SENTENZA N. 296
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 73, commi 4 e 5, ultima parte, e 14, lettera b), numeri 1 e 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) promossi con n. 2 ordinanze emesse il 18 ottobre 1995 e il 10 gennaio 1996 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma nei procedimenti penali a carico di Pannella Giacinto ed altri e Buccolini Cesare ed altra, iscritte ai nn. 878 del registro ordinanze 1995 e 168 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 52, prima serie speciale, dell'anno 1995 e 10, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visti gli atti di costituzione di Pannella Giacinto ed altri e di Pezzuto Vittorio nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 luglio 1996 il Giudice relatore Renato Granata;
uditi gli avvocati Franco Coppi, Adelmo Manna e Beniamino Caravita di Toritto per Pannella Giacinto ed altri, Beniamino Caravita di Toritto per Pezzuto Vittorio e l'Avvocato dello Stato Paolo di Tarzia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. -- Nel corso del procedimento penale di convalida dell'arresto di Pannella Giacinto, detto Marco, ed altri per il reato di cessione a terzi di sostanze stupefacenti di cui alle tab. II e IV dell'art. 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ha sollevato (con ordinanza del 18 ottobre 1995) questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 73, commi 4 e 5, ultima parte, e 14, lettera b), numeri 1 e 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) con riferimento agli artt. 3, 13 e 25 della Costituzione. In particolare il giudice rimettente si duole del fatto che dette norme includano, ai fini della prevista sanzione penale, i derivati della canapa indiana tra le sostanze stupefacenti e psicotrope con riferimento alle condotte di lieve entità riconducibili al quinto comma dell'art. 73 cit.
Premette il giudice a quo che a seguito del referendum abrogativo, il cui esito è stato sancito dal d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171, sono state depenalizzate le condotte di detenzione, acquisto, importazione di qualsiasi sostanza stupefacente per uso personale, mentre rimane sanzionata penalmente, tra l'altro, la condotta di cessione gratuita di cosiddette droghe leggere in modica quantità che costituisce un'attività "logicamente e necessariamente propedeutica alla detenzione per uso personale".
E' però contraddittorio -- ritiene il remittente -- continuare a sanzionare tale attività, mentre la detenzione per uso personale è stata depenalizzata. Ed in particolare le disposizioni censurate si rivelano arbitrarie ed irragionevoli perché -- violando il principio di offensività -- sanzionano penalmente comportamenti, diversi dalla detenzione, relativi a stupefacenti la cui nocività è paragonabile (o addirittura inferiore) a quella di sostanze non vietate (ed anzi talora commercializzate dallo Stato), ancorché dichiaratamente nocive, quali il tabacco, l'alcool e gli psicofarmaci, dai quali derivano dipendenza ed assuefazione (come riconosciuto espressamente dal legislatore nell'art. 2,lettere a), c) e g), del d.P.R. n. 309 del 1990). Si determina in tal modo anche una disparità di trattamento che non trova giustificazione nella tutela della salute (e dunque nella nocività delle sostanze), né in ragioni di ordine pubblico.
2. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura richiama in particolare i principi affermati nella sentenza n. 360 del 1995, in cui questa Corte ha puntualizzato che la detenzione, l'acquisto e l'importazione di sostanze stupefacenti per uso personale si presentano come condotte in stretto collegamento, immediato e diretto, con l'uso stesso; collegamento che, naturalmente, si riferisce all'uso personale del medesimo soggetto che detiene. Il che rende non irragionevole un atteggiamento meno rigoroso del legislatore nei confronti di chi, ponendo in essere una condotta direttamente antecedente al consumo, ha già operato una scelta che l'ordinamento non intende più contrastare nella rigida forma della sanzione penale. Invece -- ritiene l'Avvocatura -- può dirsi che nella condotta di chi cede "droghe leggere" manca quel "nesso di immediatezza" con l'uso personale richiesto nella citata pronuncia di questa Corte, e ciò è sufficiente a giustificare un possibile atteggiamento di maggior rigore nella previsione della norma penale, rientrando nella discrezionalità del legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all'approvvigionamento di sostanze stupefacenti per uso personale.
Comunque la cessione di droghe leggere può ragionevolmente ritenersi "pericolosa" in quanto, agevolando l'offerta delle sostanze stupefacenti, aumenta di converso la domanda e quindi il consumo di droga, con gravissimo danno della salute pubblica, della sicurezza e dell'ordine pubblico; sicché è logico e razionale che a tali condotte sia riservato un trattamento normativo più severo rispetto alle condotte finalizzate all'uso personale.
L'Avvocatura ricorda infine che il disposto dell'art. 3, comma 4, lettera c) della convenzione di Vienna del 1988 preclude la liberalizzazione del commercio delle droghe, anche leggere, in quanto consente l'irrogazione di sanzioni di natura amministrativa soltanto per le fattispecie di minore entità.
3. -- Si sono costituite le parti private concludendo, anche con due successive memorie, per la fondatezza delle censure di incostituzionalità formulate dal giudice remittente.
Dopo la vicenda referendaria, che ha condotto alla depenalizzazione della detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale, l'art. 73 cit. -- sostiene la difesa -- ormai ingloba fattispecie incriminatrici di contenuto non più compatibile con quelle relative alla detenzione per uso personale. Infatti, oltre a prevedere una serie di condotte latamente riconducibili all'acquisizione delle sostanze per scopi di traffico commerciale, individua anche condotte fra le quali è da ricomprendere la cessione a titolo gratuito (per evidente scopo dimostrativo) di piccoli quantitativi di droghe leggere, condotta questa del tutto estranea alla finalità di spaccio. La scelta punitiva del legislatore conserva la necessaria coerenza e razionalità soltanto fino a che ricevono il medesimo trattamento ipotesi (descritte dall'art. 73) affini allo spaccio al fine di lucro; invece tale ragionevolezza viene meno quando nella stessa disciplina si ricomprendono condotte le quali, pur comportando una diffusione dell'uso degli stupefacenti, sono funzionalmente collegate a quell'uso personale reso penalmente lecito dall'art. 75.
La difesa poi, con riferimento alla disciplina degli stupefacenti, ritiene identificabili due tipi normativi: il consumatore (da curare) e lo spacciatore (da punire). Però questa distinzione trale due tipologie di autore tenute presenti dal legislatore nel disegnare il complessivo quadro normativo non è coerente con la inclusione di taluni comportamenti nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 73. Infatti il comma primo di tale disposizione, nel reprimere svariati comportamenti con esclusione delle ipotesi di cui all'art. 75, rende manifesto l'intento del legislatore di sanzionare solo il traffico illecito delle sostanze stupefacenti, eliminando nel contempo la punibilità del consumo e delle azioni ad esso finalizzate. E invece la norma, nell'includere genericamente una moltitudine di comportamenti, ha esteso eccessivamente il suo raggio di applicazione, sconfinando in zone disciplinate dall'art. 75.
La difesa argomenta ancora che la normativa in tema di cessione di sostanze stupefacenti del tipo cannabis e suoi derivati rivela, d'altro canto, i caratteri della irrazionalità e della arbitrarietà anche alla luce del principio di "offensività necessaria" della norma penale. Infatti i derivati della cannabis indica posseggono un'azione psicotropa pari a quella di altre sostanze, lecite e di larghissimo uso quali psicofarmaci, caffeina, alcool, nicotina; ma, a differenza di tali sostanze, non producono i danni alla salute che in maniera inconfutabile sono determinati dall'uso di queste ultime. Pertanto, la inclusione dell'hashish e marijuana tra le sostanze illecite, avuto riguardo ai parametri di offensività desumibili dalla affermata liceità delle altre sostanze psicotrope, determina la punibilità di condotte prive di offensività e comporta un'ingiustificata disparità di trattamento.
4. -- Nel corso del procedimento penale contro Buccolini Cesare ed altri per il reato di cessione a terzi di sostanze stupefacenti di cui alle tab. II e IV dell'art. 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ha sollevato (con ordinanza del 10 gennaio 1996) questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 73, commi 4 e 5, ultima parte, e 14, lettera b), numeri 1 e 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 in termini identici a quelli della precedente ordinanza sopra indicata.
5. -- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente all'atto di intervento depositato nel giudizio incidentale promosso con la precedente ordinanza di rimessione del medesimo giudice.
Considerato in diritto
1. -- In entrambi i giudizi è stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale -- in riferimento agli artt. 3, 13 e 25 della Costituzione -- degli artt. 14, lett. b), numeri 1 e 2, e 73, commi 4 e 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui prevedono come condotta sanzionata penalmente anche la cessione gratuita di modesti quantitativi di droghe leggere (quali i derivati della canapa indiana) per uso personale del cessionario. Si sospetta da parte del giudice remittente la violazione del principio di ragionevolezza e di eguaglianza in quanto -- una volta depenalizzate le condotte di detenzione, acquisto, importazione di qualsiasi sostanza stupefacente per uso personale -- sarebbe illogico mantenere penalmente sanzionata la suddetta condotta di cessione gratuita di droghe leggere che costituisce un'attività "logicamente e necessariamente propedeutica alla detenzione per uso personale". Parimenti il principio di ragionevolezza e quello di eguaglianza sarebbero violati perché non è prevista come reato la cessione di sostanze egualmente (o addirittura più) nocive, quali il tabacco, l'alcool e gli psicofarmaci. Infine sarebbe violato il principio di offensività perché non è posta in pericolo la salute degli assuntori di tali sostanze stupefacenti (droghe leggere), né è leso o posto in pericolo l'ordine pubblico.
2. -- I due giudizi vanno riuniti per identità dell'oggetto.
3. -- Le questioni non sono fondate.
Il citato art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 (disposizione censurata unitamente al precedente art. 14) contemplava, nella sua formulazione originaria prima della parziale abrogazione referendaria, un tipico reato a condotta plurima prevedendosi come delitto il fatto di chi senza l'autorizzazione coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta, importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dagli articoli 75 e 76, sostanze stupefacenti o psicotrope. Al successivo quinto comma era (ed è) poi delineata un'ipotesi attenuata, prevedendosi una pena ridotta quando, per il mezzo, per le modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti sono di lieve entità.
Dal novero delle condotte contemplate dall'art. 73, il successivo art. 75 ne estrapola tre -- l'importazione, l'acquisto e la detenzione -- per riferirle ad una finalità specifica dell'agente, che è quella di farne uso personale; per queste condotte la disciplina precedente alla abrogazione referendaria, ispirata ad un maggior rigore nel contrastare la diffusione della tossicodipendenza e dell'assunzione di sostanze stupefacenti, operava una distinzione, utilizzando un criterio quantitativo (quello della dose media giornaliera) per tracciare un confine tra l'illecito perseguito penalmente e quello sanzionato solo in via amministrativa.
Per effetto dell'esito referendario è caduta tale limitazione quantitativa (il criterio della dose media giornaliera) e con essa la distinzione suddetta, sicché le tre condotte contemplate dall'art. 75, ove finalizzate all'uso personale, sono state interamente attratte nell'area dell'illecito amministrativo divenendo estranee all'area del penalmente rilevante; in tal modo è risultata anche in parte modificata la stessa strategia di (confermato) contrasto della diffusione della droga nel senso che è stata isolata la posizione del tossicodipendente (e anche del tossicofilo) rendendo tale soggetto destinatario soltanto di sanzioni amministrative -- significative peraltro del perdurante disvalore attribuito alla attività di assunzione di sostanze stupefacenti -- ma non anche di sanzione penale. Ciò però non sulla base soggettiva dell'autore della condotta, quasi si trattasse di una immunità personale, bensì sulla base oggettiva della condotta stessa (quale specificata nell'art. 75 nelle tre ipotesi suddette) e dell'elemento teleologico (della destinazione della droga ad uso personale). In tal modo -- come questa Corte ha già puntualizzato (sentenza n.360 del 1995) -- ne risulta tracciata una "cintura protettiva" del consumo, volta ad evitare il rischio che l'assunzione di sostanze stupefacenti possa indirettamente risultare di fatto assoggettata a sanzione penale. In quest'area di rispetto ricadono "comportamenti immediatamente precedenti essendo di norma la detenzione (spesso l'acquisto, talvolta l'importazione) l'antecedente ultimo dell'assunzione"; ed è l'elemento teleologico della destinazione della droga all'uso personale ad assicurare (secondo l'id quod plerumque accidit) tale nesso di immediatezza. Ove invece non ricorra l'elemento oggettivo (di una delle tre condotte tipizzate nell'art. 75 cit.) o quello teleologico (appena ricordato) si ricade nell'area dell'illecito penale. Ciò anche nell'ipotesi di una condotta, quale quella della coltivazione di piante da cui si possono estrarre i principi attivi di sostanze stupefacenti al fine di fare uso personale delle stesse, che si approssima notevolmente a tale "cintura protettiva", ma ne rimane pur sempre all'esterno mancando la puntuale e rigorosa identificazione di uno dei due requisiti prescritti: condotta questa la cui perdurante rilevanza penale è stata ritenuta proprio per tale ragione non illegittima da questa Corte nella citata sentenza n.360 del 1995.
4. -- Della incriminazione penale di un'altra condotta -- anch'essa esterna all'area di quelle depenalizzate -- le ordinanze di rimessione domandano ora il controllo di costituzionalità: esattamente la condotta che i giudici remittenti individuano in quella della cessione gratuita di modesti quantitativi di droghe leggere per uso personale del cessionario. Precisazione questa, circa l'esatto oggetto della questione proposta, che appare indispensabile perché la condotta di cui il giudice remittente invoca in sostanza la depenalizzazione a mezzo di pronuncia di questa Corte è affatto distinta e diversa da altre fattispecie evocate dalla difesa, che, proprio perché del tutto peculiari, sono estranee a quella devoluta allo scrutinio della Corte, nella quale non rilevano elementi tipizzanti, oggettivi o soggettivi, ulteriori rispetto a quelli sopra precisati.
5. -- Così definito il thema decidendum va innanzi tutto rilevata la non fondatezza del profilo di censura, secondo cui non sarebbe più giustificata la perdurante rilevanza penale della condotta come sopra specificata (cessione gratuita di modesti quantitativi di droghe leggere per uso personale del cessionario) una volta che è stata depenalizzata, a seguito del referendum, la detenzione per uso personale, alla quale la cessione è necessariamente propedeutica. Infatti il trattamento differenziato tra cessione e detenzione (o acquisto o importazione), anche quando qualificate l'una dalla destinazione finale della sostanza stupefacente all'uso personale del cessionario e l'altra a quello del detentore, non è irragionevole perché -- come già osservato evidenziandosi le ragioni che hanno indotto a ritenere parimenti non irragionevole il trattamento differenziato tra coltivazione e detenzione (o acquisto o importazione) pur quando qualificate entrambe dalla destinazione all'uso personale dell'agente (sentenza n.360 del 1995) -- non c'è immediatezza tra la condotta del cedente e la destinazione della sostanza all'uso personale del cessionario, immediatezza che è invece sottesa alle ragioni della depenalizzazione, giacché il rapporto fra cessione ed uso personale è mediato dalla condotta -- anzi, di più: dalla mera intenzione -- di un soggetto (il cessionario) diverso dall'autore (il cedente) della condotta penalmente sanzionata. Le ragioni della depenalizzazione referendaria attengono integralmente alla persona dell'assuntore, e le condotte prossime, con nesso di immediatezza, al consumo in tanto sono attratte nell'area della depenalizzazione in quanto si è voluto evitare ogni rischio di indiretta criminalizzazione del consumo. Queste ragioni vengono, invece, radicalmente meno quando dalla persona dell'assuntore si passa a considerare altri soggetti diversi, onde si giustifica l'atteggiamento di rigore, serbato dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità, diretto a reprimere qualsiasi ipotesi di cessione, anche se gratuita e di modica quantità (v. altresì infra), qualunque sia il fine perseguito dal cedente. E come non è dubbio che il contrasto della diffusione della droga costituisca un legittimo obiettivo di politica criminale, così anche non è incoerente, ed è quindi parimenti legittimo, che il legislatore intenda ostacolare in ogni caso la fase terminale costituita dalla distribuzione al minuto, che è quella connotata appunto dalla finalizzazione della cessione all'uso personale del cessionario. Anche e soprattutto perché, se non ci fosse cessione al consumatore, il mercato della droga non avrebbe ragione, né possibilità di esistere.
Nessun elemento di irragionevolezza contiene quindi il perdurante mantenimento della cessione in questione nell'area del penalmente illecito.
6. -- Anche, poi, quanto all'elemento della modestia dei quantitativi ceduti ed alla gratuità della cessione non emergono elementi di per sé idonei a rendere irragionevole l'incriminazione. Come già rilevato, è proprio e soltanto la cessione al consumatore finale, qualunque sia l'entità del quantitativo di volta in volta ceduto, che alimenta e realizza la circolazione della droga ed il suo mercato; quel mercato che il legislatore vuole combattere nel quadro di una "efficace strategia di contrasto del narcotraffico", incidendo proprio sull'"ultima fase di spaccio" (sentenza n.333 del 1991).
Ciò che si vuole impedire è che la droga giunga al consumatore, sia perché -- si ripete -- senza quest'ultima fase il narcotraffico non avrebbe ragione di esistere, sia perché comunque si vuole contrastare ogni ulteriore incremento del consumo di tali sostanze. Non senza considerare che la cessione gratuita della droga può non implausibilmente essere valutata come particolarmente pericolosa (per il più elevato rischio di iniziazione di soggetti che altrimenti non verrebbero in contatto con il mercato clandestino della droga) ed insidiosa (per il carattere più invitante ed accattivante di un'offerta senza richiesta di controprestazione), sicché non è irragionevole temere che dalla (invocata) depenalizzazione della cessione gratuita in questione conseguirebbe in realtà una maggiore diffusione della tossicodipendenza e della tossicofilia con indiretto incremento ed incentivo del mercato clandestino, il quale di tale depenalizzazione mirata finirebbe per giovarsi.
Quindi la modica quantità ed il carattere oneroso o gratuito di tale ultima cessione incidono soltanto sulla maggiore o minore gravità del reato.
D'altra parte, anche l'asserito fallimento della politica proibizionistica, sul quale particolarmente insiste la difesa delle parti private costituite, non può che formare oggetto della valutazione discrezionale del legislatore, cui appartiene (nel rispetto dei vincoli derivanti da accordi internazionali) la scelta della più o meno rigida strategia di controllo della diffusione della droga e del contenimento del fenomeno delle tossicodipendenze.
7. -- Quanto infine alla assunta non offensività (della cessione) delle droghe leggere, perché non nocive o comunque meno nocive dell'alcool, valgono le considerazioni già svolte da questa Corte da ultimo nella sentenza n.333 del 1991 per escludere che sia non giustificata la repressione penale dello spaccio di entrambi i tipi di sostanze psicotrope. Del resto è risalente nel tempo l'affermazione della Corte circa la discrezionalità della valutazione del legislatore in ordine alla nocività dei vari tipi di droga (sentenza n.170 del 1982), come pure circa la corrispondenza ad un preciso obbligo internazionale dell'inibizione e repressione della diffusione anche delle droghe leggere (sentenza n. 170 del 1982 citata; ordinanza n. 386 del 1987). Obbligo che non può essere ritenuto inoperante -- come sembra sostenere la difesa delle parti private costituite -- rispetto alla ipotesi della cessione per uso personale del cessionario sulla base dell'asserita equiparazione di tale ipotesi con quella della detenzione per uso personale, dovendosi una tale equiparazione escludere per le ragioni già indicate.
Come anche è stato dalla Corte già ritenuto inconferente al tema il richiamo alla nocività delle bevande alcooliche (sentenza n.170 del 1982 citata), rispetto alle quali la Corte stessa ha avuto occasione di sottolineare la risalente differenza di disciplina, ispirata "ad una larga tolleranza" (sentenza n.104 del 1982).
Sotto questo profilo, dunque, non è carente del connotato in astratto dell'offensività -- salvo apprezzamento da parte del giudice ordinario dell'offensività in concreto (sentenze nn 133 e 308 del 1992; n. 333 del 1991) -- la condotta relativa alla fase terminale del circuito del narcotraffico, consistente nella cessione al consumatore; fase questa che normalmente si realizza proprio mediante la cessione capillare di modesti quantitativi di sostanza stupefacente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 14, lettera b), numeri 1 e 2, e 73, commi 4 e 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sollevate -- in riferimento agli artt. 3, 13 e 25 della Costituzione -- dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 23 luglio 1996.