SENTENZA N. 15
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Dott. Luigi OGGIONI, Presidente
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge 28 luglio 1967, n. 641 (concernente nuove norme in materia di edilizia scolastica e universitaria), che recepisce le disposizioni dell'art. 13 della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, per il risanamento della città di Napoli, promosso con ordinanza emessa il 7 marzo 1973 dal tribunale di Sanremo nel procedimento civile vertente tra Cane Ida ed altri e il Comune di Taggia, iscritta al n. 188 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 183 del 18 luglio 1973.
Visti gli atti di costituzione del Comune di Taggia e d'intervento del presidente del Consiglio dei ministri;
udita nell'udienza pubblica del 12 novembre 1975 la relazione del Presidente;
uditi l'avv. Mario Contaldi, per il Comune di Taggia, ed il vice avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
La legge 28 luglio 1967, n. 641, concernente nuove norme per l'edilizia scolastica ed universitaria, con l'art. 14, che recepisce l'art. 13 della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, per il risanamento della città di Napoli, stabilisce che l'indennità dovuta ai proprietari di aree espropriate debba calcolarsi sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio, ovvero, in difetto di locazione accertata, sulla media del valore venale e dell'imponibile netto ai fini dell'imposta sui terreni e sui fabbricati.
Il tribunale di Sanremo, investito del giudizio intentato da Cane Ida ed altri contro il Comune di Taggia e concernente la misura della indennità di esproprio corrisposta dal Comune stesso alle attrici a seguito della espropriazione di alcuni terreni a norma delle citate disposizioni, ha sollevato, con ordinanza 7 marzo 1973, questione di legittimità costituzionale delle disposizioni stesse per asserito contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Secondo l'ordinanza, la disciplina impugnata violerebbe il principio di eguaglianza, anzitutto perché, con il riferimento all'imponibile dell'imposta fondiaria, stabilito con i criteri di cui al decreto legislativo C.P.S. 12 maggio 1947, n. 356 e non più rivalutato da allora, indurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento fra i proprietari di terreni espropriati in momenti diversi, per effetto delle variazioni che inevitabilmente si verificherebbero, fra un esproprio e l'altro, nei valori monetari e nelle condizioni economiche del territorio.
Inoltre, la commisurazione dell'indennizzo ai canoni di affitto e, in difetto, all'imponibile catastale, produrrebbe una irrazionale discriminazione a danno dei proprietari di fondi condotti in proprio, per l'irrisorietà di quest'ultimo termine di riferimento, cioè dell'imponibile catastale, rispetto al dato ben più concreto e realistico costituito dai canoni di affitto degli ultimi dieci anni.
Infine, una ulteriore ingiustificata discriminazione risulterebbe posta in essere dalla disciplina impugnata, ove si consideri che, per quanto riguarda i redditi imponibili dei fondi urbani, la legge 23 febbraio 1960, n. 131 prevederebbe un sistema di aggiornamento annuale, che si tradurrebbe in una posizione di privilegio dei relativi proprietari rispetto a proprietari di fondi rustici, assoggettati invece ad imponibili non rivalutati ed espressi in valori da ritenersi irrisori e privi di significato economico.
L'ordinanza, notificata e comunicata, come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 del 18 luglio 1973.
Avanti a questa Corte si é costituito il Comune di Taggia, in persona del sindaco "pro tempore" dott. Romeo Panizzi, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Contaldi, che ha depositato le proprie deduzioni difensive il 6 agosto 1973.
La difesa del Comune osserva, anzitutto, che secondo la norma impugnata, il calcolo della indennità di esproprio viene effettuato tenendo conto anche del valore venale degli immobili espropriati, valore che ne costituirebbe, anzi, l'elemento di maggior rilievo, per cui le eventuali diversità derivanti dalla utilizzazione degli altri elementi di calcolo, previsti dalla legge, perderebbero importanza fino a divenire insignificanti.
D'altra parte, il ricorso ad elementi diversi dai canoni di affitto ai fini del calcolo dell'indennità, essendo previsto solo in difetto dei canoni stessi, sarebbe reso necessario da tale situazione di fatto, e la scelta del metodo di calcolo rientrerebbe nel discrezionale apprezzamento del legislatore, rispondente comunque, nella specie, a criteri razionali e coerenti con l'esigenza di individuare elementi obiettivi e certi di valutazione e di evitare oneri finanziari troppo pesanti per la collettività.
Altresì infondata sarebbe la pretesa discriminazione in danno dei proprietari di fondi rustici, trattandosi di situazioni non comparabili con quella dei proprietari di fondi urbani per le differenze di natura ontologica, economica e giuridica che le distinguerebbero e che troverebbero appunto riscontro nella diversità del regime fiscale dei fondi stessi, posta in luce dalla medesima ordinanza di rinvio.
Si é altresì costituito in questa sede il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni il 1 agosto 1973.
L'Avvocatura osserva preliminarmente che la dedotta questione sarebbe inammissibile, non risultando chiara dalla ordinanza di rinvio la rilevanza della questione stessa, per non essere stata precisata la natura dei beni espropriati in danno delle attrici nel giudizio principale, ed in particolare per non essere stato precisato se trattasi di fondi rustici od urbani, concessi in affitto o condotti direttamente. Tali precisazioni sarebbero invero indispensabili, data la sostanza della censura di illegittimità mossa alla norma impugnata.
Nel merito, l'Avvocatura contesta la fondatezza delle doglianze, osservando che questa Corte, con la sentenza n. 5 del 1960, avrebbe già portato il suo esame sulla disparità di trattamento fra soggetti espropriati, che deriverebbe dalla norma impugnata, escludendone la fondatezza per la diversità delle situazioni considerate e per la conseguente, riconosciuta discrezionalità del legislatore nel valutare i relativi interessi ed il modo di pervenire al massimo della rispettiva soddisfazione.
Comunque, secondo l'Avvocatura, la norma impugnata non produrrebbe, di per sé, le lamentate discriminazioni fra proprietari di fondi urbani e rustici, che sarebbe conseguente, invece, alla stasi del livello dell'imponibile dell'imposta fondiaria, risultante dalla mancanza di provvedimenti di rivalutazione dopo il decreto legislativo C.P.S. n. 356 del 1947, a fronte dell'aggiornamento annuale previsto per i fondi urbani dalla legge del 1960, n. 131.
D'altra parte, non sarebbe ipotizzabile una violazione del principio di eguaglianza per effetto della diversa epoca degli espropri, e della conseguente variazione della misura della indennità, che sarebbe invece effetto dell'inevitabile verificarsi, fra un esproprio e l'altro, di variazioni dei valori monetari e delle condizioni economiche del territorio.
Considerato in diritto
1. - La questione sollevata con l'ordinanza del tribunale di Sanremo, riguarda la norma sancita dall'art. 14 della legge 28 luglio 1967, n. 641 sull'edilizia scolastica, in quanto, recependo i criteri di valutazione dell'indennità di esproprio stabiliti dalla legge 15 gennaio 1885, n. 2892, sul risanamento della città di Napoli, (che stabilisce il riferimento alla media del valore venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio dei terreni espropriati, ovvero, in difetto di locazioni accertate, alla media del valore venale e dell'imponibile netto ai fini dell'imposta sui fabbricati), produrrebbe ingiustificate sperequazioni di trattamento fra i proprietari dei terreni espropriati, sotto vari profili e precisamente: a) per effetto della diversità delle liquidazioni, riscontrabile, col decorso del tempo, in conseguenza della svalutazione monetaria, che non troverebbe adeguata considerazione nel sistema censurato, dato il mancato adeguamento dell'imponibile fiscale, fermo ai criteri del d.l. n. 356 del 1947; b) il riferimento all'imponibile catastale, in difetto di locazione, colpirebbe i proprietari, conduttori in proprio, che, solo per tale loro qualità, vedrebbero irrazionalmente decurtato in modo grave l'indennizzo loro spettante; c) la descritta disciplina costituirebbe un privilegio ingiustificato a favore dei proprietari di fondi urbani, il cui imponibile é soggetto, invece, ad aggiornamento annuale in forza della legge 23 febbraio 1960, n. 131.
2. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito pregiudizialmente l'irrilevanza della questione, stante l'asserita mancata precisazione nell'ordinanza della natura rustica o urbana dei fondi espropriati e del tipo di conduzione degli stessi. L'eccezione é, peraltro, infondata, desumendosi dagli atti che il giudizio principale ha per oggetto l'indennità di esproprio che, come assumono gli attori (e non é contestato) é stata liquidata sulla base della media del valore venale e dell'imponibile catastale determinato a norma del d.l. n. 356 del 1947 sulla revisione degli estimi catastali dei terreni e del reddito agrario, il che é sufficiente per delineare l'ambito del giudizio ed evidenziare la rilevanza della questione sollevata ai fini della decisione del giudizio stesso.
3. - Nel merito, é da rilevare, anzitutto, che la legge 15 gennaio 1885, n. 2892, sul risanamento della città di Napoli, emanata al fine di provvedere alla eliminazione delle cause urbanistiche delle ripetute epidemie e delle condizioni di vita antigieniche cui era sottoposta la popolazione di quella città, ha preveduto (in deroga parziale ai criteri latamente discrezionali di cui all'art. 39 della legge n. 2359 del 1865) un sistema alternativo di accertamento degli indennizzi da versare ai proprietari dei fondi espropriati ai fini della ristrutturazione cittadina, sistema che aveva di mira l'individuazione di un punto di riferimento obiettivamente accertabile, in modo da garantire una certa uniformità del trattamento risarcitorio fra i soggetti espropriati. E, proprio a tal fine, la legge ha fatto riferimento ad un valore mediato fra il prezzo di mercato dei beni espropriandi e il coacervo dei relativi canoni di affitto dell'ultimo decennio, al fine di meglio adeguare le valutazioni alle diverse situazioni reali. Sempre seguendo lo stesso criterio, la legge ha, poi, preveduto, in difetto di locazione dimostrabile, il riferimento ad un altro dato patrimoniale obiettivamente accertabile, costituito dall'imponibile catastale.
Né va taciuto che tale sistema, oltre a perseguire la detta finalità, é stato altresì ispirato, in una certa misura, all'opportunità di tenere presenti alcune esigenze della pubblica finanza in materia.
Il sistema così adottato, con riferimento alla legge del 1885, indubbiamente aderente al particolare rilievo dell'interesse pubblico da perseguire, ha trovato successivamente applicazione in numerose altre disposizioni legislative riguardanti opere dirette a conseguire finalità di pubblico interesse (opere ferroviarie, stradali, di edilizia popolare).
In tale quadro, si inserisce la legge impugnata che si rapporta ad un vasto ed organico intervento finanziario dello Stato in materia di edilizia scolastica ed universitaria, cioè, appunto, in materia di preminente interesse pubblico, legata alla sistemazione urbanistica dell'intero territorio nazionale, con notevole impegno di mezzi finanziari a carico diretto dell'Erario.
4. - Da quanto premesso, é agevole trarre una prima conseguenza positiva di ordine generale circa la indubbia razionalità del sistema di determinazione degli indennizzi in esame, che, per gli esposti motivi, risponde ad esigenze apprezzabili dal punto di vista logico ed economico, e si armonizza con le prospettive di crescente impegno dell'intervento pubblico in materia.
Occorre aggiungere che il sistema di determinazione dell'indennizzo non prescinde affatto, come sembra ritenere il giudice a quo, da un certo adeguamento alla realtà economica, giacché, anche nell'ipotesi in cui non risultino canoni di locazione, entra sempre a far parte del calcolo relativo, come dato componente della media, il valore venale dell'immobile, il che contribuisce in modo determinante ad adeguare, sia pure entro certi limiti, l'ammontare dell'indennizzo alla realtà dei valori economici. Alla quale finalità di adeguamento é anche diretta la legge 22 dicembre 1969, n. 952, che, appunto in tema di edilizia scolastica e universitaria, ha stabilito una maggiorazione pari al 2 per cento annuo degli indennizzi dovuti al proprietario espropriato. Né d'altra parte, secondo la giurisprudenza della Corte, l'indennizzo per esproprio deve puntualmente corrispondere alla consistenza economica del bene espropriato, essendo sufficiente che esso costituisca un "ristoro" anche parziale, purché non meramente simbolico, il che, appunto, si verifica nella specie. É certo, che il sistema in esame garantisce, anche nella più ristretta ipotesi, un indennizzo pari alla media fra valore venale e reddito imponibile catastale, cioè pari ad una somma superiore, nella generalità dei casi, alla metà del valore venale. In base a queste considerazioni, emerge la garanzia di continuità, in un certo adeguamento della consistenza dell'indennizzo alla progressiva svalutazione monetaria, e si deve, quindi, escludere che, pur nella costanza dell'elemento di valutazione costituito dall'imponibile non aggiornato, la differenza di indennizzo fra proprietari espropriati in epoche diverse per beni in astratto di eguale valore, assuma la portata generale del prospettato vizio invalidante della norma impugnata, dovendosi altresì riconoscere che, entro l'ambito di una ineliminabile variabilità di casi singoli, disparità di trattamento siano connaturate all'attuazione, necessariamente graduale, di interventi urbanistici di ampio raggio, come quello in esame.
Le osservazioni sopra svolte circa la razionalità del sistema di determinazione dell'ammontare dell'indennizzo, contribuiscono anche ad escludere la fondatezza della censura concernente la pretesa disparità di trattamento a danno dei proprietari conduttori in proprio. Invero, la finalità del sistema stesso postula il ricorso a parametri di certa identificazione, ed il riferimento all'imponibile catastale, praticato in numerosi provvedimenti legislativi in materia analoga (e già riconosciuto utilizzabile, in via di principio, con sentenza di questa Corte n. 155 del 1972) rappresenta una delle soluzioni più conducenti ai fini perseguiti, in mancanza del dato costituito dal canone di locazione, e tale, quindi, da non potersi ritenere in contrasto con quei criteri di ragionevolezza, il cui riconoscimento é sufficiente ad escludere ogni sindacato in questa sede circa l'uso del potere discrezionale del legislatore. Il che, d'altro canto, non esclude ed anzi, in certo senso, sollecita un auspicabile intervento del legislatore per un graduale aggiornamento, nella materia in esame, dei dati catastali, onde accostarli, il più possibile, alla realtà economica.
5. - Anche per quanto riguarda la pretesa illegittimità della norma impugnata, conseguente alla situazione di privilegio che si sarebbe creata a favore di proprietari dei fondi urbani, i quali riceverebbero un indennizzo più adeguato alla svalutazione monetaria di quello liquidato ai proprietari dei fondi rustici, deve escludersi la sussistenza del lamentato vizio di illegittimità.
I fondi urbani e quelli rustici, invero, ai fini della determinazione del rispettivo indennizzo, presentano caratteri sostanzialmente diversi, nel senso che la loro situazione economico-sociale si presenta con note differenziali evidenti, ove si tenga presente che, a prescindere dalla incidenza dei fenomeni monetari, il variare del valore dei fondi rustici é essenzialmente legato, di regola, al mutare della qualità di coltura e classe di produttività dei fondi stessi, mentre quello dei fondi urbani é determinato dall'imponente e preponderante fenomeno del variare del valore dei fondi urbani e da una molteplicità di fattori, tra cui la varietà delle possibili destinazioni per fini economici. Ed appunto in relazione a tali caratteristiche sono stati stabiliti (legge 23 febbraio 1960, n. 131) coefficienti di aggiornamento annuale dell'imponibile dei fondi urbani, aggiornamento la cui funzione si svolge nel senso dell'incremento dei tributi cui i fondi sono sottoposti, oltre che nel senso dell'incremento dell'indennizzo spettante ai proprietari nel caso di espropriazione in forza della norma impugnata. L'aggiornamento in parola, pertanto, si armonizza con il sistema di calcolo del valore ai fini dell'indennizzo, e risponde al fine di accostarne il contenuto al valore reale. Indubbiamente, ciò rappresenta un meccanismo di aggiornamento più aderente di quello per i fondi rustici, in cui l'elemento variabile é il valore venale da mediare con quello dell'imponibile netto agli effetti dell'imposta terreni, imponibile da calcolare, tenuto conto della rivalutazione degli estimi catastali, risalente alla data del decreto legislativo C.P.S. 12 maggio 1947, n. 356. Ma tale differenza di disciplina, come si é detto, trova una razionale giustificazione nella superiore capacità di incremento del valore dei fondi urbani, e tanto può bastare per escludere la violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo prospettato nell'ordinanza di rinvio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, ultimo comma, della legge 28 luglio 1967 n. 641 (Norme sulla edilizia scolastica e universitaria) che ha recepito gli artt. 12 e 13 della legge 15 gennaio 1885 n. 2892 sul risanamento della città di Napoli, questione sollevata con l'ordinanza in epigrafe del tribunale di Sanremo, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1976.
Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 22 gennaio 1976.