Sentenza n.1165 del 1988

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.1165

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, primo, secondo e sesto comma della legge della Provincia di Trento 2 maggio 1983, n. 14 (recte: della legge 20 dicembre 1972, n. 31, come modificata dalla legge 2 maggio 1983, n. 14, intitolata <Modificazioni ed integrazioni della normativa in materia di espropriazione>), promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1987 dalla Corte di Cassazione nel procedimento civile vertente tra il Comune di Trento e Marchel Diego ed altra, iscritta al n. 766 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53/1a Serie Speciale dell'anno 1987.

Visti gli atti di costituzione della Provincia Autonoma di Trento e del Comune di Trento;

udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

udito l'Avv. Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Trento.

Considerato in diritto

1. - La Corte di cassazione ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale vertenti su un unico combinato disposto costituito dai commi primo, secondo e sesto dell'art. 28 della legge della Provincia di Trento 2 maggio 1983, n. 14 (recte: sui commi primo, secondo e sesto dell'art. 28 della legge della Provincia di Trento 20 dicembre 1972, n. 31, come modificato dalla legge provinciale 2 maggio 1983, n. 14), che, nel dettare un particolare meccanismo di determinazione dell'indennità di espropriazione delle aree a specifica vocazione edificatoria, violerebbe: a) l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, in quanto non garantirebbe, sempre e comunque, al proprietario espropriato un <serio ristoro> del sacrificio imposto per utilità generale; b) gli artt. 24, 113 e 101 della Costituzione, in quanto lederebbe le garanzie poste da tali articoli a tutela dei diritti soggettivi dei singoli e al fine di assicurare un corretto esercizio della funzione giurisdizionale in relazione alla possibilità di ottenere un giusto indennizzo.

2. - Prima di giudicare le questioni di costituzionalità sollevate dal giudice a quo, occorre esaminare un'eccezione d'inammissibilità presentata dalla Provincia di Trento, secondo la quale le questioni relative al primo e al sesto comma dell'art. 28 sarebbero irrilevanti nella parte in cui si riferiscono ai criteri di determinazione dell'indennità in relazione alle espropriazioni di aree non edificabili.

L'eccezione va respinta.

Dall'esame dell'ordinanza di rimessione risulta sufficientemente chiaro che il giudice a quo ha posto questioni di costituzionalità con esclusivo riferimento alle norme della legge provinciale concernenti il meccanismo di determinazione del l'indennità in relazione all'espropriazione delle sole aree edificabili.

Questo meccanismo è precisamente determinato dal secondo comma dell'art. 28, il quale testualmente stabilisce che, per le aree a vocazione urbanistica, l'indennità di espropriazione <e commisurata alla media aritmetica tra il valore venale ed il valore che, entro le valutazioni fornite dalla commissione di cui al sesto comma, dev'essere attribuito all'area quale terreno agricolo considerato libero da vincoli di contratti agrari e secondo il tipo di coltura in atto al momento della redazione della stima o, se anteriore, al momento dell'occupazione d'urgenza>. Poiché, come s'è appena visto, nel calcolo della determinazione dell'indennità di esproprio per aree edificabili rientra anche il valore agricolo del bene, il cui meccanismo di determinazione e fissato nel primo comma dell'art. 28, e poiché proprio alla presenza di tale fattore nel calcolo dell'indennizzo il giudice a quo collega i propri dubbi di costituzionalità, il coinvolgimento del primo comma dell'art. 28 fra le disposizioni sospettate d'illegittimità deriva soltanto nella misura in cui tale comma entra nel combinato disposto che regola l'indennizzo in relazione alle espropriazioni di aree a vocazione urbanistica.

Analogo ragionamento deve farsi a proposito del sesto comma dell'art. 28, il quale e fatto oggetto di impugnazione in quanto entra, a sua volta, nel combinato disposto che disciplina la determinazione dell'indennità nel caso di espropriazione di aree edificabili.

In definitiva, l'indicazione del primo e del sesto comma dell'art. 28 a fianco del secondo comma dello stesso articolo tanto nella motivazione che nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione, lungi dal significare che il giudice a quo intenda arbitrariamente estendere la questione di costituzionalità a norme che non regolano il caso sottoposto al suo giudizio, è resa necessaria dal particolare meccanismo di determinazione dell'indennità di esproprio stabilito dal legislatore provinciale per le aree edificabili, il quale si compone di più fattori, uno dei quali e dato dal valore agricolo del bene, come determinato a norma dei commi primo e sesto dell'art. 28.

3. - Secondo il giudice a quo, nello stabilire che l'indennità di esproprio per le aree edificabili <è commisurata alla media aritmetica tra il valore venale e il valore che, entro le valutazioni fornite dalla commissione di cui al sesto comma, dev'essere attribuito all'area quale terreno agricolo>, l'art. 28, nei commi considerati, si porrebbe in contrasto con l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, tutte le volte che i valori tabellari minimi e/o massimi, individuati dalla predetta commissione e ritenuti vincolanti sia in sede amministrativa che in quella giudiziaria, risultino diversi o, comunque, non aderenti rispetto al valore effettivo del suolo da espropriare. Il giudice a quo precisa che oggetto di contestazione non e il meccanismo di liquidazione previsto dalle disposizioni impugnate, ma è, piuttosto, il modo in cui, per volontà del legislatore provinciale, va determinato l'elemento di calcolo relativo al valore agricolo: questo, infatti, non essendo fissato secondo l'effettivo apprezzamento del bene da espropriare, ma sulla base dei valori tabellari, minimi e massimi, determinati annualmente dalla commissione, potrebbe dar luogo a un indennizzo ingiustificatamente limitato o, all'inverso, eccessivo, ogni volta che i valori tabellari si discostino dal valore agricolo effettivo del bene da espropriare.

La questione non è fondata.

Come affermato in numerose decisioni (v. spec. sentt. nn. 15 del 1976, 231 del 1984, nonché 5 e 13 del 1980, 223 del 1983, 530 e 1022 del 1988), occorre ancora una volta ribadire che il <serio ristoro>, garantito ai privati espropriati dall'art. 42, comma terzo, della Costituzione, non deve corrispondere all'integrale valore effettivo del bene, essendo sufficiente, ai fini del rispetto di detto principio, che il valore venale sia assunto come termine di riferimento o valore massimo, che il legislatore, nella sua discrezionalità di valutazione, può contemperare con altri criteri, sempreché i correttivi utilizzati non producano l'effetto di far scadere l'ammontare dell'indennizzo al di sotto dell'indispensabile livello di congruità.

Le disposizioni della legge provinciale oggetto di impugnazione prevedono che, per le aree edificabili, l'indennità di espropriazione deve esser determinata facendo la media aritmetica tra il valore di scambio del bene da espropriare e il valore che va attribuito all'area quale terreno agricolo, all'interno dei limiti minimi e massimi fissati annualmente per le varie zone agrarie dalla commissione prevista dal sesto comma dell'art. 28.

Contrariamente a quanto supposto dal giudice a quo, il fatto che il correttivo al valore venale non sia necessariamente costituito dal valore agricolo effettivo del terreno da espropriare, ma sia rappresentato da un valore individuabile tra quelli minimi e massimi fissati ogni anno da una apposita commissione, non comporta, di per se, la violazione del principio cui il legislatore, secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve attenersi nel determinare l'indennità di esproprio: quello di assumere il valore effettivo del bene come base di riferimento dell'indennizzo, onde evitare una valutazione dello stesso del tutto astratta (sentt. nn. 5 e 13 del 1980, 223 del 1983, 231 del 1984).

Questo principio, infatti, non suppone affatto che il sistema di determinazione dell'indennizzo stabilito dal legislatore debba essere riferito al valore venale del bene in ogni elemento che compone il sistema stesso, essendo pienamente legittimo, come ha riconosciuto questa Corte in un precedente giudizio (sent. n. 231 del 1984), che un criterio di valutazione tabellare, ancorato al valore agricolo, possa essere inserito come correttivo all'interno di un meccanismo di determinazione dell'indennizzo che, nel suo insieme, tenga adeguatamente conto del valore effettivo dell'immobile da espropriare. E non si può negare che a questo principio risponda il particolare sistema di correzione del valore venale previsto dalle disposizioni impugnate: il modo di composizione della commissione di cui al sesto comma dell'art. 28 (per il quale prevalgono nella stessa membri di estrazione tecnica), la cadenza annuale con cui sono determinati i valori- limite, l'ancoraggio di tale determinazione al tipo di coltura e alle caratteristiche reali della zona considerata, l'automatico aggiornamento dei valori nel corso dell'anno in proporzione agli aumenti del costo della vita verificatisi fino al giorno della stima e, infine, la necessita, in sede di indennizzo, di definire il valore agricolo (da mediare con quello venale) in relazione alla concreta area da espropriare, costituiscono sufficienti garanzie perché possa ragionevolmente ritenersi che il correttivo previsto, ancorché limitato dai minimi e dai massimi tabellari, non sia tale da pregiudicare la congruità del complessivo sistema di indennizzo previsto in riferimento al valore effettivo del bene.

Del resto, che il sistema complessivo di liquidazione del l'indennizzo stabilito dalle disposizioni impugnate sia <diretto ad assicurare all'espropriato un valore, sia pure non pieno, concreto e specificamente riferito al bene ablato> è espressamente riconosciuto dallo stesso giudice a quo, così come non può essere negato da questa Corte, che, in più di un'occasione, ha giudicato non contrastanti con l'art. 42, comma terzo, della Costituzione correttivi al valore venale non direttamente collegati allo stesso (v., in particolare, sent. n. 15 del 1976 e ord. n. 607 del 1987).

4. - Non fondata è, altresì, la seconda questione di legittimità costituzionale, la quale, essendo stata posta dal giudice a quo come logicamente dipendente da quella precedentemente esaminata, va risolta in modo del tutto consequenziale rispetto alla prima.

Il giudice a quo, sulla premessa che anche il correttivo al valore venale previsto dalle norme impugnate dovesse essere riferito al valore effettivo dell'area da espropriare, ritiene che la disposizione secondo la quale tale correttivo vada determinato entro limiti minimi e massimi tabellari che non possono essere oltrepassati in sede di opposizione giudiziale alla stima (oltreché in sede di determinazione dell'indennizzo) lederebbe, nel caso che tali limiti si rivelassero troppo bassi o troppo elevati, tanto il diritto del privato ad agire in giudizio per la tutela della propria pretesa giuridica a un equo indennizzo (e, pertanto, violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione), quanto il potere del giudice di accertare liberamente l'operato dell'amministrazione (art. 101, secondo comma, della Costituzione).

Pur a voler trascurare il rilievo, altre volte sottolineato da questa Corte (sent. n. 84 del 1983), che l'insindacabilità da parte del giudice dei valori tabellari considerati non dipende tanto dalle disposizioni relative alle modalità di determinazione dell'indennizzo, quanto, piuttosto, dalle norme sui poteri del giudice nei confronti di atti amministrativi adottati nell'esercizio di una discrezionalità tecnica, non vi può esser dubbio che dalle disposizioni impugnate non deriva alcuna illegittima limitazione sia al potere del giudice di accertare fatti e circostanze rilevanti per la determinazione dell'indennizzo, sia al diritto del privato di vedersi riconosciuta in giudizio la liquidazione di un <serio ristoro>. Infatti, una volta che si e escluso che il correttivo, come tale, debba riferirsi al valore (agricolo) effettivo dell'area da espropriare e che esso, nella particolare disciplina predisposta dalle norme impugnate, sia in grado di pregiudicare la congruità dell'indennizzo nel suo complesso, non si vede in che modo possa prodursi, per effetto delle disposizioni considerate, una lesione del diritto di difesa del privato o di quello di agire in giudizio a tutela di propri diritti e, tantomeno, una menomazione della funzione giurisdizionale.

Sotto tale profilo, appare evidente la profonda differenza esistente tra il caso deciso nel presente giudizio e quello definito con la precedente sentenza n. 530 del 1988. In quest'ultima occasione, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima, in riferimento agli artt. 24 e 42, comma terzo, della Costituzione, una legge della Provincia di Bolzano, che prevedeva un sistema di determinazione dell'indennizzo il quale si risolveva integralmente in una definizione tabellare del valore agricolo.

Nell'assumere tale decisione la Corte, rilevando che la determinazione dell'indennizzo secondo la tecnica tabellare potrebbe dar luogo a valori non riferibili al valore effettivo del bene e, nonostante ciò, non modificabili dal giudice in sede di opposizione giudiziale alla stima, concludeva per l'incostituzionalità del sistema allora giudicato, in quanto non garantiva che l'indennizzo corrispondesse comunque al <serio ristoro> dovuto all'espropriato, rendendo anche impossibile la riparazione in sede giudiziale dell'eventuale lesione del diritto.

Orbene, nel caso sottoposto al presente giudizio l'una e l'altra delle evenienze ora ricordate sono del tutto escluse, proprio perché il sistema di determinazione dell'indennizzo non si risolve nella definizione tabellare dei valori, ma assume quest'ultima semplicemente come presupposto per un ragionevole correttivo di un sistema di liquidazione dell'indennizzo che, nel suo complesso, riconosce come base di riferimento il valore venale del bene.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 28, primo, secondo e sesto comma, della legge della Provincia di Trento 2 maggio 1983, n. 14 (recte: della legge 20 dicembre 1972, n. 31, come modificata dalla legge 2 maggio 1983, n. 14, intitolata <Modificazioni ed integrazioni della normativa in materia di espropriazione>), nella parte in cui si riferiscono a terreni aventi vocazione edificatoria, sollevata, in riferimento agli artt. 42, secondo e terzo comma, 113, primo e secondo comma, 101, secondo comma e 24, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, il 15 dicembre 1988.

Francesco SAJA, Presidente

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 29 Dicembre 1988.