SENTENZA N. 138
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), promosso con ordinanza emessa il 29 agosto 1995 dal Pretore di Venezia, nel procedimento civile vertente tra Bagato Lorenzo ed altri e Ferrovie dello Stato s.p.a. ed altri, iscritta al n. 777 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di costituzione delle Ferrovie dello Stato s.p.a. e di Moretti Danilo ed altri nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 aprile 1997 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto in fatto
1. -- Nel corso di un giudizio civile -- promosso con ricorso depositato il 20 giugno 1994 da ex dipendenti delle Ferrovie dello Stato, cessati dal servizio successivamente al 1° dicembre 1984, al fine di ottenere la riliquidazione delle rispettive indennità di buonuscita comprensiva del computo dell'indennità integrativa speciale per effetto della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti) -- il Pretore di Venezia, con ordinanza emessa il 29 agosto 1995, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della citata legge n. 87 del 1994.
Rilevata l'inapplicabilità nella fattispecie della norma che prevede l'estinzione d'ufficio, con compensazione delle spese, dei giudizi pendenti al momento dell'entrata in vigore della predetta legge ed affermata quindi la rilevanza della questione nel giudizio a quo, ritiene il rimettente che la norma censurata si ponga in contrasto con gli artt. 36 e 38 della Costituzione, nella parte in cui sancisce la non corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme dovute in base alla predetta legge.
Secondo il rimettente -- il quale sottolinea come, con le sentenze n. 156 del 1991 e n. 196 del 1993, la stessa Corte costituzionale abbia riconosciuto il diritto al pagamento degli interessi e della rivalutazione (nella misura di cui all'art. 429 cod. proc. civ.) anche nel caso di prestazioni di natura previdenziale, sul presupposto che tali prestazioni hanno la medesima funzione della retribuzione, dovendone essere garantita la sufficienza e l'adeguatezza -- la disposizione de qua comporta un'ingiustificata diminuzione del contenuto economico delle prestazioni dovute, ponendosi dunque in contrasto col dettato costituzionale.
2. -- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità della questione, richiamando la sentenza n. 103 del 1995 di questa Corte.
3. -- Con due diverse memorie -- depositate entrambe fuori termine -- si sono costituiti alcuni dei ricorrenti nel giudizio a quo, concludendo per l'accoglimento della sollevata questione, nonchè le Ferrovie dello Stato, società di trasporti e servizi per azioni, concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza.
Considerato in diritto
1. -- Il Pretore di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), nella parte in cui sancisce che "le somme dovute a titolo di prestazioni ai sensi della presente legge... non danno luogo a corresponsione di interessi, nè a rivalutazione monetaria".
Secondo il rimettente la norma censurata -- comportando un'ingiustificata diminuzione del contenuto economico di prestazioni che, seppur di natura previdenziale, hanno la medesima funzione della retribuzione, cui deve essere garantita la sufficienza e l'adeguatezza -- si porrebbe in contrasto con gli artt. 36 e 38 della Costituzione.
2. -- Preliminarmente dev'essere dichiarata l'irricevibilità degli atti di costituzione nel presente giudizio delle parti private del processo a quo (le Ferrovie dello Stato e alcuni dei ricorrenti). Infatti l'ordinanza di rimessione é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 novembre 1995 (prima serie speciale, n. 48), mentre le due memorie di costituzione sono state depositate rispettivamente il 2 febbraio e l'11 luglio 1996, quindi ben oltre il termine previsto dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dall'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
3. -- Nel merito, la questione non é fondata.
3.1 -- Giova premettere che al giudizio a quo -- promosso con ricorso depositato il 20 giugno 1994 -- non é applicabile, ratione temporis, la previsione dell'art. 4, comma 1, della legge n. 87 del 1994, secondo cui i processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, aventi ad oggetto la riliquidazione del trattamento di fine servizio comunque denominato con l'inclusione della indennità integrativa speciale, sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese tra le parti. Si rende pertanto inutilizzabile nella specie lo schema decisionale che ha ripetutamente portato alla dichiarazione di non fondatezza -- in ragione del carattere pregiudiziale del positivo scrutinio della norma processuale rispetto a tutte le altre censure -- di numerose altre questioni riguardanti anche la disposizione sottoposta all'odierno vaglio di costituzionalità (v. sentenza n. 103 del 1995 e, da ultimo, ordinanze n. 125 del 1996 e n. 55 del 1997).
3.2. -- Tanto premesso, va notato che questa Corte, con la sentenza n. 243 del 1993, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme allora censurate "nella parte in cui non prevedono, per i trattamenti di fine rapporto ivi considerati, meccanismi legislativi di computo dell'indennità integrativa speciale secondo i princìpi e i tempi indicati in motivazione", sottolineava come tale decisione -- pur comportando il riconoscimento della titolarità, in capo ai soggetti, del diritto ad un adeguato computo del beneficio, ai fini della quantificazione del rispettivo trattamento di fine rapporto -- lasciasse tuttavia al legislatore la funzione di determinare secondo il suo discrezionale apprezzamento, "la misura, i modi e i tempi di detto computo, onde rendere in concreto realizzabile il diritto medesimo". Nella stessa sentenza si precisava poi che a tale apprezzamento doveva procedersi -- nel rispetto del canone di ragionevolezza e degli altri princìpi costituzionali -- "tenendo in debito conto i contributi e gli accantonamenti posti dalla legge a carico dei lavoratori, in rapporto a quelli corrisposti dall'amministrazione, e, più in generale, equilibrando e compensando vantaggi e svantaggi che emergono dalle vigenti normative riguardo alle modalità di calcolo delle indennità".
Successivamente, investita del vaglio di costituzionalità di diverse norme della legge ora in esame, la Corte ha ribadito come le aspettative degl'interessati, in virtù della citata sentenza n. 243 del 1993, avessero "bensì assunto il rango di diritti, ma non (fossero) ancora immediatamente determinabili". Sicchè la legge stessa é stata ritenuta quale risposta, adeguata e sufficientemente tempestiva, a quanto la Corte aveva ritenuto non eludibile da parte del legislatore, al fine di una graduale soddisfazione delle pretese a suo tempo azionate (sentenza n. 103 del 1995): come tale, prodromica rispetto alla omogeneizzazione (poi realizzata con la legge 8 agosto 1995, n. 335) dei trattamenti retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e per i lavoratori privati.
La legittimità costituzionale dell'intervento normativo é stata così affermata per via del riconosciuto suo carattere satisfattivo, correlato al grado di realizzazione delle aspettative nate dalla sentenza n. 243 del 1993, e valutato in rapporto alle scelte di politica economica necessarie al reperimento delle risorse finanziarie (cfr., oltre alla citata sentenza n. 103 del 1995, anche la sentenza n. 320 del 1995).
3.3. -- L'inserimento dell'indennità integrativa speciale nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio, secondo la percentuale prevista dall'art. 1 della legge n. 87 del 1994, comporta che solo con l'entrata in vigore di questa il relativo diritto é venuto concretamente ad esistenza, diventando certo, liquido ed esigibile. La mancata corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme dovute a séguito di tale riconoscimento ex lege va dunque rapportata al contenuto di carattere costitutivo dell'intervento normativo in questione: carattere certamente non incompatibile con la scelta legislativa di estendere il beneficio della riliquidazione nei limiti temporali della prescrizione ordinaria (art. 3, comma 1).
Tale non illogica correlazione trova riscontro nella coerente speculare previsione, da parte della stessa norma denunciata, dell'esclusione degli accessori anche riguardo alle somme dovute per i relativi contributi previdenziali obbligatori con decorrenza dal 1° dicembre 1984, che dunque rimangono a carico del personale (in servizio o in pensione) per la sola quota capitale. E così, in sostanza, s'é venuta a realizzare la compensazione, auspicata nella sentenza n. 243 del 1993, tra svantaggi e vantaggi riferiti al lato attivo e al lato passivo del rapporto che lega il personale stesso con la gestione previdenziale.
3.4. -- L'adeguatezza di codesto complessivo bilanciamento operato nell'assetto dei contrapposti interessi coinvolti, in rapporto anche alle necessarie esigenze di reperimento delle risorse finanziarie, rende la norma censurata immune dai prospettati vizi di incostituzionalità.
In proposito non si può non rammentare che questa Corte ha ripetutamente affermato la possibilità per il legislatore -- in ragione delle concrete disponibilità del bilancio pubblico, a carico del quale é in parte finanziato il sistema previdenziale -- di incidere in senso riduttivo sui trattamenti pensionistici, senza con ciò vulnerare gli artt. 36 e 38 Cost. (cfr. sentenze n. 516 del 1995 e n. 240 del 1994); tanto più, poi, quando l'incisione riguarda, come nella specie, unicamente gli accessori del credito a favore dei pensionati (v. sentenza n. 361 del 1996).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), sollevata, in riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Venezia, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 1997.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore.
Depositata in cancelleria il 16 maggio 1997.