Sentenza n. 249 del 1993

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SENTENZA N. 249

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 60, della legge 24 novembre 1981, n.689 (Modifiche al sistema penale), nonchè dell'art. 238 (recte: 234) del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), in relazione agli artt. 2 e 6 della legge 16 febbraio 1987, n.81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), 7 c.p.p., 54 e 60 della legge n. 689 del 1981, promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 7 marzo 1992 dal Pretore di Taranto nel procedimento penale a carico di Notaristefano Domenico ed altri, iscritta al n. 254 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1992;

 

2) ordinanza emessa il 9 maggio 1992 dal Pretore di Taranto nel procedimento penale a carico di D'Aprile Donato ed altri, iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 31 marzo 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con due ordinanze di contenuto identico, emesse il 7 marzo ed il 9 maggio 1992, il Pretore di Taranto ha sollevato questione di legittimità dell'art.60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nonchè dell'art. 238 (recte: 234) del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in relazione agli artt. 2 e 6 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), 7 c.p.p., 54 e 60 della legge n. 689 del 1981, nonchè per violazione dell'art. 76 della Costituzione, in relazione agli artt. 54 e 60 della legge n. 689 del 1981.

 

Ha osservato in proposito il giudice a quo che l'aumento della competenza pretorile scaturito dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (art. 7 c.p.p.) ha determinato, a norma dell'art. 54 della legge n.689 del 1981, un corrispondente ampliamento dei casi in cui è consentita l'applicazione delle sanzioni sostitutive previste dall'art.53 della medesima legge: casi fra i quali è possibile annoverare anche l'ipotesi dell'omicidio colposo aggravato dal fatto commesso con violazione delle disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro. Da ciò scaturisce, ad avviso del remittente, una disparità di trattamento sanzionatorio fra la meno grave fattispecie delle lesioni personali colpose commesse con violazione delle norme antinfortunistiche - oggettivamente escluse dall'ambito di applicazione delle sanzioni sostitutive a norma dell'art. 60 della legge n.689 del 1981 - e quella più grave dell'omicidio colposo per fatti analoghi.

 

Disparità, questa, che secondo il giudice a quo non rinviene giustificazione alcuna, in quanto le due fattispecie si pongono in rapporto di progressività, ledendo entrambe, in differente misura, lo stesso bene giuridico.

 

Scartata la possibilità di ritenere in via interpretativa che anche l'ipotesi dell'omicidio colposo sia compresa nell'ambito delle esclusioni oggettive concernenti le sanzioni sostitutive, il remittente osserva come la questione sia frutto di una lacuna normativa colmabile con la disciplina di coordinamento, la quale ultima, a sua volta, è peraltro sottoposta agli stessi limiti imposti dalla delega legislativa per l'emanazione del nuovo codice di rito. Alla stregua di tali rilievi, consegue dunque, secondo il giudice a quo, un duplice profilo di illegittimità dell'art. 234 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in relazione agli artt. 76 e 3 della Costituzione. Quanto al primo parametro, in fatti, si deduce la violazione dei criteri direttivi stabiliti dall'art. 6 della legge 16 febbraio 1987, n. 81 in relazione all'art. 2, punto 45, della stessa legge-delega, nella parte in cui è stato omesso di prevedere l'abrogazione, fra le cause di esclusione oggettiva previste dall'art. 60 della legge n.689 del 1981, della fattispecie di cui all'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, divenuto incompatibile con l'art. 54 della stessa legge n. 689 del 1981

 

La norma impugnata violerebbe, poi, il principio di uguaglianza, nella parte in cui, pur dovendo coordinare le disposizioni della legge n. 689 del 1981 alla mutata competenza pretorile che consente di applicare le sanzioni sostitutive al reato previsto dall'art.589, capoverso, del codice penale, ha omesso di sopprimere il reato di cui all'art. 590 dello stesso codice per fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, dal novero delle esclusioni oggettive previste dall'art. 60 della medesima legge n. 689 del 1981.

 

Esclusa la possibilità di interventi additivi o interpretativi intesi a superare il limite previsto dall'art. 54 della legge n. 689 del 1981, e rilevato come l'intera materia delle esclusioni oggettive meriterebbe una approfondita rivisitazione da parte del legislatore, specie per ciò che concerne le ipotesi delittuose successive a quella legge, il giudice a quo conclusivamente rileva come, per le ragioni anzidette, il regime stabilito dall'art. 60 della legge n. 689 del 1981 finisca per porsi in contrasto non solo con l'art. 3 della Costituzione ma anche con l'art. 24 della stessa Carta, dal momento che l'esclusione delle sanzioni sostitutive per l'ipotesi di lesioni colpose commesse con violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, e non anche per l'ipotesi di omicidio colposo commesso con violazione delle stesse norme, integra una limitazione del "diritto di difesa dell'imputato nell'ulteriore svolgimento del processo, su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale".

 

2. Nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, essendo nella sostanza analoga ad altra questione già dichiarata manifestamente infondata con ordinanza n.442 del 1991.

 

Considerato in diritto

 

l. Entrambe le ordinanze sollevano, con argomentazioni identiche, le medesime questioni: i relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti al fine di essere decisi con un'unica sentenza.

 

2. Pur se unico è il petitum che il giudice a quo fa mostra di perseguire, i provvedimenti di rimessione propongono due distinti quesiti di legittimità costituzionale. Da un lato, infatti, viene impugnato l'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui esclude dall'applicabilità delle sanzioni sostitutive il reato di cui all'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, deducendosi a tal proposito, la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. Il rispetto del principio di uguaglianza sarebbe compromesso, secondo il giudice a quo, in quanto, tenuto conto della disposizione dettata dall'art. 54 della legge n. 689 del 1981 e dei nuovi criteri di competenza del pretore fissati dall'art. 7 del codice di procedura penale, è consentita la sostituibilità della sanzione detentiva in concreto irrogata per il più grave reato di cui all'art. 589 del codice penale per fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, nonostante che tra le due fattispecie poste a raffronto - omicidio colposo e lesioni personali colpose - possa agevolmente intravedersi un "rapporto di progressività", per essere entrambe lesive, in misura gradata, dello stesso "bene (vita ed incolumità individuale), che trova protezione nelle norme penali di cui agli artt. 575-593 c.p.". La norma impugnata contrasterebbe, inoltre, con l'art. 24 della Costituzione, in quanto l'esclusione oggettiva ivi prevista determina, secondo il rimettente, la compressione del diritto di difesa dell'imputato "nell'ulteriore svolgimento del processo, su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale".

 

In stretta correlazione con la prima censura, il giudice a quo solleva, poi, questione di legittimità dell'art. 238 (recte: 234) del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), assumendone il contrasto:

 

a) con l'art. 76 della Costituzione, in quanto sarebbero stati violati i criteri direttivi stabiliti dall'art. 6 della legge 16 febbraio 1987, n. 81, in relazione all'art. 2, numero 45), della stessa legge di delega, nella parte in cui è stato omesso di prevedere l'abrogazione dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981, limitatamente alla previsione, fra le cause di esclusione oggettiva, della fattispecie prevista dall'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, divenuta incompatibile con l'art. 54 della legge n. 689 del 1981 a seguito della entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (art. 7);

 

b) con l'art. 3 della Costituzione per violazione del principio di uguaglianza, nella parte in cui, pur dovendo il legislatore delegato procedere al coordinamento delle disposizioni dettate dalla legge n. 689 del 1981 a quelle del nuovo codice di rito ed in particolare all'art. 7 dello stesso codice, che, per il mutamento della competenza del pretore, rende possibile l'applicazione delle sanzioni sostitutive al reato previsto dall'art. 589, capoverso, del codice penale, ha omesso di adeguare quella disciplina con la eliminazione del reato di cui all'art. 590 del codice penale per i fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, dal novero delle ipotesi di esclusione oggettiva previste dall'art. 60 della legge n. 689 del 198l.

 

3. La prima delle riferite censure è fondata. Lo stesso legislatore delegato, infatti, ebbe a prospettarsi il problema nel corso dei lavori preparatori del nuovo codice di rito, al punto che nella Relazione si ritenne di dover porre in risalto la necessità di un apposito intervento normativo, da operare "probabilmente in sede di coordinamento", al precipuo scopo di "cancellare la distonia derivante dalla inapplicabilità, a norma dell'art. 60 comma 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, delle sanzioni sostitutive, (ex officio o ad istanza di parte, previste dall'art. 53 e seguenti di detta legge) al reato di lesioni colpose in relazione a fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro che abbiano determinato le conseguenze previste nel comma 1 n. 2 e nel comma 2 dell'art. 583 c.p.: sanzioni che, invece, resterebbero applicabili all'omicidio colposo commesso con violazione delle stesse norme".

 

D'altra parte, quella che la Relazione ha definito come una "distonia" necessariamente da sanare, emergeva con chiarezza dal tessuto normativo, quale naturale conseguenza delle scelte che il legislatore si accingeva ad operare. Posto infatti, che la disciplina sostanziale delle sanzioni sostitutive era quella prevista dalla legge n. 689 del 1981, la quale aveva modellato l'intero sistema assumendo a fulcro dello stesso la tipologia dei reati a quell'epoca devoluti alla competenza del pretore, era fin troppo evidente che qualsiasi mutamento della sfera cognitiva di quel giudice avrebbe prodotto immediati riflessi sull'equilibrio e la coerenza del sistema stesso. Una volta, quindi, che il nuovo codice ha attribuito alla competenza del pretore (art. 7, comma 2, lett.h) il reato di "omicidio colposo previsto dall'articolo 589 del codice penale", compresa, dunque, l'ipotesi aggravata del fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, e rendendosi in tal modo applicabili a quella fattispecie le sanzioni sostitutive in virtù del soddisfacimento del presupposto della competenza sancito dall'art. 54 della legge n.689 del 1981, è venuta automaticamente a perdere qualsiasi ragion d'essere la preclusione sancita dall'art. 60 della medesima legge, che inibisce l'applicazione delle sanzioni medesime al reato di lesioni personali colpose previsto dall'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, "limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, che abbiano determinato le conseguenze previste dal primo comma, n. 2, o dal secondo comma dell'art. 583 del codice penale". Tenuto conto, infatti, del rapporto di naturale continenza che lega fra loro il delitto di omicidio colposo e quello di lesioni personali colpose nell'ipotesi in cui entrambe le fattispecie siano state realizzate con violazione delle norme volte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o relativi all'igiene del lavoro, finisce per risultare ictu oculi carente di ragionevolezza e si presenta per ciò stesso fortemente lesivo del principio di uguaglianza, un complesso normativo che consente di beneficiare delle sanzioni sostitutive a chi ha posto in essere, fra due condotte gradatamente lesive dell'identico bene, quella connotata da maggiore gravità, discriminando, invece, chi ha realizzato il fatto che meno offende lo stesso valore giuridico.

 

L'esclusione oggettiva di che trattasi va pertanto dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l'art. 3 della Carta fondamentale. Restano conseguentemente assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità che il giudice a quo ha prospettato in merito all'art. 60 della legge n. 689 del 1981, nonchè la questione, ormai priva di autonomo rilievo, che il medesimo giudice ha sollevato con riferimento all'art.238 (recte: 234) del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 27l.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi;

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n.689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui stabilisce che le pene sostitutive non si applicano al reato previsto dall'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, che abbiano determinato le conseguenze previste dal primo comma, n. 2, o dal secondo comma dell'art. 583 del codice penale.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/05/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Giuliano VASSALLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 19/05/93.