichiarato l'illegittimità dei criteri indennitari di cui alla legge n. 865 del 1971, con riguardo ai terreni edificabili in genere e non solo a quelli suscettibili di utilizzazione per edilizia residenziale o abitativa. Ciò posto, la questione sarebbe manifestamente infondata poichè i criteri indennitari, dettati per le aree edificabili in genere dall'art. 5-bis sono stati riconosciuti legittimi da questa Corte, con sentenza n. 283 del 1993. La questione sarebbe, altresì, infondata qualora dovesse intendersi prospettata con riguardo ad un terreno "oggettivamente privo di qualsivoglia vocazione edificatoria" (anche ridotta e di fatto) in quanto la garanzia apprestata dall'art. 42 della Costituzione assicurerebbe il riferimento dell'indennizzo al valore del bene, in relazione alle sue caratteristiche essenziali, e non certo al valore che il bene stesso sia suscettibile di assumere per il peculiare e soggettivo utilizzo fattone dal proprietario, indipendentemente dai connotati essenziali rivestiti dal bene stesso. In sostanza, secondo l'Avvocatura, solo una sarebbe la possibile alternativa: o il terreno considerato riveste i caratteri propri delle aree edificabili o a destinazione edificatoria, ed allora si dovrebbero applicare i criteri di cui all'art. 5-bis succitato e già dichiarato legittimo, o il terreno é privo di quei connotati o di altri destinati ad imprimere ad esso, oggettivamente, un peculiare modo di essere, ed allora detto terreno non potrebbe che essere stimato per la sua oggettiva destinazione agricola, secondo i valori tabellari medi della legge n. 865 del 1971. Alla stregua delle suesposte considerazioni la questione sarebbe, altresì, irrilevante in quanto il giudice a quo non avrebbe riferito di "oggettivi e naturali caratteri" del bene da stimare che facciano di questo una realtà economica sui generis.
Manifestamente infondata sarebbe anche, alla luce della sentenza di questa Corte n. 283 del 1993 (punto 6.5. del Considerato in diritto), la questione sollevata, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione: in quanto diverse, e pertanto non comparabili, sarebbero le ragioni dell'attribuzione patrimoniale in un caso compensativa e nell'altro corrispettiva della dismissione del bene.
3. La Corte d'appello di Trento, nel corso di un giudizio di opposizione alla stima di indennità di esproprio relativa a terreni qualificati dalla consulenza tecnica d'ufficio sicuramente privi di ogni vocazione edificatoria, ma tuttavia suscettibili, per morfologia ed ubicazione, di peculiari utilizzazioni turistico-commerciali (quali deposito di legnami, area di stoccaggio, terreno per feste campestri) giustificative di valori venali nettamente superiori ai valori tabellari medi stabiliti, per la regione agraria corrispondente, dalla competente Commissione provinciale di Bolzano, ha sollevato, con ordinanza del 20 febbraio 1996 (r.o. n. 600 del 1996), questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, commi quarto e quinto, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e, in quanto rinvia ad esso, dell'art. 5-bis, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui, relativamente all'indennità di espropriazione da attribuire per i terreni agricoli non aventi attitudine edificatoria, si rimette unicamente al valore agricolo medio risultante in tabelle vincolanti formate dalle competenti commissioni amministrative.
L'affidamento della quantificazione degli indennizzi alla insindacabile determinazione della pubblica amministrazione si porrebbe in contrasto, ad avviso del collegio rimettente, con gli artt. 42, terzo comma, e 24 della Costituzione.
Mentre, infatti, sarebbe legittimo il semplice "richiamo" legislativo a determinazioni amministrative, fatto a scopo correttivo dei valori venali liberi, e per fini estranei alla valutazione indennitaria, il rinvio alla decisione amministrativa ai fini di determinazione delle indennità incorrerebbe nella violazione dei predetti precetti costituzionali, risultando, tra l'altro, svincolato dalle caratteristiche concrete del bene.
Al riguardo, il giudice a quo richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 530 e n. 1165 del 1988.
Con la medesima ordinanza, la Corte d'appello di Trento ha altresì denunciato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui prevede, per tutte le aree non edificabili di diritto e di fatto, l'applicazione di un criterio di valutazione indennitaria unico, pari a quello delle aree agricole.
Tale norma contrasterebbe con gli artt. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione, ponendo sullo stesso piano beni con diverse caratteristiche concrete, quali terreni particolarmente adatti per la ricezione commerciale all'aperto, o per campeggi, o per posteggio o collocazione di edicola per la vendita di fiori o per stoccaggi (come il caso oggetto del giudizio a quo), o terreni peculiarmente destinati a sfruttamento industriale.
4. Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della prima delle questioni sollevate. Ha osservato, in proposito, che, in base agli artt. 12 e 15 della legge n. 865 del 1971, in caso di opposizione alla misura dell'indennità determinata in base ai valori agricoli medi o tabellari di cui all'art. 16, l'indennità stessa va calcolata in base al valore agricolo con riferimento alle colture effettivamente praticate sul fondo. Pertanto, la determinazione dell'indennità non sarebbe connotata da alcuna astrattezza.
Quanto alla seconda questione, essa é, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, inammissibile, in quanto prospettata in via meramente ipotetica, nella parte concernente la valutazione dei terreni peculiarmente destinati a sfruttamento industriale.
Nel merito, essa sarebbe comunque infondata, in quanto l'art. 42, terzo comma, della Costituzione assicura, si rileva nella memoria, il riferimento dell'indennizzo al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, e non al valore che il bene stesso sia suscettibile di assumere per il peculiare uso fattone dal proprietario indipendentemente dai connotati oggettivi del bene.
Pertanto, ove manchino anche le condizioni di una edificabilità di fatto, ogni ipotizzabile destinazione di un terreno diversa da quella fatta palese dalla sue oggettive ed attuali caratteristiche rimarrebbe senza rilievo ai fini della valutazione indennitaria.
Considerato in diritto
1. Le questioni sottoposte all'esame della Corte sono state sollevate da due ordinanze, rispettivamente della Corte di appello di Catania e di quella di Trento, e sono duplici anche se connesse.
La prima di esse riguarda l'art. 5-bis, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, nella parte in cui prevede, per tutte le aree non edificabili di diritto o di fatto, un unico criterio di valutazione indennitaria, pari a quello relativo alle aree agricole. La norma impugnata, ad avviso della Corte d'appello di Catania, violerebbe gli artt. 42, terzo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, impedendo una diversa valutazione per terreni peculiarmente adatti per la ricezione commerciale all'aperto, o per campeggi, o per stoccaggi (come nel caso di specie), o per terreni peculiarmente destinati a sfruttamento industriale. I medesimi rilievi, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione, sono stati svolti anche dalla Corte d'appello di Trento (ordinanza r.o. n. 600 del 1996).
La seconda questione, sollevata da quest'ultima Corte con l'ordinanza citata, riguarda l'art. 16, commi quarto e quinto, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale agevolata e convenzionata), come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), nonchè, in quanto rinvia ad esso, l'art. 5-bis, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359. Tale normativa, nella parte in cui, relativamente all'indennità di espropriazione da attribuirsi per i terreni agricoli non aventi attitudine edificatoria, si rimette unicamente al valore agricolo medio risultante in tabelle vincolanti formate dalle competenti commissioni amministrative, si porrebbe in contrasto con gli artt. 42, terzo comma, e 24 della Costituzione, affidando alla determinazione insindacabile della pubblica amministrazione la quantificazione degli indennizzi, con possibilità di dar luogo a valori non riferibili a quello effettivo del bene.
2. I due giudizi di legittimità costituzionale possono essere riuniti e decisi con unica sentenza, stante la parziale identità delle norme denunciate e la sostanziale connessione oggettiva delle questioni prospettate.
3. Preliminarmente, deve essere esaminata la eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri riguardo all'ordinanza della Corte di appello di Catania.
La eccezione é infondata. Ed infatti, lo stralcio della zona dal Piano regolatore generale e la adozione dello strumento urbanistico successiva all'esproprio non hanno mutato i termini della questione nella concreta fattispecie, in quanto ai sensi del comma 3 dell'art. 5-bis della legge n. 359 del 1992 é stata recepita la indicazione della giurisprudenza secondo cui la valutazione dell'edificabilità e conseguentemente del valore deve essere effettuata con riferimento alle "possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio".
4. Nel merito, entrambe le questioni sono infondate.
Anzitutto deve essere sottolineato, a precisare esattamente le questioni proposte nei limiti della rilevanza, come enunciata nella valutazione dei giudici a quibus, che risulta, per i terreni oggetto dell'espropriazione contestata, "l'esclusione di ogni vocazione edificatoria" o di "attitudine edificatoria" o di "suscettività edificatoria" neppure configurabile come "edificabilità di fatto".
In sostanza, con le proposte questioni di legittimità costituzionale si mira a far introdurre nell'ordinamento un tertium genus, tra le aree edificabili e tutte le altre aree, parificate, quanto alla stima dell'indennità, a quelle agricole, in tal modo superando la scelta del legislatore di suddividere le aree in due sole categorie (aree edificabili da una parte e tutte le rimanenti dall'altra). Tale scelta legislativa non presenta caratteri di irragionevolezza o di arbitrarietà tali da far riscontrare un vizio sotto i profili denunciati, nè comunque pregiudica di per sè il serio ed effettivo ristoro del proprietario espropriato.
La soluzione adottata dal legislatore (certamente non obbligata sul piano costituzionale) é stata netta, nel senso di creare, per semplificare il sistema, ai soli fini del calcolo della indennità di espropriazione, una dicotomia, contrapponendo le aree edificabili a tutte le altre.
Il calcolo indennitario é basato sulla media del valore venale ed il reddito dominicale rivalutato per le aree considerate edificabili.
Invece per le aree non classificabili come edificabili e per quelle agricole si applicano le norme di cui al Titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865, con tutti i relativi strumenti di tutela. Anche nell'ambito delle aree la cui indennità di espropriazione é commisurata al valore agricolo, in quanto non rientranti tra quelle edificabili, operano meccanismi differenziati che a loro volta tengono conto di una serie di elementi (Titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865 per la parte ancora in vigore); in ogni caso le tabelle formate dalle commissioni amministrative e le relative applicazioni non restano sottratte al sindacato giurisdizionale sugli atti dell'amministrazione e al potere di disapplicazione del giudice ordinario.
5. Resta di conseguenza del tutto fuori delle questioni, che deve risolvere la Corte, ogni problema di interpretazione, ai fini dei diversi metodi di calcolo dell'indennità, delle "possibilità legali ed effettive di edificazione" e della esigenza o meno del requisito congiuntivo o alternativo della "edificabilità di fatto" e di quella "legale", nonchè dei criteri per ravvisare un'area come edificabile, sempre ai fini dell'indennità.
Allo stesso modo, non può dubitarsi che l'anzidetto sistema dell'art. 5-bis si riferisce alle semplici aree, cioé a quelle non ancora edificate al momento della imposizione del vincolo espropriativo (Cass. 6 febbraio 1997, n. 1113) e non alle aree su cui insistono costruzioni e altre opere che hanno comportato una trasformazione urbanistica del territorio (art. 1 della legge n. 10 del 1977).
Inoltre l'anzidetto sistema é previsto ai soli fini del calcolo dell'indennizzo, senza incidere, con modificazioni della disciplina urbanistica ed edilizia, sul regime di edificabilità dei suoli.
Con ciò non si esclude che alcuni degli aspetti consequenziali, per casi marginali posti in rilievo dalle ordinanze, possano avere una rilevanza, ma nella diversa sede (estranea all'attuale giudizio di costituzionalità) della interpretazione del concetto di area edificabile ai sensi dell'art. 5-bis e della individuazione degli indici rivelatori della vocazione dell'area, anche in aderenza alla sua posizione, come influenzata dalla localizzazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevata, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di appello di Catania, ed in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trento con le ordinanze indicate in epigrafe.
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, commi quarto e quinto, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942, n. 1150; 18 aprile 1962, n. 167; 29 settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata), come modificato dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli) e, in quanto rinvia ad esso, dell'art. 5-bis, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevata, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Riccardo CHIEPPA
Depositata in cancelleria il 23 luglio 1997.