Sentenza n.109 del 1981
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SENTENZA N. 109

ANNO 1981

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Avv. Leonetto AMADEI, Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Interruzione volontaria della gravidanza) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 ottobre 1978 dal Giudice tutelare di Verona sull'istanza proposta da Gava Stefania, iscritta al n. 644 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 1979;

2) ordinanza emessa il 2 maggio 1979 dal Giudice tutelare di Cuneo sull'istanza proposta da Rainisio Tiziana, iscritta al n. 481 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 237 del 1979;

3) ordinanza emessa il 24 maggio 1979 dal Giudice tutelare di Torino sull'istanza proposta da Cotugno Caterina, iscritta al n. 508 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 244 del 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 gennaio 1981 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Pretore di Verona, investito della decisione prevista dall'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, con riguardo all'interruzione della gravidanza da parte di una minore degli anni diciotto, solleva d'ufficio, in riferimento agli artt. 30 e 3 Cost. la questione di legittimità costituzionale di detta norma.

L'art. 12 è censurato in quanto dispone che i genitori non siano informati della gravidanza della figlia minore, dove la loro consultazione sia sconsigliata da seri motivi: in via subordinata, in quanto consentirebbe all'interprete di considerare come serio motivo, agli effetti testè previsti, la "dichiarata ferma" opposizione dei genitori, per ragioni di ordine morale o religioso, alle pratiche abortive.

Nella specie il medico di fiducia ritiene che la gestante possa essere autorizzata a decidere l'interruzione della gravidanza, per via dello stato di salute in cui essa versa, e della sua situazione familiare.

I genitori non sono stati informati della vicenda, né il medico si è curato, come la legge gli avrebbe permesso, di indagare sui motivi della loro mancata consultazione. La sola spiegazione addotta dalla minore di fronte al Giudice tutelare è che la madre, donna di chiesa, ed il padre, presidente delle famiglie adottive, avrebbero sempre condannato l'aborto.

La questione, prospettata con esclusivo riferimento ai motivi che nel presente caso giustificherebbero la mancata consultazione dei genitori, non tocca le altre ipotesi considerate nel citato art. 12. La disposizione in esame prevede infatti l'intervento del Giudice tutelare quando ricorrano motivi che non solo sconsigliano, ma impediscono addirittura la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, ovvero quando queste, interpellate, rifiutano l'assenso o esprimono pareri difformi. L'uno e l'altro di questi ultimi disposti, ritiene il giudice a quo, non contraddicono la Costituzione, e concordano del resto con il sistema del codice civile, che chiama il giudice a controllare, sotto vario riguardo, l'esercizio della potestà genitoriale, fino a pronunziare la decadenza prevista nell'art. 330. La previsione che il Giudice tutelare possa decidere ai sensi della norma censurata, senza che ne siano nemmeno informati i genitori della gestante, vulnererebbe invece i seguenti precetti della Carta fondamentale:

a) L'art. 30, che conferisce ai genitori il diritto ed il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. L'ingerenza della pubblica autorità nella sfera riservata a tale diritto - dovere sarebbe consentita, ai sensi del secondo comma dell'art. 30, solo in via sussidiaria, quando i genitori risultino incapaci di assolvere ai propri compiti.

La statuizione che si assume violata risulterebbe poi intimamente connessa con l'altra (art. 29), in forza della quale la famiglia è riconosciuta come società naturale e salvaguardata da qualsiasi interferenza esterna, specialmente da quella statale: il vincolo scaturente dalla filiazione esigerebbe dunque che, di fronte alla difficile e spesso traumatica scelta della minore, non si precluda al genitore di recarle un aiuto, che secondo natura ed esperienza può presumersi più qualificato e producente di qualsiasi altro;

b) L'art. 3 Cost.: prescindere dal consultare i genitori in ragione di una loro ritenuta ostilità di principio all'aborto, significherebbe discriminarli sulla base dei convincimenti di ordine religioso o morale che incidono sull'esercizio della patria potestà. Discriminazione ingiustificata, si assume, oltretutto perchè, difettando ogni previsione di un sindacato del giudice a questo riguardo, i motivi che ostano alla consultazione dei genitori finirebbero con il risultare dalle sole ed interessate affermazioni della gestante.

Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per sentir dichiarare l'infondatezza della questione. Il giudice a quo non avrebbe correttamente interpretato la norma in esame: la quale, si dice, lo abilita a sentire la donna e poi ad autorizzarla a decidere l'interruzione della gravidanza, in considerazione della volontà e delle ragioni che essa fa valere, nonché della relazione trasmessagli dalla struttura socio - sanitaria, dal consultorio, o dal medico di fiducia. La valutazione rimessa al Giudice tutelare prima che egli adotti il provvedimento previsto dalla legge riguarderebbe necessariamente anche la serietà dei motivi ai quali è subordinata la mancata consultazione dei genitori. Solo che questi motivi siano intesi con il rigore e la strettezza richiesti dalla gravità del problema, si dice, resta esclusa l'asserita lesione della sfera garantita alla patria potestà. In conseguenza non sussisterebbe nemmeno la diseguaglianza che il giudice a quo ravvisa nell'ipotesi - sicuramente estranea all'intento e al dettato della norma denunziata - che si ometta, o invece si curi, di interpellare i genitori secondo le opinioni religiose loro attribuite in tema di aborto.

2. - Il Giudice tutelare di Cuneo, vista la relazione del consultorio familiare di quella città, con la quale si esprime parere favorevole all'interruzione della gravidanza di una minore degli anni diciotto, denunzia l'art. 12 ed, in quanto presupposto da tale norma, anche l'art. 4 della legge 194 del 1978. Quest'ultimo articolo prevede le situazioni che la gestante deve accusare al fine di avviare la procedura regolata nell'art. 5 ed in successive disposizioni della stessa legge. Si deduce che, così posta, la questione sia rilevante, "dipendendo dalla legittimità della citata normativa anche l'utilità di sentire la donna, di cui si contesta, maggiorenne o minorenne che sia, la facoltà di decidere della sorte di suo figlio"; se ne prospetta la non manifesta infondatezza, deducendo la lesione del fondamentale diritto alla vita del nascituro, sancito nell'art. 2 Cost., nonché della tutela assicurata alla maternità dall'art. 31 Cost.; si fa infine riferimento alle indicazioni della sentenza n. 27 del 1975 di questa Corte, secondo le quali l'aborto sarebbe penalmente lecito solo in presenza di un danno o di pericolo per la salute della gestante, che sia grave, non altrimenti evitabile, e accertato dal medico, laddove tali condizioni sarebbero disattese dalle norme censurate.

Il Presidente del Consiglio, costituitosi in giudizio per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, deduce l'infondatezza della questione.

Il giudice a quo sviserebbe il senso dell'art. 4 con il ritenere che l'aborto sia sempre lecito purchè compiuto entro i primi tre mesi della gravidanza. A1 contrario, afferma l'Avvocatura, l'interruzione della gravidanza è lecita solamente se ed in quanto ricorrano le ipotesi giustificative previste dalla citata disposizione; e questo indipendentemente dall'età della gestante. L'avere o no compiuto il diciottesimo anno di età, inciderebbe, allora, semplicemente sulla capacità di agire, con il solo risultato che l'accertamento delle condizioni necessitate è riservato alla sola donna se maggiorenne, ed affidato al giudice, oltre che alla donna, se invece questa è minorenne. Il che, tuttavia, non toglierebbe che il contenuto sostanziale del diritto riconosciuto alla gestante sia lo stesso nell'uno e nell'altro caso, nè implicherebbe, quindi, la lamentata offesa del principio costituzionale di eguaglianza.

3. - Il Giudice tutelare di Torino solleva, con ordinanza in data 24 maggio 1979, questione di legittimità dell'art. 12 per presunto contrasto con l'art. 3 Cost. Nella specie, la minore ha espresso, in sede di interrogatorio, l'immotivata intenzione di procedere alla interruzione della gravidanza, senza, tuttavia informare di ciò i genitori, perchè l'uno anziano e di mentalità retriva, l'altro seriamente infermo.

Il caso è sottoposto alla Corte sulla premessa che altri giudici hanno denunziato, in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., il regime della interruzione della gravidanza, com'è previsto dall'art. 4 della legge n. 194 del 1978 e dalle connesse disposizioni. Il giudice a quo avverte quindi che le censure qui mosse all'art. 12 vanno prese in considerazione, solo in quanto la Corte non ritenga la fondatezza delle altre questioni testè accennate e lasci in vigore l'attuale testo della normativa. In tale ipotesi, si delinea a suo avviso un'ingiustificata disparità di trattamento, dal momento che l'aborto delle maggiorenni viene sottratto ai limiti e ai controlli prescritti dalla legge in esame quando la gestante è minore degli anni diciotto. Precisamente, la lesione del principio di eguaglianza è asserita sotto un duplice profilo:

a) la disciplina in esame non troverebbe nel nostro caso alcun idoneo supporto nel generale criterio discretivo della capacità di agire, che ha riguardo all'età del soggetto. Come la decisione di condurre a compimento la gestazione è lasciata alla volontà della donna, così dovrebbe esserlo la decisione opposta. L'interrompere la gravidanza, allo stesso modo che l'ultimarla, rappresenterebbe la personalissima scelta di uno status, diversa dalle altre, nelle quali interviene il genitore o il tutore, e che concernono l'allevamento, l'educazione o l'istruzione della minore: scelta, si soggiunge, necessariamente riservata alla autonoma determinazione dell'interessata, la quale, ancorché minorenne, dovrà pur sempre apprezzarne e sopportarne le conseguenze. La soluzione sancita dall'art. 12 è dunque denunziata come arbitraria e del resto discorde dalla norma che esclude la consultazione dello stesso padre del nascituro nel corso della procedura abortiva. A sostegno delle deduzioni sopra esposte, si osserva poi che il Giudice tutelare è chiamato a sindacare nel merito le ragioni addotte dalla donna, e così a valutarle, ex art. 4, tenendo conto della esigenza di salvaguardare la vita del nascituro sin dal concepimento, in conformità del principio proclamato nell'art. 1 della legge. In questo giudizio soccorrerebbero, d'altra parte i criteri enunciati dalla Corte nella sentenza 27/75 con riferimento alla liceità penale dell'aborto terapeutico. Di qui un'ulteriore conferma dell'irrazionale divergenza fra le discipline adottate per la maggiorenne, libera di decidere l'interruzione della gravidanza, e per la minore, le cui istanze dovrebbero invece cedere di fronte al fondamentale diritto alla vita del concepito, a meno che esse non siano a loro volta sostenute dalla forza cogente di una situazione necessitata. Tale sarebbe solo un grave ed accertato pericolo per la salute della donna;

b) altra diseguaglianza censurata nell'ordinanza del rinvio opererebbe, - questa volta, entro la stessa cerchia delle minorenni - secondo le convinzioni del genitore o del tutore. Alle gestanti che, trovandosi in identiche circostanze contemplassero di interrompere la gravidanza, verrebbe impedito ovvero consentito conseguire tale risultato in funzione di un dato estraneo alla loro determinazione, quale l'attitudine morale o religiosa, nei confronti dell'aborto, di chi deve integrare la volontà dell'interessata.

Svolti i suddetti rilievi, il giudice a quo deduce la propria legittimazione a sollevare la presente questione. Il giudizio di cui egli è investito soddisfarebbe, alla stregua delle pronunzie rese in merito dalla Corte, il duplice requisito dell'esplicarsi sia di una funzione giudicante per l'oggettiva applicazione della legge, sia di un procedimento posto in essere alla presenza e sotto la direzione del titolare di un ufficio giurisdizionale. Si aggiunge a ciò che il giudice si pronunzia con atto non soggetto a reclamo e di natura decisoria. La peculiarità della specie e la connessa urgenza del provvedimento da adottare esigerebbero, peraltro, che la prospettata questione sia decisa con procedura più spedita di quella prevista riguardo al giudizio di costituzionalità. Data la riservatezza garantita alla minore nel procedimento regolato dall'art. 12, si segnala infine all'attenzione della Corte il problema se, nel caso presente od in altri analoghi, l'ordinanza di rinvio debba essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale con o senza il nome della gestante.

Il Presidente del Consiglio, costituitosi in giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, deduce l'infondatezza della questione. La differenza nella disciplina dettata per l'interruzione della gravidanza, rispettivamente delle maggiorenni e delle minorenni, sarebbe disposta unicamente in funzione della capacità di agire, che si acquista con il compimento del diciottesimo anno. Si assume infatti che il contenuto sostanziale del diritto riconosciuto alla gestante, permanga identico, a prescindere dalla età della donna che ne è titolare, variando soltanto i criteri afferenti all'accertamento delle situazioni giustificative dell'interruzione della gravidanza. Così configurata, la disciplina dettata dall'art. 4 uscirebbe indenne dalle censure formulate nell'ordinanza di rinvio. Sarebbe peraltro un razionale criterio quello di riservare alla sola maggiorenne la definitiva e responsabile valutazione dei fattori che possono riflettersi sul suo stato di salute, mentre, se la gestante è minorenne, lo stesso accertamento è da essa compiuto insieme con il giudice, quale perito dei periti.

4. - Il procedimento discusso all'udienza del 5 dicembre 1979 veniva rinviato a nuovo ruolo con ordinanza n. 145 del 1980 e ridiscusso all'udienza dell'8 gennaio 1981.

Considerato in diritto

1. - I giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe sollevano, sia pure sotto diversi profili, la stessa questione di legittimità costituzionale e possono quindi essere riuniti e congiuntamente decisi.

2. - Oggetto della presente questione è l'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194 ("Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza"). Tale disposizione contempla il caso in cui la gestante, che promuove la procedura prescritta dalla legge per l'interruzione della gravidanza, sia di età inferiore ai diciotto anni. Essa così testualmente statuisce: "É richiesto l'assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio - sanitaria, o il medico di fiducia, espleta i compiti e le procedure di cui all'art. 5 e rimette entro sette giorni dalla richiesta una relazione, corredata del proprio parere, al Giudice tutelare del luogo in cui esso opera". É poi previsto che detto giudice, entro cinque giorni, sentita la gestante e tenuto conto della sua volontà, e delle ragioni che adduce, nonché della relazione trasmessagli, possa, con atto non soggetto a reclamo, autorizzare la donna a decidere l'interruzione della gravidanza.

La disciplina testè descritta è impugnata per le seguenti considerazioni:

a) dal Pretore di Verona si deduce la violazione dell'art. 30 Cost., prima di tutto in quanto il Giudice tutelare potrebbe autorizzare la minore a decidere l'interruzione della gravidanza senza che di ciò siano informati i genitori, dove seri motivi sconsiglino la consultazione di questi ultimi: in via subordinata, sotto il riflesso che il dettato della citata norma consentirebbe all'interprete di considerare come un serio motivo, ai fini considerati dalla legge, la "dichiarata" avversione dei genitori, per considerazioni di ordine morale o religioso, alle pratiche abortive. Si afferma quindi che, precluso per questa via al genitore di manifestare il suo avviso, risulti vulnerata la sfera che gli è costituzionalmente garantita. L'invocato precetto costituzionale, si soggiunge, sancisce non soltanto il dovere, ma anche il diritto del genitore di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, e così di offrire alla minore - di fronte alla grave e spesso traumatica scelta richiesta dal nostro caso - un aiuto che secondo esperienza può presumersi come il più qualificato ed efficace. D'altra parte, l'art. 30 Cost. prevederebbe, al secondo comma, e sempre riguardo alla sfera del diritto-dovere che si assume leso, l'intervento solo sussidiario della pubblica autorità: ma gli estremi di un tale intervento, ad avviso del giudice a quo, non ricorrono nella specie, bensì soltanto là, dove i genitori risultino incapaci di assolvere i compiti loro affidati. Il diritto del genitore troverebbe poi un'implicita garanzia nell'altra disposizione costituzionale (l'art. 29), che riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e la tutela nei confronti di qualsiasi interferenza esterna, specialmente di quella statale;

b) in conseguenza dei rilievi sopra esposti si assume violato anche il principio costituzionale di eguaglianza. I genitori sarebbero discriminati in ragione della loro ritenuta attitudine di ostilità verso l'aborto, e perciò dei convincimenti religiosi o morali che possono guidarli nell'esercizio della potestà sui figli. Discriminazione, si osserva, tanto più ingiustificata, in quanto i motivi che ostano alla consultazione dei genitori, sottratti al sindacato del giudice, risultino dalle sole ed interessate affermazioni della gestante;

c) denuncia la violazione dell'art. 3 Cost., ma da diversa visuale, anche il Giudice tutelare di Torino. Si legge, infatti, nel relativo provvedimento di remissione, che la presente questione è proposta alla Corte dopo che altri giudici hanno impugnato, in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost., il regime dell'interruzione volontaria della gravidanza, com'é previsto dall'art. 4 della legge e dalle connesse disposizioni. Le censure mosse in questa sede all'art. 12 - avverte quindi il giudice a quo - vengono in considerazione solo nell'ipotesi in cui la Corte non ritenga la fondatezza degli incidenti di illegittimità, che riguardano, nei termini sopra indicati, gli altri aspetti della normativa in disamina. In tal caso, si delinea - sotto più di un riguardo, egli asserisce - un'illegittima disparità di discipline:

c 1) in primo luogo il congegno dell'art. 12 discriminerebbe tra le gestanti maggiorenni e le minorenni, ponendo soltanto queste ultime "nella condizione di dover accettare una maternità non desiderata, per il concorrere della volontà contraria vuoi dei genitori vuoi del tutore". Simile risultato, vien dedotto, non si giustifica in considerazione del limite gravante in via generale sulla capacità di agire del minore. Si tratterebbe, invece, della scelta di uno status, personalissima e necessariamente riservata alla gestante, diversamente dai casi correnti nel vario ambito in cui venga in rilievo un interesse oggettivamente individuabile del minore, e al genitore o al tutore tocchi solo di apprezzare il modo più opportuno per raggiungerlo.

La ingiustificatezza della soluzione sancita nell'art. 12 sarebbe poi comprovata da altre osservazioni. Nel sistema della legge, si dice, la procedura abortiva è incentrata sul principio di autodeterminazione della gestante: lo stesso padre non è in alcun modo legittimato ad impedire la soppressione del concepito; mentre, nel caso della minore, si faculterebbe ad impedire l'interruzione della gravidanza chi ha con il nascituro un rapporto più lontano, o nessun rapporto di parentela. Si aggiunge che il Giudice tutelare è chiamato a sindacare nel merito le ragioni addotte dalla minore e non può in siffatta indagine non valutare le ipotesi giustificative dell'aborto, configurate nell'art. 4, in conformità del principio proclamato nell'art. 1 della stessa legge ("Lo Stato tutela la vita umana fin dall'inizio"), nonché delle prescrizioni enunciate da questa Corte, con la sentenza n. 27 del 1975, in ordine alla liceità penale del solo aborto terapeutico. Di qui fa discendere che, se da un canto non vi è controllo o sostanziale impedimento della determinazione di abortire, manifestata dalla gestante maggiorenne, dall'altro l'identica istanza della minore cede, di fronte il diritto alla vita del concepito, quante volte il Giudice tutelare non accerti una sottostante situazione necessitata di grave pericolo per la salute della donna;

c 2) diseguale, poi, sarebbe il trattamento delle stesse minori, le quali vogliano, a parità di condizioni, interrompere la gravidanza, ma possono, o no, riuscire in questo intento, secondo le convinzioni e considerazioni che conducono genitori o tutori a consentire l'aborto, o viceversa ad impedirlo.

3. - Dal Giudice tutelare di Cuneo si denunzia anche l'art. 4 della legge, in quanto l'art. 12 presupporrebbe le condizioni ivi stabilite, per asserito contrasto con gli artt. 2 e 31 Cost. Il disposto dell'art. 4 sancirebbe il diritto garantito al concepito anche attraverso la tutela della maternità, con l'ulteriore conseguenza di disattendere le indicazioni, sopra accennate, della sentenza n. 27 del 1975.

4. - La questione sollevata dal Giudice tutelare di Cuneo, si distingue dalle altre, per investire, come si è detto, l'art. 4. Giova pertanto al corretto esame della specie considerarla per prima. La citata disposizione sarebbe presupposta dall'art. 12; essa è tuttavia di carattere generale e prevede le circostanze che vanno in ogni caso accusate dalla gestante nel promuovere la procedura abortiva. La rilevanza della questione, così formulata, è di "tutta evidenza", afferma il giudice a quo: dipendendo a suo avviso dal censurato art. 4 "anche l'utilità di sentire la donna, di cui appunto si contesta, maggiorenne o minorenne che sia, la facoltà di decidere sulla sorte di suo figlio". In punto di fatto, detto Giudice non ha ancora sentito la minore, ma soltanto visto la relazione trasmessagli dal consultorio familiare di Cuneo.

Il permanere, o no, in vigore della norma censurata rivestirebbe dunque un significato strumentale rispetto alla decisione rimessa al Giudice tutelare, anzi, rispetto allo stesso instaurarsi del procedimento, che si svolge davanti a detto organo: perciò si ritiene che in seguito ad un'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale, venga meno l'"utilità" di udire la minore, (per poi espletare il procedimento, e adottare il provvedimento previsti dalla legge). L'assunto, però, non è fondato. Posto che l'art. 4 fosse dichiarato illegittimo, e dalla pronunzia resa in tal senso dalla Corte scaturissero altre previsioni giustificative dell'interruzione della gravidanza, non per questo verrebbe nella specie a cadere la norma che prescrive l'audizione della gestante. Riguardo alla quale, proprio in ragione della minore età, resterebbe, invero, anche allora fermo il requisito che la decisione di interrompere la gravidanza - non importando quali circostanze la legge consenta alla donna di accusare a questo riguardo - sia autorizzata, come attualmente si prevede, dal Giudice tutelare. Difettando la prospettata rilevanza, la questione deve essere dichiarata inammissibile.

5. - Quanto alle censure mosse negli altri provvedimenti di remissione all'art. 12, esse vanno disattese, sotto tutti i profili dedotti.

Non sussiste, anzitutto, la lamentata lesione dell'art. 30 Cost. Il giudice a quo, va subito precisato, non nutre alcun dubbio sulla costituzionalità del previsto intervento del Giudice tutelare, che del resto egli assume conforme al sistema del codice civile. Il vizio della norma impugnata starebbe, quindi, soltanto in ciò: che, quando una minorenne richieda di interrompere la gravidanza senza averne informato i genitori, questi non sono obbligatoriamente sentiti nel corso del procedimento; ovvero, in subordine, che basta ad impedire la consultazione dei genitori l'avversione di principio alle pratiche abortive, loro imputata per via di note o presumibili opinioni morali o religiose. Non si riflette, tuttavia, che se la consultazione del genitore non è prescritta, essa non è nemmeno esclusa, ma lasciata alla valutazione del consultorio, della struttura socio - sanitaria o del medico di fiducia: e in definitiva, ciò che più importa, al prudente apprezzamento del giudice. Soluzione, questa, che, quand'anche sancita in deroga alla comune previsione di una qualche presenza o consultazione del genitore nel sistema dei procedimenti avanti l'organo anzidetto, o analoghi altri, sarebbe pur sempre legittima: perchè giustificata dall'intento, nettamente perseguito dal legislatore, di prevenire, prima ancora che reprimere penalmente, l'aborto clandestino. Nel caso in esame non soltanto è a questo fine garantita, come per tutte le gestanti, la riservatezza della procedura; si prevede altresì che il genitore della minore possa non essere sentito: ma ciò quando, valutate le circostanze della specie e la serietà dei motivi richiesti al riguardo dalla legge, sia ragionevole presumere che il doverlo consultare aggravi il rischio, appunto, del ricorso all'aborto clandestino. Siffatta cautela serve, peraltro, a fugare le remore che la minore possa, dal canto suo, intrattenere circa il rispetto delle prescritte procedure.

Il disposto della statuizione censurata non è, dunque, quello che si prospetta nell'ordinanza di rinvio. L'esercizio del diritto - dovere sancito nell'art. 30 non è precluso, ma è consentito, dove il Giudice tutelare abbia motivo di ritenere operante, nella specie, l'insostituibile rapporto affettivo che dovrebbe stabilmente legare i figli ai genitori, e di dedurne che questi, una volta consultati, soccorrerebbero la gestante nel frangente in cui essa versa. Sempre che ricorra l'ipotesi ora considerata, nulla toglie, poi, che l'ausilio paterno possa esplicarsi, secondo i convincimenti morali e religiosi di chi esercita la potestà, anche nel senso di sconsigliare l'aborto e di indurre la minore ad un responsabile accettazione della maternità. Esclusa la prospettata violazione dell'art. 30 Cost., deve aggiungersi che, in ordine alla consultazione dei genitori, non si è adottato alcun criterio lesivo del principio di eguaglianza.

6. - Parimenti, l'art. 3 Cost. non risulta vulnerato da alcuna ingiustificata discriminazione fra gestanti maggiorenni e minorenni, ovvero da altra disparità di trattamento in seno alla cerchia di queste ultime. Così, si è visto, ritiene invece il Giudice tutelare di Torino. La questione è sollevata, com'é sopra spiegato, in quanto la Corte non ritenga l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 e delle connesse disposizioni dell'attuale legge, oggetto di censura da parte di altri giudici. Ora, con sentenza n. 108/81 è stata dichiarata l'inammissibilità (per difetto di rilevanza) delle suddette altre questioni di legittimità costituzionale. Ciò posto, va considerato che nel presente giudizio non si denunzia l'art. 4, né altra norma intesa a disciplinare in generale l'interruzione della gravidanza. Ché anzi, si è già precisato, per poter sollevare l'incidente in esame il giudice a quo presuppone necessariamente la perdurante efficacia di dette disposizioni, in quanto la Corte non ne abbia pronunziato l'illegittimità costituzionale. La presunta illegittimità della vigente normativa risulterebbe, occorre avvertire, dall'aver il legislatore previsto che la richiesta dell'interruzione della gravidanza, se avanzata da una minore degli anni diciotto, sia subordinata all'assenso di chi esercita sulla gestante la potestà o la tutela, o vada altrimenti autorizzata dal Giudice tutelare. Così prospettata, la lesione del principio costituzionale di eguaglianza consisterebbe, allora, nella seguente diversità di discipline: la maggiorenne che promuove la procedura abortiva ex art. 4 ottiene, espletatesi le prescritte modalità, il certificato che la abilita al ricovero e all'interruzione della gravidanza presso una delle sedi autorizzate; mentre la minorenne non può conseguire lo stesso risultato, senza l'intervento di chi debba integrarne la volontà. Si osserva, infatti, che la denunziata disparità di trattamento "non viene meno, facendo riferimento alla generale situazione del minore, la cui capacità di agire non può che essere, per la differente situazione di sviluppo fisico e psichico, necessariamente vincolata dall'intervento di persone cui è dato di operare nel suo interesse". Questo perchè il nostro caso sarebbe diverso dagli altri, che riguardano l'educazione, l'istruzione e le altre sfere in cui, nell'interesse del minore, genitori o tutori normalmente intervengono.

Da un canto, quindi, si presuppone il diritto di ogni gestante ad ottenere - al termine della procedura da essa promossa, e permanendo la determinazione di abortire - il certificato che è titolo giustificativo dell'interruzione della gravidanza; dall'altro, si lamenta che all'esercizio di detto diritto da parte della minore sia posto un limite - quello, precisamente, che viene rimosso dall'assenso del genitore o del tutore, ovvero dal provvedimento del Giudice tutelare, secondo i casi - fuori dell'ambito in cui si suppone debba operare il generale criterio discretivo della capacità di agire, che ha riguardo all'età del soggetto. Ora, di questo criterio si riconosce la piena ed evidente razionalità. Si vorrebbe tuttavia contestarne l'applicazione al caso dell'interruzione della gravidanza; ma non si vede, così ragionando, che si tratta di una discrezionale valutazione del legislatore, la quale non può certo ritenersi ingiustificata, se solo si pone mente alla delicatezza e serietà della scelta che viene in considerazione nella specie, e alla sua incidenza sullo stato di salute, e sulle stesse condizioni di vita, anche future, della minore. Ai fini del presente giudizio, non importa, d'altra parte, alla stregua di quali parametri o principi il Giudice tutelare svolga l'indagine che qui gli è demandata. Questo è un punto sul quale il giudice a quo ha ritenuto di dover immorare. Esso non tocca, però, l'interpretazione della norma in esame sotto il profilo - qual è isolato nella censura afferente all'art. 12 - dell'ingiustificatezza, che si ravvisa nella stessa previsione dell'intervento del Giudice tutelare (come, del resto, dell'assenso del genitore o del tutore). La questione è propriamente, occorre ricordare, così posta: se il disporre che la volontà della minore sia integrata, nelle forme sopra viste, concreti - a prescindere dai criteri che a tal fine possono soccorrere il genitore, il tutore o, nell'ipotesi in parola, il giudice - l'asserita violazione del principio di eguaglianza. Le considerazioni già svolte escludono, tuttavia, che le minorenni siano, per il vincolo gravante sulla loro capacità di agire, illegittimamente discriminate rispetto alle altre gestanti. Il che assorbe gli ulteriori rilievi, con i quali si deduce un'illegittima disparità di trattamento delle stesse minori. Se queste ultime gestanti - anche a parità di condizioni, come si assume - sono impedite ovvero assecondate nell'intento di abortire, secondo il convincimento di chi ne integra la volontà, ciò consegue all'applicazione della norma censurata, ma non vulnera in alcun senso il precetto dell'art. 3 Cost. Si deve quindi concludere che la questione non è fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

a) l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, sollevata dal Giudice tutelare di Cuneo, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 2 e 31 Cost.;

b) non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge n. 194 del 1978, sollevata dal Pretore di Verona, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost.;

c) non fondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge n. 194 del 1978, sollevata dal Giudice tutelare di Torino, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 3 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1981.

Leonetto AMADEI – Giulio  GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 25 giugno 1981.