Sentenza n. 173 del 1996

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SENTENZA N. 173

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), promosso con ordinanza emessa il 1° marzo 1995 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, nel giudizio di responsabilità promosso dal Procuratore regionale nei confronti di Liotta Antonio ed altri, iscritta al n. 325 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Fresco Antonino ed altri, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 gennaio 1996 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi l'avv. Girolamo Rubino per Fresco Antonino ed altri e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.-- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, ha sollevato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), "nella parte in cui non prevede che le parti possano comparire alla pubblica udienza anche a mezzo di professionisti iscritti all'Albo degli avvocati o procuratori".

Occorre premettere che la questione si radica nel corso di un giudizio di responsabilità amministrativa promosso dal Procuratore regionale nei confronti di Liotta ed altri, e che prima dell'inizio della discussione relativa al predetto giudizio, l'avv. G. Rubino, non abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori, ha depositato, in qualità di difensore di alcune parti resistenti nel giudizio a quo, una memoria con la quale ha eccepito la illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge n. 161 del 1953, questione ritenuta dal giudice a quo rilevante e non manifestamente infondata.

L'art. 3, secondo comma, della legge n. 161 del 1953 stabilisce che, in tutti i giudizi di competenza della Corte dei conti, le parti non possono comparire alla pubblica udienza se non a mezzo di un avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione. In virtù di detta previsione -- ad avviso del giudice a quo -- "la parte può agire o resistere nel processo anche con l'assistenza o la rappresentanza di professionisti iscritti all'Albo degli avvocati o dei procuratori, ma costoro non possono poi comparire in pubblica udienza". Detta previsione -- rileva il giudice a quo -- è venuta, tuttavia, meno con riguardo ai giudizi pensionistici rientranti pure nella competenza della Corte dei conti. Infatti, l'art. 6 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito con modificazioni nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, stabilendo che, relativamente ai giudizi pensionistici, "i ricorsi possono essere proposti anche senza patrocinio legale, ma i ricorrenti non possono svolgere oralmente, in udienza, le proprie difese" e che "l'assistenza legale dei ricorrenti può essere svolta da professionisti iscritti all'Albo degli avvocati o dei procuratori" ha determinato il venir meno, con riguardo a questi giudizi, dell'obbligo delle parti di comparire in udienza a mezzo di avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione.

Il remittente sottolinea che il predetto obbligo persiste, per contro, in ordine ai giudizi di responsabilità amministrativa e che in virtù e per effetto di esso il predetto avv. Rubino non può essere ammesso alla discussione in quanto non abilitato al patrocinio in Corte di cassazione. Di qui, ad avviso del remittente, la rilevanza della proposta questione attesoché -- solo nell'ipotesi che la disposizione censurata venga dichiarata costituzionalmente illegittima -- il predetto difensore, costituitosi in rappresentanza di alcuni convenuti, potrebbe essere ammesso a discutere la causa in pubblica udienza. Ma la questione sarebbe, altresí, non manifestamente infondata sotto il profilo del contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Al riguardo, il remittente dopo avere sottolineato che l'art. 24, secondo comma, della Costituzione esige che "in ogni stato di un procedimento giurisdizionale ... sia comunque garantita la effettività del contraddittorio per tutta la durata del procedimento medesimo" rileva che la previsione contenuta nell'art. 3, secondo comma, della legge n. 161 del 1953, nell'escludere che le parti "possano comparire a mezzo dell'avvocato o del procuratore legale ai quali hanno legittimamente e liberamente deciso di affidare la loro difesa o assistenza legale, incaricandoli di sottoscrivere ricorsi e memorie, obbliga le parti stesse, che vogliano effettivamente esercitare il loro diritto di difesa, ad affidare il compito di partecipare all'udienza ad altro avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione".

Ad avviso del remittente siffatto obbligo pregiudicherebbe, da un lato, "l'efficienza della difesa tecnica", attesoché impedirebbe "l'unitarietà e la continuità della relativa prestazione professionale" vulnerando "il diritto di difesa formale e sostanziale della parte" e, dall'altro, renderebbe "molto più oneroso l'esercizio concreto di tale difesa".

2.-- Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituite le parti private -- resistenti nel giudizio a quo e rappresentate dall'avv. Rubino "di concerto" con gli avvocati G. Maniscalco Basile e M. G. Vittorelli -- le quali, in adesione alle argomentazioni contenute nell'ordinanza di rimessione, chiedono che la norma censurata sia dichiarata costituzionalmente illegittima.

In particolare si sostiene -- nella memoria di costituzione -- che il non consentire che il diritto di difesa venga esercitato tramite lo stesso difensore che ha introdotto il giudizio, configurerebbe "una patente violazione del diritto di difesa", avuto riguardo alla giurisprudenza di questa Corte per la quale le modalità richieste per l'esercizio del diritto di difesa non debbono essere tali da render detto diritto impossibile o comunque difficoltoso.

Si sostiene, altresí, che il non consentire la comparizione all'udienza pubblica del difensore scelto dalla parte violerebbe un principio generale e fondamentale dell'ordinamento giuridico, in quanto concreterebbe una "manifesta violazione" dell'art. 6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo (il quale garantirebbe "l'assistenza di un difensore di propria scelta") nonché dell'art. 14 del patto internazionale sui diritti dell'uomo e libertà fondamentali (reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881). Si richiama, inoltre, l'art. 5, ultimo comma, del decreto legislativo 7 gennaio 1992, n. 115 (Attuazione della Direttiva n. 89/48/CEE) che, "disciplinando la durata della formazione professionale, dispone esplicitamente che in ogni caso non può richiedersi la prova di un'esperienza professionale superiore ai quattro anni".

Si rileva -- per contro -- che in Italia il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori è consentito solo dopo avere esercitato per almeno otto anni la professione di avvocato (art. 33 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1178) e che, d'altro canto, ai fini dell'iscrizione all'Albo degli avvocati è richiesta la prova dell'esercizio della professione di procuratore legale per almeno sei anni. Sicché l'accesso alle giurisdizioni superiori sarebbe consentito ai procuratori legali dopo 14 anni in difformità da quanto previsto dalla normativa comunitaria.

Si osserva, altresí, che gli avvocati provenienti da altri Stati membri della Comunità europea sono ammessi -- in virtù dell'art. 8 della legge 9 febbraio 1982, n. 31 -- al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori italiane "purché dimostrino di avere esercitato la professione per almeno otto anni" e quindi ben prima dei loro colleghi italiani.

Infine si richiama l'ordinanza, pronunciata nel corso dell'udienza 19 aprile 1995 e allegata alla sentenza n. 154 del 1995, con la quale si afferma che gli avvocati di altri Paesi della Comunità -- abilitati al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori italiane -- debbono comunque operare di concerto con un avvocato italiano munito delle abilitazioni richieste dalla legge.

In considerazione di ciò l'avv. Rubino dichiara, infine, di costituirsi -- pur non essendo iscritto all'Albo speciale per il patrocinio dinanzi alla Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori -- davanti a questa Corte "di concerto" con altri difensori muniti dei requisiti richiesti dalla legge italiana.

3.-- Nel giudizio dinanzi alla Corte è, altresí, intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la inammissibilità o per la manifesta infondatezza della proposta questione.

In ordine alla inammissibilità, l'Avvocatura rileva che la questione è stata introdotta da soggetto privo di jus postulandi e capacità di stare in giudizio per la parte asseritamente rappresentata, attesoché non abilitato al patrocinio in Corte di cassazione e, pertanto, sfornito di titolo idoneo a legittimarne la partecipazione al giudizio pendente avanti al remittente.

In via subordinata la questione sarebbe palesemente infondata.

L'Avvocatura generale dello Stato sottolinea che la necessità di avvalersi di un avvocato ammesso al patrocinio in Corte di cassazione -- al fine di comparire alla pubblica udienza -- troverebbe la sua ragione nella peculiarità della trattazione ivi svolta e nella particolare preparazione ed esperienza all'uopo necessaria. Il tutto, peraltro, ad avviso dell'Avvocatura, è certamente preordinato ad assicurare la migliore e piena tutela del diritto di difesa della parte avanti a giurisdizioni superiori e speciali. In altri termini, il ricorso all'avvocato abilitato al patrocinio in Corte di cassazione, mirando proprio ad assicurare la maggiore efficienza della difesa tecnica, sarebbe del tutto in armonia con l'art. 24 della Costituzione, e comunque concernerebbe le modalità di esercizio del diritto di difesa, rimesse alla discrezionalità del legislatore.

Considerato in diritto

1.-- Preliminarmente deve essere esaminata la eccezione, sollevata dalla Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la questione sarebbe inammissibile in quanto "introdotta" da un soggetto non abilitato al patrocinio avanti le giurisdizioni superiori e privo di jus postulandi dinanzi al giudizio pendente avanti al rimettente.

L'eccezione è priva di fondamento in quanto la questione, se accolta, consentirebbe allo stesso difensore di partecipare alla discussione del giudizio a quo.

2.-- Occorre sottolineare che alcune delle considerazioni svolte dalla difesa della parte privata tendono a riproporre in questa sede taluni profili già proposti dalla stessa parte e dichiarati infondati o irrilevanti dal giudice a quo, e quindi non suscettibili di essere reintrodotti in questa sede.

3.-- Deve, infine, sempre in via preliminare essere riconfermata la statuizione contenuta nell'ordinanza della Corte, emessa in udienza il 9 gennaio 1996, secondo cui è inammissibile la partecipazione dell'avvocato Rubino alla discussione in udienza avanti alla Corte costituzionale in rappresentanza e difesa delle parti private.

Infatti l'art. 20 della legge 11 marzo 1953, n. 87 abilita alla rappresentanza e difesa delle parti avanti alla Corte costituzionale gli avvocati ammessi al patrocinio avanti alla Corte di cassazione, né può contestarsi la legittimità di una tale scelta legislativa che si basa su una valutazione diretta precisamente ad assicurare, mediante la previsione di un titolo abilitativo, il possesso di requisiti attitudinali, proprio in garenzia di una efficienza della difesa tecnica in armonia con l'art. 24 della Costituzione.

D'altro canto le considerazioni della difesa della parte privata secondo cui il diritto di difesa sarebbe reso oltremodo oneroso e difficile qualora fosse preclusa la partecipazione, in una fase incidentale del giudizio, del difensore che ha iniziato il giudizio stesso (avanti al giudice a quo), sono prive di fondamento. Infatti trattasi di un giudizio (ancorché incidentale) di legittimità costituzionale, che si svolge in un livello superiore, con regole e norme procedurali diverse anche per quanto attiene alla qualificazione dei difensori, che sono su un piano differente rispetto a quello della difesa avanti ad altri giudici.

A queste norme proprie del giudizio dinanzi alla Corte costituzionale (e alle giurisdizioni superiori) deve conformarsi sia l'esercizio del diritto di difesa dell'avvocato che voglia esercitare il patrocinio avanti alla Corte costituzionale, sia la libera scelta del difensore ad opera delle parti.

4.-- La questione sottoposta all'esame della Corte, nel corso di un giudizio di responsabilità amministrativa, riguarda l'art. 3, secondo comma, della legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), "nella parte in cui non prevede che le parti possano comparire alla pubblica udienza anche a mezzo di professionisti iscritti all'Albo degli avvocati o procuratori", e consiste quindi nello stabilire se nei giudizi di responsabilità amministrativa lo svolgimento della difesa in pubblica udienza dinanzi alla Corte dei conti possa essere limitata agli avvocati abilitati al patrocinio presso le giurisdizioni superiori; ed in particolare se detta previsione violi l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto pregiudica l'unitarietà e la continuità della prestazione professionale, nonché l'efficienza della difesa tecnica, rendendo, altresí, molto più oneroso l'esercizio di detta difesa.

La questione è priva di fondamento in quanto -- come ha sottolineato la difesa dell'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri -- la necessità di avvalersi, per i giudizi (di responsabilità amministrativa), come quello in cui è stata sollevata la questione avanti alla Corte dei conti, al fine di comparire alla pubblica udienza, di un avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, trova fondamento nella peculiarità della trattazione ivi svolta e della particolare preparazione ed esperienza all'uopo necessaria ed è diretta a realizzare la migliore e piena tutela del diritto di difesa della parte attraverso una efficiente difesa tecnica in udienza mediante un professionista dotato di requisiti attitudinali e di esperienza, che la suddetta abilitazione può assicurare secondo una valutazione del legislatore tutt'altro che irragionevole.

Inoltre, come ha avuto occasione di sottolineare questa Corte, le modalità della tutela giurisdizionale possono essere regolate dal legislatore in modo non rigorosamente uniforme a condizione che non siano vulnerati i principi fondamentali di garenzia ed effettività della tutela medesima (sentenze n. 82 del 1996; n. 251 del 1989; n. 38 del 1988; n. 49 del 1979), mentre l'esistenza di una differente tipologia di processi legata alla obiettiva diversità delle situazioni e delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti, non contrasta con l'art. 24 della Costituzione, non essendovi la necessità di uniformità (sentenza n. 82 del 1996: principio affermato in fattispecie riferita alla procura al difensore e al raffronto tra norme del processo civile e quello amministrativo, ma applicabile anche nell'ambito della medesima giurisdizione nel raffronto tra le diverse tipologie e fasi procedimentali).

Giova da ultimo sottolineare che, per i giudizi pensionistici avanti alla Corte dei conti, l'art. 6 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, ha fatto venire meno l'obbligo del patrocinio legale di avvocato, pur precludendo ai ricorrenti, che agiscono difendendosi di persona, di comparire in udienza per svolgere oralmente la difesa, mentre -- come sottolineato dal giudice a quo -- sempre nei giudizi pensionistici è stata data anche facoltà alle parti di avvalersi della assistenza legale di semplici avvocati e procuratori essendo venuto meno l'obbligo di farsi rappresentare da avvocato ammesso al patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori. La anzidetta semplificazione ed agevolazione, introdotta dal legislatore come eccezione esclusivamente per i giudizi pensionistici, in relazione alla particolarità e semplicità delle relative questioni, non può avere alcun rilievo nel diverso giudizio di responsabilità avanti alla Corte dei conti, per il quale continua a valere la regola generale che la discussione orale può essere svolta solo da un avvocato c.d. cassazionista, cioè abilitato alla difesa avanti alle giurisdizioni superiori. Infatti il legislatore, con una scelta non irragionevole, tenuto conto delle conseguenze che può produrre una statuizione di responsabilità amministrativa, non ha voluto modificare il livello tecnico-professionale con particolare abilitazione richiesto per partecipare alla discussione orale avanti alle giurisdizioni superiori, ciò proprio per assicurare una adeguata difesa della parte privata nel giudizio di responsabilità.

Del resto nei giudizi avanti alla Corte dei conti, ed in particolare anche nei giudizi di responsabilità, il sistema processuale (in maniera non dissonante con il processo amministrativo) configura la fase della discussione orale in pubblica udienza come non assolutamente necessaria essendo rimessa alla libera scelta della condotta delle parti di partecipare e di discutere dopo avere presentato memorie, istanze e difese, trattandosi di procedimento essenzialmente scritto: la causa può passare in decisione anche senza la presenza dei rappresentanti delle parti e senza lo svolgimento della discussione orale.

Nello stesso tempo permane in ogni momento, fino all'udienza pubblica, il potere liberamente esercitabile dalle parti di affiancare, al difensore da esse stesse scelto e nominato, che sia semplicemente avvocato (quando ciò sia ammissibile), altro abilitato alle giurisdizioni superiori per poter partecipare alla discussione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti) sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, con ordinanza emessa in data 1° marzo 1995.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 maggio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 maggio 1996.