Sentenza n. 516 del 1995

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SENTENZA N. 516

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153, promosso con ordinanza emessa il 1° febbraio 1995 dal Pretore di Tolmezzo, nel procedimento civile vertente tra Savio Giovanni e l'INPS, iscritta al n. 137 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di costituzione di Savio Giovanni e dell'INPS nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi l'avv. Salvatore Cabibbo per Savio Giovanni e Giacomo Giordano per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un procedimento civile promosso da Savio Giovanni, titolare di una pensione di anzianità a carico della gestione speciale artigiani, per ottenere dall'INPS la liquidazione dell'assegno per il nucleo familiare al posto degli assegni familiari il Pretore di Tolmezzo in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza emessa il 1° febbraio 1995, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153, nella parte in cui non prevede che l'assegno per il nucleo familiare spetti anche ai titolari delle pensioni derivanti in misura prevalente da lavoro dipendente.

Il giudice a quo premesso che il ricorrente ha ottenuto il riconosciuto trattamento pensionistico, liquidato dall'INPS ex art. 9, primo comma, prima parte, della legge n. 463 del 1959, cumulando i contributi relativi a circa trentatre anni e mezzo di lavoro dipendente e un anno e mezzo di lavoro autonomo osserva che il senso letterale e logico della norma impugnata non consente altra interpretazione che quella di ritenere il richiesto beneficio come spettante ai soli titolari di pensioni derivate esclusivamente da lavoro dipendente. Da ciò il dubbio di contrasto con i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza, là dove la norma sembra discriminare ingiustificatamente quei lavoratori che, dopo un lungo periodo di attività quali dipendenti, abbiano per breve tempo lavorato in modo autonomo, prescindendo sia dalla durata assoluta della contribuzione da lavoro dipendente sia dal rapporto quantitativo tra le due forme di contribuzione succedutesi nel tempo.

2. È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, in quanto attese le peculiarità delle diverse fattispecie il legislatore non avrebbe fatto uso arbitrario del suo potere discrezionale con l'attribuire il beneficio in questione solo nel caso di contribuzione derivante esclusivamente da lavoro dipendente, ovvero inammissibile, poichè la pronuncia richiesta esorbiterebbe dai poteri della Corte costituzionale.

In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea ulteriormente come pacifica in atti la spettanza alla parte della pensione per i lavoratori autonomi risulti legittima l'avvenuta corresponsione degli assegni familiari, anzichè di quelli relativi al nucleo familiare, giacchè non sarebbe giustificato che il trattamento riguardante le prestazioni economiche familiari debba soggiacere ad un regime diverso da quello previsto per la pensione; rileva, inoltre, che il remittente avrebbe dovuto semmai censurare le norme riguardanti la disciplina dei casi di ricongiunzione dei periodi assicurativi.

3. Si è costituita in giudizio la parte privata, che ha concluso per l'infondatezza della questione, prospettata dal remittente su un'errata interpretazione della norma censurata, il cui dato testuale e la cui ratio rendono rilevante ai fini dell'attribuzione della prestazione de qua il rapporto (esistente nella fattispecie) tra lo status di pensionato e quello precedente di lavoratore dipendente, eletto quest'ultimo dal legislatore a presupposto della prestazione stessa. Nel caso di diversa interpretazione, la parte ha concluso in via gradata chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma.

4. Si è, altresì, costituito in giudizio l'INPS, concludendo per la dichiarazione di non fondatezza della questione, in quanto prospettata dal remittente alla stregua di un'apodittica equiparazione della posizione dei titolari di pensione a carico della gestione dei lavoratori dipendenti a quella dei lavoratori autonomi, esclusa dalla stessa giurisprudenza costituzionale, che ha affermato come ritenute le molteplici differenti caratteristiche dei complessivi regimi previdenziali goduti dalle due categorie di pensionati i trattamenti relativi ai carichi familiari non risultino comparabili al fine di saggiarne la rispondenza dei singoli aspetti al principio di uguaglianza e di estendere a favore dell'una le provvidenze dettate per l'altra (sentenze n. 458 del 1989, n. 108 del 1989, n. 220 del 1988, n. 527 del 1987 e n. 31 del 1986). Il giudice a quo, invece, non considera che, a differenza dei pensionati della gestione dei lavoratori dipendenti (i quali usufruiscono di una specifica prestazione del tutto distinta ed autonoma rispetto alla pensione, erogata da un'apposita gestione previdenziale, ex art. 24 della legge n. 88 del 1989), i pensionati delle gestioni dei lavoratori autonomi godono, per i familiari a carico, degli incrementi di pensione, di misura identica agli assegni familiari ma erogati dalle medesime gestioni sulla base di distinti criteri di attribuzione delle quote di maggiorazioni.

Secondo l'INPS il quale sottolinea la manifesta inammissibilità di una pronuncia additiva che adotti un criterio selettivo collegato alla prevalenza del tipo contributivo accreditato la norma impugnata, pertanto, a ragione individua i beneficiari dell'assegno de quo con riferimento certo ed inequivocabile alla gestione sulla quale grava l'onere del pagamento della pensione, cui la prestazione familiare si aggiunge, essendo rilevante la posizione assicurativa e contributiva sottostante, riconnessa al titolo pensionistico concretamente attribuito per legge al soggetto anche in forza (come nella specie) di un accreditamento di contribuzione mista.

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Tolmezzo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153), nella parte in cui non prevede che l'assegno per il nucleo familiare spetti anche ai titolari delle pensioni derivanti in misura prevalente da lavoro dipendente.

Secondo il giudice a quo, la norma censurata il cui senso letterale e logico non consente altra interpretazione che quella di ritenere il richiesto beneficio come spettante ai soli titolari di pensioni derivate esclusivamente da lavoro dipendente si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poichè, prescindendo sia dalla durata assoluta della contribuzione da lavoro dipendente sia dal rapporto quantitativo tra le due forme di contribuzione succedutesi nel tempo, discrimina ingiustificatamente quei lavoratori che, dopo un lungo periodo di attività come dipendenti, abbiano svolto per breve tempo lavoro autonomo.

2. La questione non è fondata.

2.1. Nella sua piena autonomia interpretativa, il giudice a quo ha ritenuto che il senso letterale e logico della norma denunciata non consenta altra soluzione se non quella di riconoscere il diritto all'assegno per il nucleo familiare ai soli titolari di pensioni derivanti esclusivamente da lavoro dipendente.

In assenza di un diverso indirizzo giurisprudenziale in materia, siffatta interpretazione va assunta da questa Corte come premessa del richiesto scrutinio di costituzionalità, in quanto improntata al canone ermeneutico di cui al primo comma dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale.

Nè, d'altronde, v'è luogo per ricorrere ad una interpretazione adeguatrice, giacchè anche nell'interpretazione datane dal remittente la denunciata norma non risulta contrastante con l'evocato parametro costituzionale, come emerge dalle seguenti considerazioni.

2.2. Tale norma ha radicalmente innovato l'istituto degli assegni familiari, trasformandolo con riguardo alla sola categoria dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, in servizio o in quiescenza, ed a quella dei lavoratori assistiti contro la tubercolosi in assegno per il nucleo familiare, attribuito secondo un criterio selettivo fondato sulla limitatezza del reddito della famiglia in correlazione al numero delle persone facenti parte del nucleo familiare.

Si è così portato a compimento il progressivo disegno del legislatore iniziato con il decreto-legge 2 marzo 1974, n. 30 (convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114) e proseguito col decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (convertito nella legge 25 marzo 1983, n. 79) di diversificare i trattamenti del "carico di famiglia" gravante sui pensionati, a seconda che i soggetti beneficiati fossero titolari di pensioni amministrate dal Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti ovvero dalle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, attribuendo soltanto ai primi in luogo delle maggiorazioni della pensione precedentemente percepite, e mantenute per i soli pensionati ex lavoratori autonomi gli assegni familiari di cui al testo unico approvato con d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797.

Di fronte a siffatta evoluzione del quadro normativo incidente sulla struttura e sulle modalità di erogazione dei trattamenti medesimi, in ragione della specificità della prestazione previdenziale dell'assegno per il nucleo familiare, non più costituente elemento integrante della pensione questa Corte ha avuto modo di sottolineare (v. sentenza n. 458 del 1989) come il processo di trasformazione degli assegni familiari ed il conseguente approfondimento del divario nella struttura e nelle finalità della nuova disciplina rispetto a quella delle maggiorazioni pensionistiche, costituiscano elementi idonei a far ritenere che, almeno allo stato, i trattamenti relativi ai carichi di famiglia siano dotati stanti le peculiari forme di contribuzione e i diversi enti erogatori di una propria autonoma individualità. La quale (va ribadito anche in questa sede) rende incompatibili tra loro, a causa delle rispettive molteplici differenti caratteristiche, i regimi previdenziali goduti dalle due categorie di pensionati già lavoratori dipendenti e di pensionati già lavoratori autonomi (v. sentenze n. 54 del 1987 e n. 31 del 1986).

La scelta operata dal legislatore di limitare la concessione del beneficio de quo ai soli soggetti entrati in quiescenza quali dipendenti non può quindi ritenersi incoerente nè irragionevole, soprattutto se valutata anche alla luce delle contingenti disponibilità finanziarie (evidenziate in sede di lavori preparatori); e considerato, per altro verso, che i trattamenti di famiglia per i pensionati delle gestioni autonome sono stati espressamente conservati dal comma 12bis dello stesso art. 2 censurato, per cui le relative posizioni appaiono congruamente tutelate.

2.3. Ebbene, la ritenuta legittimità costituzionale del quadro normativo cui, come si è detto, è pervenuto il legislatore, non può non comportare la legittimità anche delle relative implicazioni, fra le quali va annoverata la situazione in cui vengono a trovarsi i soggetti titolari della pensione di anzianità maturata e liquidata nella gestione speciale artigiani, ai sensi dell'art. 9, primo comma, prima parte, della legge n. 463 del 1959, in virtù del cumulo dei successivi periodi di contribuzione da lavoro dipendente e da lavoro autonomo.

Non irragionevole si palesa, infatti, l'aver basato il criterio di riferimento, circa la spettanza o meno dell'assegno per il nucleo familiare, sull'inscindibile collegamento tra il tipo di pensione attribuito per legge al soggetto ed i benefici per carico di famiglia a lui spettanti in base a tale specifico titolo pensionistico. Il quale non può che prescindere dalla circostanza dell'eventuale accreditamento da contribuzione mista, allorquando non emersa alcuna problematica riguardante le modalità della ricongiunzione dei periodi assicurativi ex lege n. 29 del 1979 il diritto al trattamento pensionistico sia sorto comunque in ragione della contribuzione da lavoro autonomo e presso la relativa gestione speciale. Anzi, logicamente ingiustificata si dovrebbe considerare, al contrario, la soluzione prospettata dal remittente, la quale comporta il venir meno di quel criterio oggettivo di individuazione della spettanza dello specifico beneficio, costituito appunto dal nesso tra l'ordinamento proprio della gestione che ha in carico la pensione ed il trattamento di famiglia effettivamente dovuto in base alla disciplina di siffatto ordinamento; con la conseguente necessità, fra l'altro, di prevedere uno strumento selettivo delle contribuzioni accreditate, la cui adozione sarebbe in ogni caso da ritenere riservata alla discrezionalità del legislatore, stante la pluralità delle possibili scelte relative alla concretizzazione, in termini quantitativi, del richiamato concetto di "prevalenza".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153, sollevata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Tolmezzo, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/12/95.

Mauro FERRI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 22/12/95.