Sentenza n. 33 del 1958
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SENTENZA N. 33

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P. R. 7 febbraio 1951, n. 69, del D.P.R. 18 dicembre 1952, n. 3178, e degli artt. 16 e 18 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, promosso con ordinanza del 10 dicembre 1956 della Corte d'appello di Bologna nel procedimento civile tra Patrignani Giuseppe e l'Ente per la colonizzazione del delta padano, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 del 16 febbraio 1957 ed iscritta al n. 26 del Registro ordinanze 1957.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 2 aprile 1958 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò.

 

Ritenuto in fatto

 

Davanti alla Corte di appello di Bologna pendevano due cause riunite in grado d'appello tra Patrignani Raffaele e Giuseppe e l'Ente per la colonizzazione del delta padano, nonché il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'agricoltura e foreste, aventi per oggetto la rivendica di terreni siti in comune di Comacchio e iscritti alle partite catastali n. 514 e 499, trasferiti in proprietà dell'Ente anzidetto in virtù dei D.P. 18 dicembre 1952, n. 3178, e 18 dicembre 1952, n. 3179.

Gli attori richiesero che gli atti fossero rimessi alla Corte costituzionale per la decisione delle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate sin dal primo grado dei giudizi. Con due distinte ordinanze dei 10 dicembre 1956 la Corte d'appello accoglieva parzialmente la richiesta, ritenendo non manifestamente infondate le proposte eccezioni soltanto in relazione ai seguenti capi:

1) Illegittimità del D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69 (non vengono precisati gli articoli), e dei D.P. 18 dicembre 1952, n. 3178 e 3179, in relazione agli artt. 3 e 44 della Costituzione. Tali decreti risultano fondati sulla tabella allegata alla legge 21 ottobre 1950, n. 841, la quale sarebbe in contrasto col principio costituzionale per cui il limite d'estensione della proprietà terriera, da stabilirsi secondo le diverse regioni e zone agrarie, deve essere oggettivamente determinato, e non può variare in base alla condizione soggettiva del proprietario. La menzionata tabella ha invece determinato un limite di estensione soggettivamente variabile in relazione alla maggiore o minore possidenza dei cittadini, i quali pertanto vengono a subire un diverso trattamento in rapporto a quelle condizioni personali che l'art. 3 della Costituzione ha inteso abolire.

2) Illegittimità degli stessi decreti in relazione all'art. 42 della Costituzione in quanto la indennità di esproprio, sia per l'ammontare che per le modalità di corresponsione (oltre tutto, con determinazione provvisoria e senza deposito) alla stregua degli artt. 16 e 18 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, - anche essi illegittimi in relazione all'art. 42 della Costituzione -, non possiede gli essenziali requisiti dell'indennizzo stabilito dalla Costituzione stessa come condizione di legalità di qualsiasi espropriazione. La stessa indennità non rifletterebbe poi il valore dei beni al momento del trasferimento della proprietà, bensì il preteso valore di sei anni prima, trascurando le migliorie, le sistemazioni e le addizioni poste in essere dopo il marzo 1947.

3) Gli impugnati decreti sarebbero inoltre in contrasto con gli artt. 3 e 4 della legge 12 maggio 1950, n. 230, 1 della legge 18 maggio 1951, n. 333, e 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, perché i piani particolareggiati n. 132/2 (approvato col D.P. n. 3179) e n. 333/1 (approvato con D.P. n. 3178) non sarebbero stati pubblicati entro il 31 dicembre 1951. I Patrignani avevano anche proposto, nel giudizio di primo grado, querela di falso contro la data di pubblicazione dei piani in questione nel Foglio annunzi legali.

4) Relativamente, infine, al D.P. 3179 del 1952 si assume ancora la violazione dell'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, per essere stata stabilita la quota di esproprio non già in base al reddito catastale dell'intera proprietà al 1 gennaio 1943, bensì con riferimento al reddito del 1 gennaio 1952, con conseguente notevole aggravio della quota di scorporo; e inoltre perché il "coacervo" é stato determinato in relazione anche ai beni extra - Delta, contrariamente al criterio della quota proporzionale di esproprio da soddisfarsi entro il Delta.

Le ordinanze della Corte di appello furono regolarmente notificate.

Il 1 marzo 1957 si costituivano in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell'agricoltura e foreste e l'Ente per la colonizzazione del delta padano, rappresentati dall'Avvocatura generale dello Stato.

Non risultano costituiti i Patrignani.

L'Avvocatura dello Stato ha presentato le seguenti deduzioni:

1) In via pregiudiziale, viene eccepita la inammissibilità delle questioni, non rivestendo esse il necessario carattere di pregiudizialità e di incidentalità in relazione al giudizio di merito. In tale giudizio, infatti, i decreti impugnati sarebbero stati posti come oggetto principale e immediato dell'azione dei Patrignani (petitum), e non già in via incidentale, come questione pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio di merito.

2) Nel merito, si sostiene la infondatezza della questione in ordine all'asserita violazione degli artt. 3 e 44 della Costituzione. Se l'art. 44 ammette che la legge fissi limiti all'estensione della proprietà terriera privata "secondo le regioni e le zone agrarie", é evidente che l'attuazione dello scopo costituzionale é confidata al potere discrezionale del legislatore ordinario. Non ha fondamento l'idea che i limiti debbano essere sempre e in ogni caso prefissati in modo costante e immutabile. In funzione del razionale sfruttamento del suolo e dello stabilimento di equi rapporti sociali lo scorporo non può avvenire sulla base dell'identico parametro. Da ciò deriva l'adozione della tabella allegata alla legge stralcio, con le differenziazioni fra le varie proprietà private.

3) Quanto all'ammontare ed alle modalità di corresponsione della indennità di esproprio, gli artt. 42, 43 e 44 non pongono alcun limite alla piena libertà del legislatore ordinario, che deve pertanto ritenersi fornito di potere discrezionale nella determinazione della contropartita al sacrificio del diritto del singolo.

4) Circa la tardività della pubblicazione dei piani di scorporo l'Avvocatura sostiene che sia "da revocare in dubbio se la questione medesima esista realmente, e comunque se essa, allo stato attuale del procedimento, possa essere sottoposta alla Corte costituzionale". Nel silenzio, infatti, della ordinanza della Corte di appello di Bologna sul punto della querela di falso proposta dai Patrignani in primo grado contro il Foglio annunzi legali che pubblicava i piani di scorporo, la stessa querela deve considerarsi tuttora pendente. Con la conseguenza che, allo stato, non é dato stabilire se sussista davvero l'assunta violazione della legge delega. Mancando, pertanto, alla eccezione sollevata il necessario carattere di incidentalità ai fini della decisione del giudizio di merito viene chiesta alla Corte costituzionale la relativa pronuncia di inammissibilità. Quanto, poi, al merito della stessa questione, la si ritiene infondata, considerato che l'art. 1 della legge 18 maggio 1951, n. 333, che prescrive la pubblicazione dei piani di esproprio non oltre il 31 dicembre 1951, non prevede sanzione alcuna di decadenza in caso di inosservanza di tale termine.

5) Si sostiene che sia anche infondata la questione circa il mancato riferimento, per la determinazione dell'esproprio, al reddito catastale del 1 gennaio 1943. L'art. 4 della legge stralcio, infatti, nel riferirsi a tale data, stabilisce solo che debbano applicarsi, come in realtà é avvenuto, le tariffe dell'estimo entrato in vigore appunto il 1 gennaio 1943, non che debbasi tener conto degli specifici redditi iscritti in catasto a tale data; dovendosi invece riguardare quelli vigenti al momento della pubblicazione del piano di esproprio.

6) Quanto, infine, al coacervo dei beni siti al di là del territorio del delta é da considerare che gli artt. 4 e 13 della legge stralcio fissano inequivocabilmente la necessità di porre a base del computo di scorporo l'intera proprietà del soggetto passivo, ovunque si trovi nel territorio della Repubblica, prevedendo altresì che, nel caso di beni siti entro e fuori del territorio di applicazione della legge stralcio, lo scorporo debba applicarsi nell'accennato territorio fino alla totale applicazione della quota di legge, anche se dovesse essere in tal modo assorbita tutta la consistenza patrimoniale dei beni del soggetto passivo siti nella zona medesima.

Alla stregua della accennate considerazioni l'Avvocatura dello Stato conclude che la Corte:

1) in via principale: dichiari l'improponibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nell'ordinanza depositata il 21 gennaio 1957 della Corte d'appello di Bologna;

2) in subordine: dichiari l'infondatezza delle questioni stesse.

All'udienza del 2 aprile fu disposto che per i due giudizi si procedesse congiuntamente alla discussione.

 

Considerato in diritto

 

La Corte ha ritenuto che dei due giudizi congiuntamente discussi possa decidersi con sentenza soltanto quello relativo al decreto d'esproprio n. 3178 (n. 26 Reg. ord. 1957), mentre per l'altro si provvede con separata ordinanza. Pertanto, limitatamente al primo, si osserva:

Non può essere accolta la eccezione di improponibilità, con la quale dall'Avvocatura dello Stato si nega alla proposta questione di legittimità costituzionale il carattere di incidentalità, sostenendosi che dove, in un modo o nell'altro, si faccia questione del permanere di un diritto di proprietà in contrasto con un atto che tale diritto trasferisca ad altro soggetto, ivi é giocoforza riconoscere che oggetto principale ed esclusivo del giudizio non può essere che la consistenza giuridica dell'atto di trasferimento, e che pertanto non vi é una cognizione quoad titulum che sia incidentale rispetto a quella quoad dominium, verificandosi al contrario la coincidenza del petitum con la causa petendi. Tale eccezione, proposta in numerosi altri giudizi, fu già respinta da questa Corte con la sentenza n. 59 del 1957, e le ragioni allora addotte rimangono ferme anche per l'attuale controversia.

Nel merito tutte le questioni sono state anche esse esaminate e risolute in precedenti sentenze di questa Corte. Nell'ordine fissato dall'ordinanza esse possono così riassumersi:

1) Determinazione dei limiti di estensione della proprietà terriera effettuata, nella tabella delle percentuali di scorporo allegata alla legge n. 841 del 1950, sulla base non soltanto di criteri oggettivi ma anche del criterio soggettivo della possidenza del proprietario: e ciò in contrasto con l'art. 44 della Costituzione che fissa i limiti di estensione della proprietà terriera secondo le regioni e le zone agrarie; e in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione in virtù del quale i cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzione di condizioni personali e sociali. Tale eccezione fu respinta da questa Corte con sentenza n. 65 del 1957, riconoscendosi che con la menzionata tabella non si era operata alcuna violazione al principio dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e che con l'assoggettare alla espropriazione di una percentuale più alta i proprietari di maggiori estensioni, e col diminuire la percentuale stessa dove il reddito medio é più elevato, si é tenuto presente il fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, in obbedienza ai principi fissati dall'art. 44 della Costituzione.

2) Illegittimità costituzionale degli artt. 16 e 18 della legge n. 841 del 1950, per avere determinato l'indennità di esproprio, in riguardo sia all'ammontare che alle modalità di corresponsione, in contrasto col principio fissato dal terzo comma dell'art. 42 della Costituzione. Anche su tale questione si é pronunciata questa Corte, con sentenza n. 61 del 1957, dichiarandola non fondata e riconoscendo legittimo il principio per il quale é deferito al legislatore di stabilire l'equa misura, oltre che il modo e il tempo dell'indennizzo, contemperando nel modo migliore l'interesse del privato con le finalità di interesse pubblico, cui si ispira la riforma agraria.

3) Violazione della delega legislativa, e precisamente delle norme di cui agli artt. 3 e 4 della legge n. 230 del 1950, 1 della legge n. 333 del 1951, 2 della legge n. 339 del 1952, per avvenuta pubblicazione del piano particolareggiato di scorporo oltre il termine del 31 dicembre 1951 stabilito dalla legge delegante: questione dichiarata non fondata dalla sentenza n. 60 del 1957 di questa Corte, con la quale si ritenne che la tardiva pubblicazione non vizia il decreto delegato perché non concorre alla sua formazione, e potrebbe determinare soltanto una diversa decorrenza del termine di venticinque giorni per le eventuali osservazioni, a norma dell'art. 23 del D.L. 7 febbraio 1951, n. 69. Nessuna influenza pertanto può avere la questione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura dello Stato relativa alla querela di falso proposta dal Patrignani contro la data di pubblicazione del piano nel Foglio annunzi legali

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinte le eccezioni pregiudiziali sollevate dall'Avvocatura dello Stato;

dichiara non fondata la questione proposta con l'ordinanza della Corte di appello di Bologna del 10 dicembre 1956 sulla legittimità costituzionale del D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69, del D.P.R. 18 dicembre 1952, n. 3178, e degli artt. 16 e 18 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione, e agli artt. 3 e 4 della legge 12 maggio 1950, n. 230, 1 della legge 18 maggio 1951, n. 333, 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 2 maggio 1958.