Sentenza n. 49 del 1979
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SENTENZA N. 49

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Leonetto AMADEI, Presidente

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 316 del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 20 dicembre 1974 dal tribunale di Lucca, nel procedimento civile vertente tra Santucci Marina e Andreini Enny ed altri, iscritta al n. 202 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 185 del 9 luglio 1975.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 aprile 1979 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento civile promosso da Santucci Marina contro Andreini Enny e Salani Riccardo, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti per la morte del proprio marito Quilici Assuero, il tribunale di Lucca, con ordinanza del 20 dicembre 1974, ha sollevato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 316 c.p.c., riguardante la disciplina del procedimento davanti al pretore e al conciliatore.

Nell'ordinanza si pone in rilievo che il difensore della parte attrice non aveva fornito al Collegio gli elementi necessari per liquidare i danni morali e materiali dei quali era stato richiesto il risarcimento e non aveva neppure provato l'età della vittima.

In tale situazione, secondo il giudice a quo, la domanda avrebbe dovuto essere respinta, ma una simile decisione, formalmente ineccepibile, sarebbe stata iniqua nella sostanza. Invero, in questi casi la disposizione denunziata accorda, al pretore e al conciliatore, il potere di indicare alle parti in ogni momento le lacune che ravvisa nell'istruzione assegnando un termine per provvedervi.

Tale potere non compete però al tribunale e ciò si tradurrebbe, secondo quanto si assume nell'ordinanza, in una lesione del diritto di difesa.

2. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 19 luglio 1975, le cui conclusioni si precisano nella richiesta di una declaratoria di non fondatezza della questione sollevata.

Secondo l'Avvocatura l'art. 316 c.p.c. troverebbe il suo fondamento nelle peculiari caratteristiche dei procedimenti di competenza del pretore e del conciliatore e non potrebbe ravvisarsi, nella mancata estensione della sua sfera di applicabilità ai giudizi di competenza del tribunale, una violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, poiché in essi il compiuto esercizio del diritto di difesa sarebbe assicurato dalla presenza del difensore.

Considerato in diritto

1. - La Corte é chiamata a decidere se sia o meno in contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost. (per il quale "la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento") l'art. 316 c.p.c., nella parte in cui non attribuisce al tribunale il potere, riconosciuto al pretore e al conciliatore, "di indicare alle parti in ogni momento le lacune che ravvisa nell'istruzione e le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere riparate, assegnando un termine per provvedervi".

Secondo il giudice a quo, la mancata estensione dell'applicazione della norma denunziata ai giudizi di competenza del tribunale si tradurrebbe in una lesione del diritto di difesa "inteso come potere di esplicare quelle attività che appaiono necessarie in relazione al riconoscimento di un diritto... senza limiti o restrizioni.. che detto riconoscimento rendano concretamente illusorio".

2. - L'assunto non può essere condiviso.

Poteri attribuiti al conciliatore e al pretore dal citato art. 316 c.p.c. sono certamente più ampi di quelli concessi al giudice collegiale, ma ciò non comporta violazione del diritto di difesa poiché l'inapplicabilità di detta disposizione ai procedimenti di competenza del tribunale non limita in alcun modo il potere delle parti di agire in giudizio per la tutela delle proprie ragioni e di assumere a tal fine tutte le iniziative consentite dall'ordinamento, avvalendosi dell'effettiva assistenza di un difensore nello svolgimento del processo.

Del resto, come più volte é stato ribadito da questa Corte (sent. nn. 89 e 125 del 1972, 14 del 1973, 255 del 1974), il principio sancito nell'art. 24, secondo comma, Cost., se esige che siano assicurati lo scopo e la funzione dialettica del processo, non esclude che le modalità dell'esercizio dell'attività difensiva delle parti possano essere diversamente regolate in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti.

Non va dimenticato, peraltro, che anche nella disciplina dell'ordinario processo di cognizione esistono norme, le quali prevedono un largo margine di "collaborazione" tra il giudice e le parti, sia al fine dell'esatta determinazione del thema decidendum (artt. 117 e 183, secondo comma, c.p.c.) sia allo scopo di ovviare a difetti e lacune nell'attività difensiva delle parti (art. 182 c.p.c.).

Le differenze, sotto tale aspetto, tra la disciplina dei procedimenti di competenza del tribunale e quella dei giudizi innanzi al pretore e al conciliatore sono pertanto meno sensibili di quanto il giudice a quo mostra di ritenere e trovano comunque nel sistema razionale giustificazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 316 c.p.c., sollevata - in riferimento all'articolo 24, secondo comma, della Costituzione - dal tribunale di Lucca con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 giugno 1979.

Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 18 giugno 1979.