Sentenza n. 145

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SENTENZA N. 145

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO

- Avv.    Massimo VARI

- Dott.   Cesare RUPERTO

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof.    Valerio ONIDA

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promossi con ordinanze emesse il 29 dicembre 1995 (n. 2 ordinanze) dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Belluno, il 1° dicembre 1995 dal Pretore di Latina ed il 18 marzo 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Belluno, rispettivamente iscritte ai nn. 220, 221, 279 e 499 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 14 e 23, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1996 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. - Il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Belluno, con tre ordinanze emesse due il 29 dicembre 1995 ed una il 18 marzo 1996, ha denunciato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 60, ultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, "laddove esclude l'applicazione delle pene sostitutive ai reati previsti dalle leggi in materia urbanistica ed edilizia, quando per detti reati la pena detentiva non é alternativa a quella pecuniaria".

Più in particolare, il giudice a quo, richiesto della emissione del decreto penale nei confronti di imputato dei reati di cui all'art. 20, lettera c, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e 1-sexies, del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito nella legge 8 agosto 1985, n. 431, con applicazione della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, accoglieva la richiesta solo relativamente al secondo reato, dato che l'art. 60, ultimo comma, della legge n. 689 del 1981, non consente "la sostituzione della pena detentiva per i reati in materia urbanistica e edilizia, quando la pena detentiva non é alternativa a quella pecuniaria".

Di fronte alla reiterazione della richiesta, a fondamento della quale si era invocata l'applicazione della sentenza di questa Corte n. 254 del 1994, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981 nella parte in cui esclude l'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319 - statuizione da ritenersi secondo il giudice a quo estensibile ai reati edilizi e urbanistici - il giudice stesso ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981.

Rileva il rimettente che la lettera della norma in questione può far ritenere che il regime che preclude l'applicabilità delle pene sostitutive riguardi soltanto i reati previsti dall'art. 20, lettere b e c, della legge n. 47 del 1985, e non si estenda, invece, al reato di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito nella legge 8 agosto 1985, n. 431, così da accogliere una nozione più ristretta di "urbanistica", come concetto riferito all'assetto del territorio urbano e agli interventi e trasformazioni che lo riguardano, con esclusione della tutela del paesaggio e dell'ambiente; ed osserva che non può aver rilievo al riguardo il precetto dell'art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che, pur fornendo una diversa definizione dell'urbanistica come materia comprensiva della protezione dell'ambiente, riguarda esclusivamente l'ambito amministrativo. Ciò premesso, sarebbe evidente una ingiustificata disparità di trattamento, tanto più che il paesaggio é oggetto di diretta protezione costituzionale.

2. - Nei tre giudizi instaurati dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Belluno é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata, in quanto già decisa con ordinanza n. 480 del 1994, appunto, di manifesta infondatezza.

3. - Un'analoga questione ha sollevato anche il Pretore di Latina, con ordinanza del 1° dicembre 1995, denunciando, sempre in riferimento all'art. 3 della Costituzione - ed utilizzando il medesimo tertium comparationis evocato dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Belluno - l'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, "nella parte in cui non consente l'applicazione delle sanzioni sostitutive di cui all'art. 53 della stessa legge ai reati previsti in materia edilizia ed urbanistica quando per detti reati la pena detentiva non sia alternativa con quella pecuniaria ed in particolare all'art. 20, lettera b, della legge 28 febbraio 1985, n. 47".

4. - Anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata, in quanto già decisa con ordinanza n. 480 del 1994.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe. I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - Comune oggetto di censura é l'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui esclude dall'applicazione delle sanzioni sostitutive i reati previsti dalle leggi in materia urbanistica ed edilizia, quando per i detti reati la pena detentiva non é alternativa alla pena pecuniaria.

Comune é pure il richiamo all'art. 3 della Costituzione, evocato per la dedotta ingiustificata disparità di trattamento derivante dallo specifico divieto imposto dalla norma denunciata, un divieto non operante, invece, nei confronti di reati che tutelano un analogo bene giuridico e che sono, per giunta, assoggettati ad una medesima sanzione penale: quelli previsti, cioé, dall'art. 1-sexies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. "legge Galasso"), che, per "la violazione di cui al presente decreto", ferme restando le sanzioni di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, dispone altresì l'applicazione di quelle previste dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Donde la prospettazione di un identico tertium comparationis per essere tali ipotesi di reato, in quanto non menzionate dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981, ammesse al regime delle sanzioni sostitutive.

3. - La questione é stata peraltro sempre proposta nel corso di giudizi per reati previsti dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47 - concernente l'attività urbanistico-edilizia - in taluni casi connessi alla violazione dell'art. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985. Più in particolare, il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Belluno, richiesto dal pubblico ministero della emissione del decreto penale di condanna per i reati di esecuzione abusiva di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, con la concomitante sostituzione della pena detentiva nella pena pecuniaria, accoglieva la richiesta solo per il sopracitato reato di cui all'art. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985, essendo per questo consentita la sostituzione; viceversa, di fronte alla reiterata richiesta di applicazione dell'art. 53 e seguenti della legge n. 689 del 1981 pure per i reati edilizi, premesso che, non disciplinando la "legge Galasso" (in cui il citato decreto-legge é stato convertito) la materia urbanistica, ma il paesaggio - oggetto, per giunta, di protezione di rilievo costituzionale - l'ammissione alle sanzioni sostitutive previste dalla legge n. 689 del 1981 dei reati contemplati da tale legge e non anche dei reati previsti dall'art. 20, lettere b e c, della legge n. 47 del 1985, si rivelerebbe del tutto irrazionale, ha sollevato la predetta questione di legittimità (v. le due ordinanze del 29 dicembre 1995). Una questione poi nuovamente proposta in altra occasione (v. ordinanza del 18 marzo 1996) di fronte alla richiesta di decreto penale con applicazione della sanzione sostitutiva della pena pecuniaria in ordine al solo reato di cui all'art. 20, lettera b, della legge n. 47 del 1985, invocando sempre, quale tertium comparationis, la disciplina derivante dal combinato disposto della norma censurata e dell'art. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985.

Analoghe le argomentazioni del Pretore di Latina, chiamato a giudicare della contravvenzione prevista dall'art. 20, lettera b, della legge n. 47 del 1985, anche qui additandosi come tertium comparationis l'art. 1-sexies del decreto-legge sopra ricordato, col fare appello ad una prospettiva unitaria della tutela del patrimonio ambientale, comprensiva sia della normativa urbanistica sia della normativa paesaggistica.

4. - Appare opportuno premettere che questa Corte ha già avuto occasione di prendere in esame un'identica questione, dichiarandola manifestamente infondata con ordinanza n. 480 del 1994. Detta pronuncia fu adottata basandosi sulla linea interpretativa all'epoca pressochè unanimemente seguita dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso che la legge n. 689 del 1981 non consente che le pene sostitutive possano essere applicate al reato previsto dall'art. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito nella legge 8 agosto 1985, n. 431, il quale, riguardando la tutela delle zone di particolare interesse ambientale, concerne anche la materia urbanistica, conseguentemente operando per esso il divieto di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981.

Pure se le ordinanze di rimessione omettono di indicare il detto precedente (un cenno alla giurisprudenza della Corte di cassazione richiamata dalla decisione n. 480 del 1994 risulta però nell'ordinanza del Pretore di Latina, che la considera una interpretazione "ingiustamente penalizzatrice" e da non condividersi), di esso questa Corte non può non tener conto. Ed infatti l'applicabilità delle sanzioni sostitutive ai reati previsti dall'art. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, rappresenta il tertium comparationis indicato dai giudici a quibus che comproverebbe, a loro avviso, l'arbitrarietà della sottrazione dei reati in materia urbanistica ed edilizia al detto regime, non potendosi d'altra parte, secondo i giudici stessi, pervenire, sul piano interpretativo, a soluzione diversa da quella risultante dalla lettera dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981. Del resto, dopo l'indicata statuizione di questa Corte, un nuovo assetto interpretativo va profilandosi nella giurisprudenza di legittimità fondato sull'opposto principio in base al quale il divieto di sostituzione delle pene detentive brevi non può riguardare anche i reati in materia paesaggistica perchè questi si differenziano dai reati in materia urbanistica per molteplici aspetti e non possono quindi essere sottoposti alla disciplina che concerne le esclusioni oggettive dalla sostituzione.

In presenza di un panorama giurisprudenziale in tal modo modificato, la Corte deve comunque stabilire se un regime nel quale l'accesso alle sanzioni sostitutive, nonostante sia consentito relativamente ai reati in materia paesaggistica, é invece precluso per i reati in materia urbanistica ed edilizia, risulti tale da dar luogo ad una disparità di trattamento davvero talmente priva di giustificazione da rasentare l'arbitrarietà.

5. - La questione non é fondata.

Talune ordinanze di rimessione (precisamente quelle del Pretore di Belluno) non hanno mancato di ricordare, a conforto della dedotta illegittimità della norma ora denunciata, la sentenza n. 254 del 1994, con la quale questa Corte dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981 "nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento".

Ma va subito osservato come il richiamo alla detta decisione non appare pertinente, considerate le differenze morfologiche esistenti tra il divieto dichiarato incostituzionale ed il divieto oggetto dell'attuale giudizio di costituzionalità.

Nell'un caso infatti l'emergere della diseguaglianza risultava di agevole comprensione attraverso la semplice comparazione tra le prescrizioni sottratte nominatim al regime delle sanzioni sostitutive, e le prescrizioni sopravvenute, non comprese nel catalogo dei divieti; cosicchè l'illegittimità venne dichiarata dandosi rilievo alla concomitante evocazione di tertia comparationis additati in fattispecie di reato sopravvenute alle corrispondenti indicazioni preclusive contenute nell'art. 60 della legge n. 689 del 1981. La Corte pervenne pertanto alla conclusione della irragionevolezza di un sistema, il quale consente che fattispecie aventi un'identica obiettività giuridica rispetto alla normativa denunciata, pur essendo più gravemente sanzionate, rimangano comunque ammesse alla sostituzione della pena, mentre quelle precedenti, ancorchè meno gravi, ne rimangono escluse. Nel caso invece della disciplina ora in contestazione, una tale possibilità di comparazione non esiste perchè i reati le cui pene sono escluse dalla sostituzione non sono indicati nominatim dalla legge, bensì con solo riferimento alla materia: "reati previsti ... dalle leggi in materia edilizia ed urbanistica" (art. 60, ultimo comma).

Egualmente non appare accettabile, nel presente giudizio di legittimità costituzionale, il richiamo fatto nell'ordinanza del Pretore di Latina alla possibilità, aperta nel sistema vigente, alla sostituibilità di pene detentive come quelle comminate per i delitti di danneggiamento e perfino di omicidio colposo commessi con la costruzione di manufatti in violazione anche delle norme in materia edilizia ed urbanistica.

6. - E tuttavia occorre ormai che il legislatore proceda senza indugio ad una revisione di tutto il sistema delle pene sostitutive, che é ancora (a parte gli sporadici interventi di questa Corte) quello dettato quando le pene sostitutive venivano in considerazione solo per i reati di competenza del pretore e quando non avevano ancora fatto irruzione nell'ordinamento vaste serie di fattispecie omogenee rispetto alle elencazioni contenute nell'art. 60 della legge n. 689 del 1981. Questa Corte deve richiamare qui l'analisi dell'evoluzione del sistema delle pene sostitutive compiuta nella propria sentenza n. 78 del 1997 e rinnovare ancora le sollecitazioni rivolte al legislatore per una revisione, oramai indilazionabile, di detto sistema.

Le dichiarazioni di illegittimità costituzionale pronunciate in materia da questa Corte (con sentenze n. 249 del 1993, n. 254 del 1994 e la ora citata n. 78 del 1997) si sono limitate a caducare fattispecie di reato espressamente indicate nell'art. 60, sia in forza di novazioni normative disciplinanti la stessa materia sia in conseguenza di un assetto processuale destinato a modificarsi radicalmente dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di rito.

Ma é da considerare che ogni intervento demolitorio della Corte é stato dettato dall'esigenza di eliminare disparità di trattamento così irragionevoli da rivelarsi arbitrarie. Il che si é sempre verificato rispetto a fattispecie di reato tutte indicate nominatim, dovendo solo qui le ragioni di prevenzione generale decisamente soccombere, facendosi altrimenti sopravvivere le frange di un sistema chiaramente squilibrato.

Solo l'esigenza di non colpire un regime di divieti la cui permanenza avrebbe potuto ancora, in ipotesi, rappresentare una valida forma di prevenzione generale rispetto ad una serie di reati, ha determinato la Corte ad affermare, coerentemente alla sua giurisprudenza in tema di osservanza dell'art. 3 della Costituzione, la non fondatezza di questioni incentrate sempre sull'art. 60 della legge n. 689 del 1981, ma nelle quali le situazioni poste a confronto non compromettessero in modo irreparabile la coerenza del microsistema: v. ordinanze n. 442 del 1991 e n. 319 del 1992, riferite a reati di competenza del pretore esclusi dall'applicabilità delle sanzioni sostitutive e a taluni reati di competenza del tribunale non compresi nell'elenco di cui all'art. 60 della legge n. 689 del 1981, ma per i quali l'accesso al regime della sostituzione restava impedito dal disposto dell'art. 54 della stessa legge, all'epoca ancora vigente.

7. - Verificati i percorsi giurisprudenziali in ordine all'interpretazione dell'art. 60, ultimo comma, della legge n. 689 del 1981 relativamente alle violazioni paesaggistiche, con evidenti riverberi sulla norma qui denunciata, concernente il divieto delle sanzioni sostitutive per i reati in materia urbanistica ed edilizia, e constatato che la più recente giurisprudenza di legittimità non può ancora qualificarsi come "diritto vivente", la disparità di trattamento denunciata non risulta tale da potersi qualificare arbitraria.

E ciò tenuto conto soprattutto del fatto che, in presenza di un contesto ermeneutico non ancora consolidato, l'unica soluzione percorribile non potrebbe essere che quella di ravvisare un'assoluta identità tra le due previsioni, quella concernente l'edilizia e l'urbanistica e quella concernente il paesaggio.

Ciò non é peraltro consentito dal raffronto tra le due serie di precetti, il cui sicuro punto di confluenza rimane circoscritto al rinvio alle sanzioni previste dall'art. 20 della legge n. 47 del 1985 ad opera dell'art. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985. Il tutto a prescindere da ulteriori profili che se pure possono indurre a ravvisare aspetti di maggior gravità della disciplina addotta come tertium comparationis, non compromettono tuttavia, nel complesso, la ragionevolezza intrinseca del divieto denunciato e consentono di escludere che il raffronto così operato evidenzi un uso costituzionalmente censurabile della discrezionalità legislativa.

In conclusione, ferma restando la ragionevolezza del divieto in sè, l'assenza di una disparità di trattamento da definire arbitraria comporta la dichiarazione di non fondatezza della questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 60, ultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Belluno e dal Pretore di Latina con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 1997.

Renato GRANATA: Presidente

Giuliano VASSALLI: Redattore

Depositata in cancelleria il 23 maggio 1997.