ORDINANZA N.76
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 4, 5 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza),
promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1995 dal Pretore di La Spezia sull'istanza proposta da P.M.A., iscritta al n. 671 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 gennaio 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
udito l'Avvocato dello Stato Ivo Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
RITENUTO che, nel corso del procedimento relativo alla richiesta di una minore per ottenere l'autorizzazione a decidere l'interruzione volontaria della gravidanza, il Pretore di La Spezia, in funzione di giudice tutelare, ha sollevato, con ordinanza del 25 maggio 1995 (pervenuta a questa Corte il 14 settembre 1995), questione di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza), in riferimento agli articoli 2 e 31, secondo comma, della Costituzione;
che il giudice rimettente osserva, preliminarmente, che il procedimento regolato dall'art. 12 della legge n. 194 del 1978 dà luogo all'esercizio della funzione giurisdizionale, sia pure in forma non contenziosa, in quanto è affidata al giudice, al fine del provvedimento autorizzatorio, la verifica della corrispondenza tra le ragioni addotte dalla minorenne e le circostanze che legittimano in via generale l'interruzione della gravidanza, quali indicate nell'art. 4 della stessa legge;
che, muovendo da questo rilievo, il rimettente contesta la configurazione che la giurisprudenza di questa Corte (ordinanza n. 463 del 1988) ha dato all'autorizzazione giudiziale quale provvedimento esterno al riscontro delle condizioni di fatto previste dalla legge per consentire l'interruzione della gravidanza: una configurazione che individua nel consultorio, o nella struttura socio-sanitaria, o nel medico di fiducia i soggetti abilitati a effettuare tale riscontro, secondo l'art. 5 della legge n. 194 del 1978, e che definisce quindi l'intervento del giudice tutelare come pertinente alla sfera della capacità della donna minorenne, sul piano della adeguata valutazione dell'atto di interruzione della gravidanza;
che il Pretore ritiene invece che il provvedimento autorizzatorio, in quanto integrativo della volontà della minore, si risolva esso stesso in una manifestazione di volontà, convergente con quella della donna e che, pertanto, al giudice sia affidata una valutazione in concreto del contenuto intrinseco dell'atto;
che il Pretore sottopone a questa Corte lo scrutinio di costituzionalità degli articoli 4, 5 e 12 della legge n. 194 del 1978 "nella parte in cui consentono alla donna di decidere e al giudice tutelare di autorizzare la donna minorenne a decidere l'interruzione volontaria della gravidanza anche al di fuori dei casi in cui l'ulteriore gestazione implichi danno o pericolo grave ed attuale, medicalmente accertabile in modo obiettivo e non altrimenti evitabile per la salute della madre", per contrasto con gli articoli 2 e 31, secondo comma, della Costituzione, i quali proteggono la vita del concepito e la maternità;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale, rilevando l'identità della questione sollevata con quella già decisa dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 293 del 1993, nel senso della manifesta inammissibilità, ha concluso per analoga declaratoria anche nel presente giudizio.
CONSIDERATO che il Pretore di La Spezia ripropone a questa Corte profili già ripetutamente affrontati e decisi (oltre all'ordinanza n. 463 del 1988 citata dal rimettente, sentenza n. 196 del 1987 e, da ultimo, ordinanza n. 293 del 1993), concernenti il procedimento di autorizzazione a decidere l'interruzione volontaria della gravidanza da parte di donna minore di età (ed entro i primi novanta giorni di gestazione), procedimento sul quale si innesta l'intervento del giudice tutelare allorché non vi sia l'assenso degli esercenti la potestà o la tutela sulla minore, o vi siano pareri difformi da parte di costoro o, ancora, sussistano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela (art. 12, secondo comma, della legge n. 194 del 1978, anch'esso coinvolto nell'impugnativa insieme alla norma sostanziale dell'art. 4 e a quella dell'art. 5 della legge, concernente le procedure medico-sanitarie e amministrative);
che le censure dedotte dal rimettente muovono dal presupposto della configurazione del provvedimento giudiziale come integrativo della volontà della donna, nel cui ambito pertanto al giudice sarebbe affidato anche il potere di valutazione intrinseca del contenuto della decisione che la minore intende prendere e per la quale deve essere autorizzata dal giudice tutelare;
che, in senso diverso, deve ribadirsi che il potere autorizzatorio del giudice tutelare è previsto (quando si verifichino le condizioni di cui al secondo comma dell'articolo 12 della legge n. 194 del 1978) a garanzia della consapevolezza circa i beni di rilievo costituzionale consistenti nella tutela della vita del concepito e della vita e della salute della donna (sentenza n. 27 del 1975) e della serietà della loro valutazione e ponderazione (ordinanza n. 293 del 1993; sentenza n. 109 del 1981), e quindi anche a garanzia del rispetto delle procedure che la legge ha previsto a tale scopo, in un sistema che prefigura interventi di sostegno e di solidarietà da parte dei servizi sociali per superare le cause che potrebbero portare all'interruzione della gravidanza (art. 2, primo comma, e art. 5, primo e secondo comma, della legge n. 194 del 1978);
che, rispetto a questa funzione del procedimento dinanzi al giudice tutelare, è attribuito a tale giudice - in tutti i casi in cui l'assenso dei genitori o degli esercenti la tutela non sia o non possa essere espresso - il compito di "autorizzazione a decidere", un compito che (alla stregua della stessa espressione usata per indicarlo dall'art. 12, secondo comma, della legge n. 194 del 1978) non può configurarsi come potestà co-decisionale, la decisione essendo rimessa - alle condizioni previste - soltanto alla responsabilità della donna;
che la diversa visione che del proprio ruolo ha il giudice tutelare rimettente condurrebbe ad ammettere un suo potere decisionale concorrente non sindacabile (ex art. 12, secondo comma, della legge n. 194 del 1978), concernente il merito di una decisione che invece, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (ordinanza n. 389 del 1988), il legislatore ha inteso lasciare - secondo una valutazione politico-legislativa insindacabile - alla responsabilità finale della donna;
che deve pertanto essere ancora una volta ripetuto che, nell'ambito della procedura autorizzatoria di cui all'art. 12 impugnato, non viene direttamente in causa l'interesse del concepito (ordinanza n. 463 del 1988) e ciò non nel senso dell'indifferenza dell'ordinamento rispetto a esso - come erroneamente affermato dal giudice rimettente - ma nel senso che a tale interesse sono preordinati gli accertamenti, le valutazioni e le attività previste a tutela della maternità e della vita del concepito, cui sono chiamati i soggetti indicati dall'art. 5 della legge;
che, per quanto detto, ai fini dell'esercizio della potestà autorizzatoria del giudice tutelare, che l'art. 12 della legge n. 194 subordina a condizioni che spetta al giudice medesimo accertare, rilevano invece esigenze diverse, anch'esse di grande significato, che si compendiano nella verifica in ordine all'esistenza delle condizioni nelle quali la decisione della minore possa essere presa in piena libertà morale, ciò che presuppone la consapevolezza più ampia e approfondita possibile, da un lato, dei beni che la decisione medesima coinvolge e, dall'altro, dei presupposti relativi alla salute della madre che la legge prevede, nonché la conoscenza e la valutazione di tutti gli altri fattori (di natura economico-sociale e giuridica) che l'ordinamento è tenuto a predisporre a favore della maternità;
che, così ribadita la configurazione complessiva del procedimento concernente la "autorizzazione a decidere" del giudice tutelare, ne segue la conferma della dichiarazione di manifesta inammissibilità, per irrilevanza, della questione sollevata sugli articoli 4 e 5 della legge n. 194 del 1978, nonché di quella riferita all'art. 12 della stessa legge, denunciato non in quanto tale ma come mezzo di introduzione delle censure sui predetti articoli 4 e 5 (v. ordinanza n. 293 del 1993 citata).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza), sollevata, in riferimento agli articoli 2 e 31, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di La Spezia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 15 marzo 1996.