Sentenza n. 178 del 1991

 

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SENTENZA N. 178

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                  Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 486, quinto comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 245 delle disposizioni di attuazione e transitorie dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 17 luglio 1990 dalla Corte d'Appello di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Rovigo Nunzio ed altri, iscritta al n. 722 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio penale, durante il quale il difensore di fiducia di uno degli imputati aveva presentato, per tre volte consecutive, istanza di rinvio del dibattimento per documentato impedimento professionale presso altra sede giudiziaria, la Corte di appello di Catanzaro, con ordinanza del 17 luglio 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 486, quinto comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 245 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), con riferimento agli articoli 102, primo comma, e 112 della Costituzione.

Il giudice rimettente - premesso, sul punto della rilevanza, che la norma impugnata, per il richiamo contenuto nell'art. 245, secondo comma, lett. i), delle disposizioni di attuazione, è di immediata applicazione anche ai processi che proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti - denuncia la stessa norma, la quale, consentendo al difensore di fiducia di reiterare, per un numero illimitato di volte, la richiesta di rinvio del dibattimento adducendo documentati impegni professionali assunti altrove, senza che il collegio possa sindacare l'oggetto dell'impegno o l'epoca della sua assunzione da parte del professionista "in funzione di prefissati e selettivi criteri di priorità rispetto al processo in cui l'impedimento è addotto", impedirebbe in concreto l'esercizio della giurisdizione penale. Tanto è vero che, mediante la revoca del mandato ai difensori non impediti ed il ricorso, come unico difensore, al professionista impegnato in altra sede, si paralizzerebbe la celebrazione del giudizio a tempo indeterminato.

Lo stesso giudice, inoltre, osserva che il principio della obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 della Costituzione) postula la cogenza e la inderogabilità assolute della relativa giurisdizione, che sarebbero invece in concreto compromesse dalla "legalizzazione dei precitati espedienti dilatori" ammessi dalla norma impugnata.

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, eccependo, in primo luogo, la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza e concludendo, comunque, per la sua infondatezza.

L'Avvocatura generale dello Stato ricorda che, in attuazione della direttiva contenuta nell'art. 2 n. 77 della legge di delega 16 febbraio 1987 n. 81, la norma ora denunciata ha esteso al difensore la regola della sospensione o del rinvio del dibattimento, prevista nel terzo comma dello stesso art. 486 c.p.p. per i casi di impedimento dell'imputato, e che tale estensione risponde al criterio della valorizzazione del ruolo della difesa, specie in un processo di tipo accusatorio, quale derivato dalla recente riforma.

Quanto poi agli "espedienti dilatori", che per l'ordinanza di rinvio verrebbero favoriti dalla norma impugnata, l'interveniente osserva che, nella specie, l'imputato ha in una sola occasione effettuato la revoca del mandato al codifensore non impedito e, poiché i successivi rinvii delle udienze erano stati disposti sulla base dei documentati impedimenti professionali dell'unico difensore rimasto, è da escludere che l'imputato abbia posto in essere comportamenti idonei a paralizzare la celebrazione del processo a tempo indeterminato.

La difesa dello Stato sottolinea infine che, alla udienza (10 aprile 1990) in cui è stato addotto per la prima volta l'impedimento del difensore di fiducia, erroneamente il collegio ha ritenuto di dover disporre il rinvio del dibattimento, poiché dalla stessa ordinanza risulta che il professionista aveva, in quella occasione, nominato un proprio sostituto e tale circostanza, a norma dell'ultimo periodo del quinto comma della norma denunciata, avrebbe dovuto precludere l'operatività della regola del rinvio per impedimento del difensore, essendo comunque l'imputato assistito dal sostituto.

 

Considerato in diritto

 

1. - È stata sollevata, in riferimento agli artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 486, quinto comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 245 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, perché, come si sostiene nell'ordinanza di rimessione, la norma impugnata obbligando il giudice a rinviare il dibattimento, in caso di legittimo impedimento del difensore, "senza la possibilità di sindacare l'oggetto dell'impegno", precluderebbe in concreto l'esercizio della giurisdizione penale, qualora il difensore di fiducia reiteri, per un numero illimitato di volte, la richiesta di rinvio del dibattimento per altri impegni professionali, così rendendo possibili espedienti dilatori ed ostacolando l'esercizio della giurisdizione.

2. - Va disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'Avvocatura generale dello Stato con la quale sostanzialmente si afferma l'irrilevanza della questione, perché dopo la revoca di altri codifensori, l'unico rimasto aveva nominato un sostituto per la prima udienza dibattimentale del 10 aprile 1990. Quindi, il fatto che in quella data fosse stato chiesto il rinvio per legittimo impedimento del difensore e che tale richiesta fosse stata reiterata per lo stesso motivo in altre due udienze non avrebbe dovuto influenzare il giudizio a quo, perché il giudice avrebbe potuto a norma dell'art. 486, quinto comma, del codice di procedura penale, celebrare il dibattimento già nella prima udienza essendo presente in questa il sostituto.

Osserva la Corte che - a parte la considerazione che, nel momento in cui la questione è stata sollevata, non avrebbe potuto comunque più spiegare alcuna influenza una vicenda ormai esauritasi nella prima udienza - l'eccezione muove da una premessa errata in punto di fatto. Come risulta dalla ordinanza di rimessione, nell'udienza del 10 aprile 1990 il legale si era presentato per conto del difensore, solo per chiedere il rinvio per legittimo impedimento di questi, per cui non poteva considerarsi suo sostituto e quindi non avrebbe potuto esercitare in tale veste il ruolo del difensore impedito.

3.1. - Nel merito, la questione non è fondata.

Il giudice a quo sostanzialmente dubita della legittimità costituzionale della norma impugnata, in riferimento agli artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione, a causa della mancanza di "prefissati e selettivi criteri di priorità" rispetto al processo in cui l'impedimento è addotto, tali da consentire al giudice di sindacare l'oggetto dell'impegno o l'epoca dell'assunzione.

Per quel che riguarda il riferimento all'art. 112 della Costituzione, il parametro non è pertinente rispetto alla questione in esame perché, come anche questa Corte ha più volte precisato (sentenze n. 284 del 1990, n. 370 del 1988 e nn. 114 e 89 del 1982), tale articolo, che obbliga il pubblico ministero all'esercizio della azione penale, riguarda il momento dell'iniziativa processuale e l'irretrattabilità dell'azione, una volta proposta, e non ha quindi nulla a che vedere con l'incidenza del comportamento degli altri soggetti del processo, nel corso di questo, che è appunto quello che viene in evidenza con la presente questione.

3.2. - Quanto al profilo che in modo più pertinente si riferisce all'art. 102, primo comma, della Costituzione - e che concerne la eventualità di una paralisi del processo, a causa del possibile reiterarsi di rinvii del dibattimento, senza che sia previsto che il giudice possa sindacare se l'impegno del difensore, in altri processi coevi, sia tale da prevalere su quello nel quale egli adduca il legittimo impedimento - ritiene la Corte che la norma denunciata non preclude al giudice una valutazione comparativa per agevolare l'esercizio della giurisdizione.

Né, come si afferma nell'ordinanza di rinvio, tale valutazione potrebbe essere ostacolata dalla mancanza di criteri e principi "prefissati e selettivi", solo in presenza dei quali sarebbe consentito al giudice un giudizio di priorità. Questo può difatti essere compiuto dal giudice, secondo canoni di ragionevolezza in sede di esame comparativo delle situazioni messe a confronto, dovendosi anche tener conto che tali canoni andranno sempre più ad arricchirsi in conseguenza di una più prolungata pratica giurisprudenziale, in sede di applicazione concreta della norma denunciata, solo di recente entrata in vigore e che costituisce una novità rispetto alla precedente disciplina processuale.

Del resto, già qualche indicazione in proposito è stata fornita dalla giurisprudenza della Cassazione che, tra i possibili criteri di massima e salvo possibilità di temperamenti, ha individuato quello della priorità della notifica dell'avviso al difensore. La norma denunciata, d'altronde, riferendosi ad un impedimento "legittimo" del difensore, ovviamente presuppone, da parte del giudice dinanzi al quale viene fatto valere l'impedimento, un apprezzamento diretto a stabilire la legittimità della richiesta. Così l'eventuale sindacato, da parte del giudice di grado superiore, in ordine ad una impugnazione in cui si lamenti la violazione del diritto alla difesa, conseguente al rifiuto di ammettere la legittimità dell'impedimento, dovrebbe a sua volta consistere nella verifica della ragionevolezza della determinazione adottata in ordine alla comparazione fra le situazioni messe a raffronto.

La possibilità di apprezzamento da parte del giudice delle situazioni concrete, per contemperare le diverse esigenze in sede di applicazione della norma denunciata, toglie consistenza al sospetto di incostituzionalità.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 486, quinto comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 245 del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), sollevata, in riferimento agli artt. 102, primo comma, e 112 della Costituzione, dalla Corte di appello di Catanzaro, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 29 aprile 1991.