SENTENZA N. 5
ANNO 1960
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente
Avv. GIUSEPPE CAPPI
Prof. TOMASO PERASSI
Prof. GASPARE AMBROSINI
Dott. MARIO COSATTI
Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, concernente provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori, promosso con ordinanza 23 gennaio 1959 del Tribunale di Tempio Pausania nel procedimento civile tra la Gestione INA-Casa e Gargiulo Lucia, Concetta, Maria e Buzzo Concetta ved. Gargiulo, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del 14 marzo 1959 e iscritta al n. 56 del Registro ordinanze 1959;
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 20 gennaio 1960 la relazione del Giudice Mario Cosatti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per la Gestione INA-Casa.
Ritenuto in fatto
Il Prefetto di Sassari con suo decreto dichiarò l'urgenza e l'indifferibilità delle opere di costruzione di case per lavoratori da eseguirsi nel Comune di La Maddalena a cura della Gestione INA-Casa, autorizzando l'occupazione dell'area all'uopo occorrente di proprietà di Gargiulo Lucia, Concetta e Maria con usufrutto a favore di Buzzo Concetta vedova Gargiulo. Non avendo le proprietarie accettato l'indennità offerta dalla INA-Casa, essa fu determinata dal perito nominato dal Presidente del Tribunale di Tempio Pausania. Effettuato il deposito della somma, il Prefetto con successivo suo decreto pronunciò l'espropriazione del terreno. L'INA-Casa propose opposizione alla stima peritale per non avere il perito adottato i criteri di stima di cui alla legge 15 gennaio 1885, n. 2892, per il risanamento della città di Napoli, espressamente richiamata dalla legge 28 febbraio 1949, n. 43, concernente provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori.
La difesa delle espropriate ha proposto questione sulla legittimità costituzionale dell'art. 23 della citata legge n. 43 del 1949 in quanto per la determinazione del valore delle aree da espropriare fa riferimento alle norme della legge n.2892 del 1885, in contrasto con i principi stabiliti dagli artt. 3, 42, 47 e 53 della Costituzione.
Il Tribunale, con ordinanza 23 gennaio 1959, ha ritenuto non manifestamente infondata la sollevata questione, perché può apparir dubbio "se sia conforme o meno ai principi della Costituzione che i sacrifici economici necessari per il raggiungimento di finalità sociali pubbliche, anziché distribuiti fra i cittadini secondo la loro capacità contributiva, vengano addossati ai singoli, espropriandone la proprietà a prezzo di gran lunga inferiore a quello venale (quale é l'indennità determinata secondo i criteri della legge per Napoli)"; "se l'indennizzo garantito dall'art. 42 della Costituzione debba essere o meno corrispondente, o almeno adeguato, all'intrinseco valore del bene espropriato"; e, infine, "se sia ammissibile una disparità di trattamento fra coloro che subiscono esproprio a causa di pubblica utilità secondo che l'espropriazione sia disposta in base alla legge generale 25 giugno 1865, n. 2359 - che attribuisce un indennizzo quasi pari al valore del bene espropriato - o in base alla legge 28 febbraio 1949, n. 43 - che stabilisce l'indennità in misura notevolmente inferiore".
Per tali considerazioni, il Tribunale ha ritenuto presupposto necessario per la definizione della controversia sottoposta al suo giudizio la risoluzione della proposta questione ed ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale.
L'ordinanza, notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 3 febbraio 1959, e comunicata ai Presidenti delle due Camere legislative, é stata pubblicata, per disposizione del Presidente di questa Corte ai sensi dell'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 64 del 14 marzo 1959 e iscritta al n. 56 del Registro ordinanze 1959.
Nel giudizio innanzi a questa Corte si sono costituite Gargiulo Lucia e Buzzo Concetta ved. Gargiulo, depositando deduzioni in cancelleria il 14 marzo 1959 con procura conferita all'avvocato Silvio Bertagna con elezione di domicilio in Roma presso l'avvocato Guido Vignolo; si é costituita anche la Gestione INA-Casa, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, con deposito di deduzioni il 17 marzo 1959.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto nel presente giudizio con atto depositato il 13 marzo 1959 a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato.
La difesa Gargiulo prende le mosse dalle norme contenute negli artt. 3, 47 e 53 della Costituzione: é compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l'uguaglianza dei cittadini e favorire l'accesso del risparmio popolare alla "proprietà dell'abitazione"; tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Da tali premesse, a suo dire, discende la conseguenza che i provvedimenti legislativi diretti a favorire la "proprietà dell'abitazione" non possono risolversi in gravami imposti a gruppi di cittadini anziché a tutti i cittadini.
La proprietà privata é riconosciuta e garantita dalla legge; garantire la proprietà significa garantire il bene oggetto di essa e quindi il relativo valore economico. La proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale (art. 42 della Costituzione) e ciò é perfettamente aderente alla sua funzione sociale. Ma l'espropriazione é ammessa solo nei casi preveduti dalla legge e salvo indennizzo: "giusta indennità", come statuisce l'art. 834 del Codice civile in vigore allorché ebbero inizio i lavori della Costituente; "giusto prezzo che avrebbe l'immobile in una libera contrattazione di compra-vendita", come dispone la legge 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità.
Al principio enunciato possono, secondo la difesa, farsi eccezioni allorché l'interesse pubblico coincida, o in qualche modo si accompagni, con l'interesse privato dei proprietari dei beni espropriati. Le norme della legge n. 2892 del 1885 per il risanamento di Napoli, che hanno stabilito per la determinazione delle indennità di espropriazione criteri diversi da quelli della legge generale, trovano giustificazione nella circostanza che anche i singoli proprietari espropriati vengono a trarre vantaggio dalle opere di risanamento della città.
Ma tale giustificazione non può ravvisarsi nelle situazioni previste dalla legge n. 43 del 1949, poiché al soddisfacimento del pubblico interesse non si accompagna alcun vantaggio per i proprietari espropriati; trattasi pertanto di finalità sociale, il cui onere deve essere invece distribuito fra tutti i cittadini.
Non sembra quindi ammissibile, tenuto anche presente l'art. 3 della Costituzione, una disparità di trattamento tra cittadini i cui beni vengano espropriati per causa di pubblica utilità in base alla legge generale n. 2359 del 1865 e cittadini i cui beni, come nella specie, vengano espropriati in base alla legge n. 43 del 1949 che fa riferimento alle norme della legge per Napoli.
La difesa osserva inoltre che non vale obiettare che solo il legislatore può valutare gli elementi tecnici, economici, finanziari, politici, per la determinazione comparativa dell'indennizzo garantito dall'art. 42 della Costituzione; tale concetto non può essere accolto, perché si potrebbe giungere ad escludere qualsiasi indennizzo in violazione della garanzia posta dal detto art. 42.
La difesa Gargiulo conclude per l'illegittimità costituzionale della norma impugnata.
L'Avvocatura generale dello Stato, nelle sue deduzioni in difesa della Gestione INA-Casa, premette che nell'art. 42 della Costituzione leggesi soltanto la parola "indennizzo", senza alcuna specificazione analoga alle locuzioni "corrispondente al giusto valore del bene espropriato" ovvero "esatto equivalente in numerario della privazione di un bene secondo i valori correnti al momento dell'espropriazione"; e che, anche a prescindere dal campo del diritto pubblico, nello stesso diritto privato la parola "indennità" é talvolta usata per indicare una compensazione economica che non corrisponde né può corrispondere al valore della perdita subita da un determinato soggetto.
Rileva che il punto fondamentale della questione é quello di stabilire se spetti o meno al legislatore ordinario la facoltà di determinare la misura degli indennizzi e, nell'affermativa, quali possano. essere natura e limiti di tale facoltà.
A tal proposito ritiene l'Avvocatura dello Stato che il legislatore abbia facoltà di stabilire un limite all'eventuale arbitrio dei periti, offrendo al giudice criteri concreti per la valutazione dei beni soggetti ad espropriazione; potere questo discrezionale e insindacabile, diretto a ritrovare un punto di equilibrio tra le varie esigenze pratiche, ad accertare la prevalenza di alcune tra esse sulle altre e ad armonizzarle.
Richiamando, infine, la sentenza di questa corte n. 61 del 1957, reputa che anche nel caso in esame debbano trovare applicazione i principi in quell'occasione affermati.
L'Avvocatura dello Stato conclude chiedendo che voglia la Corte dichiarare infondata la proposta questione di legittimità costituzionale.
Con memoria depositata il 7 gennaio 1960 nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri, l'Avvocatura dello Stato ribadisce le considerazioni enunciate nelle deduzioni sopra ricordate, soggiungendo che l'art. 23 della legge n. 43 del 1949 non si appalesa in contrasto neppure con gli artt. 47 e 53 della Costituzione, in quanto il primo ha per oggetto la tutela del risparmio in tutte le sue forme e il secondo riguarda il sistema tributario; mentre il problema della determinazione dell'indennizzo nei casi di espropriazione deve essere esaminato e risolto solo in base all'art. 42 della Costituzione.
Alla udienza pubblica il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò ha illustrato le argomentazioni e confermato le conclusioni di cui agli scritti difensivi.
Considerato in diritto
Con l'ordinanza 23 gennaio 1959 il Tribunale di Tempio Pausania ha proposto una questione di legittimità costituzionale che, nel suo aspetto generale, ha già formato oggetto di esame da parte della Corte.
Il punto centrale della questione é sostanzialmente quello di stabilire quali siano il significato e l'esatta portata della parola "indennizzo" usata nell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. In altri termini, si tratta di precisare se l'indennizzo da corrispondere al proprietario espropriato per motivi di interesse generale debba o meno corrispondere al giusto prezzo dell'immobile espropriato.
Con sentenza n. 61 del 13 maggio 1957 questa Corte ha in proposito statuito che non é dato attribuire alla parola "indennizzo" una interpretazione meramente letterale ed etimologica, in quanto il Costituente - tenuto anche conto di elementi storici - non ha inteso, relativamente all'indennizzo, adottare il solo criterio della effettiva corrispondenza al valore venale dell'immobile, fissato dall'art. 39 della legge generale 25 giugno 1865, n. 2359, sulle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità. Tale criterio leggi successive (legge 15 gennaio 1885, n. 2892, per il risanamento della città di Napoli, R.D.L., 6 luglio 1931, n. 981, per il piano regolatore della città di Roma e numerosi altri provvedimenti legislativi) avevano già superato, nella considerazione che gli scopi di pubblica utilità e le finalità sociali, per la stessa loro natura di superiori interessi, non possono essere subordinati a quelli privati e, sia pur contemperati e coordinati con questi ultimi, debbono essere realizzati.
Ha, pertanto, ritenuto la Corte non ammissibile che proprio la Costituzione, informata ad ampie finalità di progresso sociale, abbia inteso in ordine all'indennizzo ritornare esclusivamente al criterio della effettiva corrispondenza al valore venale dell'immobile; ed ha in conseguenza affermato che l'indennizzo non significa in ogni caso integrale ristoro del sacrificio subito per effetto dell'espropriazione, ma "il massimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica Amministrazione può garantire all'interesse privato. Ciò importa che la valutazione comparativa di tali interessi e il modo come pervenire al massimo della rispettiva soddisfazione deve essere il risultato di un complesso e vario esame di elementi tecnici, economici, finanziari, politici, che solo al legislatore può essere dato di compiere".
Al legislatore ordinario deve quindi riconoscersi, per le ragioni dette e ai fini indicati, un potere discrezionale; il quale trova pur sempre un limite, quello cioè che l'esigenza di un indennizzo non può ritenersi soddisfatta con disposizioni che vengano ad attuare un indennizzo apparente o puramente simbolico.
Tali concetti, confermati nelle sentenze di questa Corte n. 33 del 1958 e n. 41 del 1959, sono stati ribaditi nella recente sentenza n. 67 del 22 dicembre 1959.
Alla stregua pertanto dei principi sopra enunciati deve concludersi che l'impugnato art. 23 della legge 28 febbraio 1949, n. 43 (concernente provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori), il quale per la determinazione dell'indennizzo ai proprietari espropriati non stabilisce la corresponsione del valore venale delle aree di cui trattasi ma recepisce dalla legge n. 2892 del 1885 per Napoli il criterio di determinare l'indennità "sulla media, sul valore venale e sui fitti coacervati dall'ultimo decennio e in difetto sull'imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati", non si pone in contrasto con l'art. 42 della Costituzione.
Né può ravvisarsi violazione degli artt. 3, 47 e 53 della Costituzione. Infatti per quanto concerne l'art. 3, questa Corte ha stabilito che a situazioni diverse non può essere imposta identica disciplina e che una legge che pareggiasse situazioni oggettivamente diverse violerebbe del pari il principio dell'uguaglianza (sentenza n. 53 del 1958); per quanto poi riguarda gli articoli 47 e 53, essi hanno per oggetto rispettivamente la tutela del risparmio e il sistema tributario e operano quindi in campi estranei a quello relativo al presente giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione proposta dal Tribunale di Tempio Pausania con ordinanza 23 gennaio 1959 sulla legittimità costituzionale delle norme contenute nell'art. 23 della legge 28 febbraio 1949, n. 43, concernente provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, 3, 47 e 53 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1960.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.
Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 1960.