Sentenza n. 10

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SENTENZA N. 10

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Renato GRANATA, Presidente

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI  

-        Prof. Cesare MIRABELLI  

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO  

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO  

-        Dott. Riccardo CHIEPPA  

-        Prof. Gustavo ZAGREBELSKY  

-        Prof. Valerio ONIDA

-        Prof. Carlo MEZZANOTTE  

-        Avv. Fernanda CONTRI

-        Prof. Guido NEPPI MODONA  

-        Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 37, comma 2, e 124, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, anche in relazione agli articoli da 157 a 161 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1995 dal Pretore di Rossano nel procedimento penale a carico di Libero Pasquale, iscritta al n. 778 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1996;

udito nella camera di consiglio del 27 novembre 1996 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. -- Imputato del reato di usura di cui all'art. 644 del codice penale, Libero Pasquale proponeva nel corso del procedimento a suo carico, con atti del 2 e 6 febbraio 1995, due dichiarazioni di ricusazione che, riunite, venivano rigettate, con ordinanza del 18 febbraio, dal Tribunale di Rossano. Il successivo ricorso per Cassazione era dichiarato inammissibile dalla Suprema corte.

Ripresa l'istruttoria dibattimentale, l'imputato presentava altre due dichiarazioni di ricusazione, una innanzi al Pretore, il 13 ottobre, e l'altra, il giorno successivo, davanti al Tribunale, che però respingeva soltanto la prima. Sollecitato da una "missiva" del Pretore a pronunciarsi ulteriormente, il Tribunale concludeva non doversi procedere su tale richiesta. Ma il Pretore, ritenendo ancora pendente la dichiarazione di ricusazione del 14 ottobre, sollevava d'ufficio, in riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 37, comma 2, e 124, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che, in caso di reiterazione della dichiarazione di ricusazione, il giudice possa emettere la sentenza, ovvero nella parte in cui è preclusa la sospensione dei termini di prescrizione dei reati per i quali si procede.

2. -- Osserva il rimettente che ciascuna delle quattro dichiarazioni di ricusazione avrebbe una propria autonomia e obbligherebbe a un esame separato, sebbene - al di là della forma e delle argomentazioni svolte - si presentino sostanzialmente identiche e, quindi, prive del benché minimo fumus di fondatezza. Pure in questo caso l'istituto della ricusazione sarebbe utilizzato strumentalmente dall'imputato per sottrarsi alla conclusione del processo attraverso la maturazione del termine di prescrizione del reato contestato, nella specie imminente. Di qui, la questione di costituzionalità del combinato disposto degli artt. 37, comma 2, e 124, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, anche in relazione agli articoli da 157 a 161 del codice penale.

Complesso di disposizioni, questo, che sarebbe in contrasto con il generale canone di coerenza dell'ordinamento giuridico, quale si desume dall'art. 3 della Costituzione. Applicabile anche agli istituti processuali, tale principio sarebbe vulnerato ogni volta che di esso si faccia uso distorto, con conseguente paralisi della funzione processuale e, quindi, in violazione dell'art. 101, primo comma, e degli artt. 112 e 24 della Costituzione, sia per l'impossibilità che l'azione penale venga esercitata sino in fondo, sia perché si priverebbero le parti civili della efficace tutela dei propri diritti nella sede del processo penale.

Considerato in diritto

1. -- Viene all'esame della Corte la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 37, comma 2, e 124, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli da 157 a 161 del codice penale; e ciò perché - non prevedendo che, nel caso di reiterazione della dichiarazione di ricusazione, il giudice possa pronunciare la sentenza, ovvero che, nello stesso periodo, restino sospesi i termini di prescrizione dei reati per i quali si procede - esso contrasterebbe con:

-         l'art. 3, segnatamente con il generale canone di coerenza dell'ordinamento giuridico, cui devono uniformarsi pure gli istituti processuali, altrimenti violato quando se ne faccia uso distorto con la conseguente paralisi del processo;

-         l'art. 101, che non tollera disposizioni lesive della funzione giurisdizionale;

-         gli artt. 112 e 24 della Costituzione, sia per l'impossibilità che l'azione penale dispieghi in concreto i suoi effetti, sia perché si priverebbero le parti civili dell'efficace tutela dei propri diritti nella sede del processo penale.

2. -- La questione è fondata, alla luce degli artt. 3 e 101 della Costituzione.

Come si è già rilevato (sentenza n. 353 del 1996) a proposito della rimessione - che pure è istituto del tutto distinto, per presupposti e meccanismi procedimentali - non vi è equilibrio soddisfacente fra i principi di economia processuale e di terzietà del giudice nella ponderazione codicistica che, sulla scia della previsione dell'art. 69, secondo comma, del codice di procedura penale del 1930, ha affermato il divieto, per il giudice ricusato, di pronunciare o «concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione» (art. 37, comma 2, del vigente codice di procedura penale).

Analogamente, in questa ipotesi, il possibile abuso - ad avviso del Pretore rimettente ben documentato nel caso in esame - è idoneo a determinare la paralisi della funzione processuale, con la conseguente compromissione del bene costituzionale dell'efficienza del processo, che è aspetto del principio di indefettibilità della giurisdizione, ricollegabile a vari precetti costituzionali, fra i quali l'art. 101 della Costituzione invocato dal giudice a quo (oltre alla sentenza n. 353 del 1996 e l'ordinanza n. 5 del 1997, v. le sentenze nn. 460 del 1995, 114 del 1994, 289 del 1992, 178 del 1991). E qui va riconosciuta, certo, la discrezionalità del legislatore per quanto attiene alla individuazione delle scansioni processuali, tuttavia nel rispetto del principio di ragionevolezza perché non venga compromessa, di fatto, la nozione stessa del processo. Sì che sono da censurare, pure alla luce del principio di razionalità normativa, istituti o regole quando si prestino a un uso distorto, recando così lesione dell'efficiente svolgimento della funzione giurisdizionale.

Per rimuovere il rischio che il processo resti paralizzato dall'abuso della richiesta di ricusazione, occorre dunque dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 37, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui - qualora sia riproposta dichiarazione fondata sui medesimi elementi - fa divieto al giudice di pronunciare o concorrere a pronunciare la sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione.

Restano assorbite le altre censure di legittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 37, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, qualora sia riproposta la dichiarazione di ricusazione, fondata sui medesimi motivi, fa divieto al giudice di pronunciare o concorrere a pronunciare la sentenza fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il  il 9 gennaio 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 gennaio 1997.