Sentenza n. 435 del 1995

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SENTENZA N. 435

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Consiglio Superiore della Magistratura notificato il 2 giugno 1995, depositato in Cancelleria l'8 giugno successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1074 del 27 dicembre 1994 con la quale, in accoglimento del ricorso del dott. Mario Cozzi, si è intimato al C.S.M. di conferire, nel termine di 60 giorni dalla notificazione della stessa pronuncia, l'Ufficio di Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Napoli allo stesso dott. Cozzi, nominando, in caso di inutile decorso nel termine, commissario ad acta il Vice Presidente del C.S.M.; ricorso iscritto al n. 17 del registro conflitti 1995.

Visto l'atto di costituzione del Consiglio di Stato;

udito nell'udienza pubblica dell'11 luglio 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri;

uditi l'avvocato Federico Sorrentino per il Consiglio Superiore della Magistratura e l'Avvocato dello Stato Enrico Arena per il Consiglio di Stato.

Ritenuto in fatto

 

1. -- Il Consiglio superiore della Magistratura ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Consiglio di Stato a seguito della decisione resa dalla quarta sezione, n. 1074 del 27 dicembre 1994, con la quale, accolto il ricorso del dott. Mario Cozzi, si è intimato al C.S.M. di provvedere entro sessanta giorni al conferimento al medesimo ricorrente dell'Ufficio di Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Napoli, ed ha nominato, in caso di inutile decorso del termine, il Vice Presidente del C.S.M. quale Commissario ad acta.

2. -- Il C.S.M. rivendica l'integrità delle proprie attribuzioni costituzionali, ex artt. 104 e 105 della Costituzione, a suo avviso lese dall'ordine del giudice amministrativo di nominare il dott. Cozzi all'Ufficio di Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Napoli, rimuovendo l'attuale titolare, e, inoltre, dal provvedimento con il quale il suo Vice Presidente è stato nominato Commissario ad acta; provvedimento che manifestamente inciderebbe sulla sua struttura organizzativa.

Il conflitto assumerebbe quindi, per un verso, il connotato tradizionale della vindicatio potestatis e, per altro verso, il carattere di conflitto da menomazione.

3. -- Sul merito, il ricorrente deduce in sostanza:

a) la violazione dell'art. 105 della Costituzione, in relazione agli artt. 11 e 17 della legge n. 195 del 1958, per la lesione delle sue competenze, direttamente derivanti dalla norma costituzionale, in tema di nomina dei magistrati agli uffici direttivi. Inoltre, con la decisione che ha dato luogo al conflitto, il Consiglio di Stato, adito in sede di ottemperanza, avrebbe emesso una pronuncia di merito nei confronti di un organo (il C.S.M.) non sottoponibile alla giurisdizione di merito in virtù delle sue attribuzioni costituzionali;

b) la violazione dell'art. 104 della Costituzione, perchè la garanzia costituzionale di indipendenza del C.S.M. escluderebbe che il suo Vice Presidente sia trasformato, con la nomina a Commissario in acta, in organo del giudice amministrativo.

In conclusione, il ricorrente chiede che la Corte dichiari:

-- che non spetta al Consiglio di Stato alcun potere di emettere ordini nei confronti del C.S.M., nè disporre la nomina di un Commissario ad acta;

-- che non spetta al Consiglio di Stato nominare Commissario ad acta il Vice Presidente del C.S.M.;

-- annulli per conseguenza la decisione impugnata.

4. -- Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio di Stato, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello stesso, insistendo per la dichiarazione d'inammissibilità o comunque d'infondatezza, del ricorso.

Ad avviso del resistente sarebbe stato necessario provvedere alla vocatio in ius del Presidente del collegio che ha emesso la decisione impugnata (IVa sezione) e non del Presidente del Consiglio di Stato, poichè le attribuzioni costituzionalmente garantite, nell'esercizio delle quali è stata emessa la decisione impugnata dal C.S.M. (artt. 103 e 113 della Costituzione), sono state esercitate dal Collegio giudicante, e non dall'organizzazione amministrativa, funzionale all'esercizio dell'attività giurisdizionale, cui è preposto il Presidente del Consiglio di Stato.

5. -- Anche sotto altro profilo, prosegue il resistente, il conflitto di attribuzione dovrebbe ritenersi inammissibile. La nomina dei magistrati agli uffici direttivi è di competenza del C.S.M., mentre al relativo procedimento partecipa il Ministro guardasigilli nella forma del concerto. Di un siffatto provvedimento si discuteva nel giudizio a seguito del quale è stata adottata la decisione di ottemperanza; e la mancata adozione del provvedimento richiesto costituisce la causa che ha dato luogo al giudizio di ottemperanza.

Da ciò conseguirebbe che il conflitto di attribuzione avrebbe dovuto essere posto in essere dal Consiglio Superiore della Magistratura e dal Ministro di grazia e giustizia, dall'esercizio dei cui poteri scaturiscono i provvedimenti di nomina dei magistrati.

Se è vero, rileva il resistente, che le attribuzioni costituzionalmente garantite, che nella fattispecie si assumono lese, appaiono riservate al C.S.M. (art. 105 della Costituzione), è anche vero che il C.S.M. ha chiesto, in sede di conflitto, l'annullamento di una pronuncia resa in un giudizio in cui era stato parte necessaria anche il Ministro di grazia e giustizia.

Sotto questo profilo, risulterebbe evidente l'impossibilità di pronunciare l'annullamento di un decisione del Consiglio di Stato ad istanza di uno solo dei soggetti che nel giudizio amministrativo era stato, invece, litisconsorte necessario. Detta obiettiva impossibilità di pervenire ad una pronuncia di annullamento escluderebbe, inoltre, l'interesse del C.S.M. alle altre domande spiegate con le conclusioni dell'atto introduttivo.

6. -- Nel merito, il ricorso è, ad avviso del Consiglio di Stato, privo di fondamento.

Dalla certa assoggettabilità degli atti del C.S.M., riguardanti i magistrati, al controllo di legittimità del giudice amministrativo deriverebbe, in via di stretta conseguenzialità, la sottoposizione del C.S.M. all'attività giurisdizionale concernente l'attuazione delle decisioni emesse dal giudice amministrativo. Tale conseguenza, prosegue il resistente, deriva direttamente dal sistema costituzionale che, prevedendo la effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini (art. 24 della Costituzione), implicitamente, ma chiaramente, postula la necessità che tale tutela venga realizzata anche in caso di inadempienza delle parti tenute a provvedere.

Negare l'esperibilità del giudizio di ottemperanza nei confronti del C.S.M. significherebbe, in buona sostanza, negare la tutela giurisdizionale con riferimento alle relative deliberazioni, o quanto meno, negare l'effettività di questa tutela.

7. -- Rileva il Consiglio di Stato che con il ricorso proposto dal C.S.M. viene messa in discussione quella forma di tutela delle posizioni soggettive dei cittadini che si realizza attraverso l'ottemperanza: attraverso quel procedimento, cioè, che suppone la mancata esecuzione da parte dell'Amministrazione delle decisioni del giudice amministrativo.

Occorre, quindi, rammentare che la considerazione del giudizio di ottemperanza nell'ambito della giurisdizione di merito del giudice amministrativo (art. 27, n. 4, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054) trova origine non nella specialità della materia, ma nella circostanza dell'obiettivo mancato adempimento, da parte del soggetto pubblico, all'obbligo di conformarsi al giudicato.

Sarebbe quindi una amministrazione "inerte" (o, comunque, non adempiente ad un obbligo nascente dal giudicato) quella che il giudizio di ottemperanza si trova dinanzi. Nessun vincolo nuovo nasce per l'amministrazione - e quindi anche per il C.S.M. con riferimento agli atti concernenti i magistrati - in sede di ottemperanza. Se un vincolo è sorto, esso è frutto della decisione di annullamento (e del conseguente contenuto direttivo) adottata in sede di giudizio di legittimità.

Se tutto questo è vero, prosegue il resistente, appare palese che la tutela assicurata con il giudizio di ottemperanza non può essere considerata, in thesi, invasiva dell'autonomia costituzionalmente garantita del C.S.M., giacchè il presupposto dell'ottemperanza è proprio che tale autonomia non sia stata esercitata. L'ottemperanza suppone, infatti, che la parte pubblica non abbia posto in essere gli atti relativi a quel potere il cui esercizio, dopo la sentenza del giudice amministrativo, secondo le indicazioni contenute in quest'ultima, appare ormai, doveroso.

È noto, d'altra parte, che le decisioni del giudice amministrativo, adottate in sede di giudizio di legittimità, oltre ad un contenuto eliminatorio, hanno anche un contenuto direttivo, volto a conformare l'attività dell'Amministrazione successiva alla pronuncia di annullamento e spesso necessaria per soddisfare la pretesa fatta valere in giudizio. Sarebbe proprio tale contenuto direttivo della decisione adottata in sede di giudizio di legittimità che costituisce, in realtà, l'oggetto nei confronti del quale si appunta il ricorso per conflitto di attribuzioni del C.S.M.; la qual cosa evidenzia, ancora un volta, come con esso sia, in realtà, posta in discussione, non l'ottemperanza, ma la giurisdizione di legittimità ed una sua conseguenza tipica, quale il contenuto direttivo della decisione del giudice amministrativo.

8. -- Anche in ordine alla seconda censura, secondo cui la nomina del Vice Presidente del C.S.M. quale Commissario ad acta avrebbe interferito nell'autonomia organizzativa del C.S.M., il resistente conclude per l'infondatezza.

A suo avviso, detta decisione lungi dal risolversi in un attentato all'autonomia, anche organizzativa, del C.S.M., appare ispirata, al contrario, proprio dalla esigenza di assicurare il rispetto di tale prerogativa. La scelta sarebbe infatti motivata proprio nella volontà di affidare allo stesso Consiglio Superiore - e per esso, al suo Vice Presidente che, in concreto, è il soggetto deputato a dirigerne i lavori l'adozione dei necessari atti di ottemperanza.

Considerato in diritto

 

1. -- Il Consiglio superiore della Magistratura ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Consiglio di Stato a seguito della decisione n. 1074 del 27 dicembre 1994, resa dalla quarta sezione giurisdizionale in sede di giudizio di ottemperanza, con la quale, accolto il ricorso del dott. Mario Cozzi, si è intimato al C.S.M. di provvedere entro sessanta giorni al conferimento al medesimo magistrato dell'Ufficio di Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Napoli, ed ha nominato, in caso di inutile decorso del termine, il Vice Presidente del C.S.M. quale Commissario ad acta.

2. -- Sulla base di due distinti motivi, ex artt. 105 e 104 della Costituzione, il ricorrente rivendica l'integrità delle proprie attribuzioni costituzionali, a suo avviso lese dall'ordine del giudice amministrativo di nominare il dott. Cozzi all'Ufficio di Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Napoli, rimuovendo l'attuale titolare, e, inoltre, dal provvedimento con il quale il Vice Presidente del C.S.M. è stato nominato Commissario ad acta; provvedimento che manifestamente inciderebbe sull'autonomia e sull'indipendenza dell'organo.

Con il primo, e principale, motivo, il C.S.M., posto che in sede di giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo esercita funzioni giurisdizionali di merito, ai sensi dell'art. 27, n. 4, del T.U. sul Consiglio di Stato, sostiene che le proprie deliberazioni, in virtù delle competenze costituzionalmente garantite dall'art. 105 della Costituzione, siano sottoponibili soltanto, ed esclusivamente, alla generale giurisdizione di legittimità, e quindi sottratte alla fase esecutiva imposta dal Consiglio di Stato; con il secondo, e subordinato, motivo, il ricorrente lamenta anche la violazione dell'art. 104 della Costituzione, in quanto la garanzia costituzionale di indipendenza del C.S.M. escluderebbe che il suo Vice Presidente sia trasformato, con la nomina a Commissario ad acta, in organo del giudice amministrativo.

3. -- Occorre innanzitutto esaminare in via definitiva l'ammissibilità del conflitto di attribuzione, sulla quale questa Corte si è già pronunciata, in linea di prima e sommaria delibazione, con l'ordinanza n. 215 del 31 maggio 1995.

Sotto il profilo oggettivo ricorrono certamente i requisiti previsti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo cui i conflitti tra poteri dello Stato devono avere ad oggetto "la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata fra i vari poteri da norme costituzionali"; il ricorrente lamenta infatti la lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente spettante al Consiglio superiore della magistratura sullo status dei magistrati (art. 105 della Costituzione) ad opera di un atto del potere giudiziario.

Anche per quanto riguarda il profilo soggettivo del ricorso, va innanzitutto confermata la legittimazione del Consiglio superiore della magistratura a sollevare conflitto di attribuzione, in quanto, come prima detto, organo direttamente investito delle funzioni previste dall'art. 105 della Costituzione; del pari, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, il Consiglio di Stato, in quanto organo della giurisdizione amministrativa, cui spettano le attribuzioni previste dall'art. 103 della Costituzione, deve essere ritenuto legittimato a resistere.

4. -- Vanno quindi esaminate, ancora in linea preliminare, le eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate dal Presidente del Consiglio di Stato, costituitosi nel giudizio. In primo luogo, ad avviso del resistente, il ricorso avrebbe dovuto essere notificato al Presidente del Collegio che ha emesso la decisione impugnata, e non al Presidente del Consiglio di Stato; in secondo luogo, poichè al procedimento di nomina dei magistrati agli uffici direttivi partecipa, nella forma del concerto, anche il Ministro di grazia e giustizia, il conflitto avrebbe dovuto essere sollevato da entrambi i soggetti dall'esercizio dei cui poteri scaturiscono i provvedimenti di nomina dei magistrati, e non dal solo C.S.M.

Entrambe le eccezioni devono essere disattese.

È ben vero che questa Corte ha in più occasioni affermato il principio secondo cui, essendo il potere giurisdizionale un potere diffuso, la legittimazione a sollevare conflitto o a resistervi spetta a ciascun organo giurisdizionale, nondimeno, poichè nel caso in esame il conflitto è sollevato in relazione ad atti compiuti dal giudice amministrativo in sede di ottemperanza, il contraddittorio può ritenersi correttamente instaurato ove il medesimo giudice sia investito nelle stesse forme che l'art. 90 del regolamento di procedura innanzi al Consiglio di Stato -- come pacificamente interpretato alla stregua delle leggi sopravvenute nella materia -- prevede per tale giudizio, e che appunto indica il Presidente del Consiglio di Stato quale destinatario dei ricorsi diretti ad ottenere l'esecuzione del giudicato amministrativo.

Del pari infondata risulta la seconda censura in quanto -- a prescindere da ogni altra considerazione sull'autonomia decisionale del Ministro di grazia e giustizia nel sollevare conflitti tra poteri dello Stato -- ai sensi dell'articolo 11, terzo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), come modificato dall'art. 32 del d.P.R. 22 ottobre 1988, n. 449, il Ministro guardasigilli non partecipa al procedimento per il conferimento dell'Ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso le preture circondariali. 5. -- Nel merito, con il primo motivo di ricorso il C.S.M. ripropone all'esame di questa Corte sostanzialmente la medesima tesi già sostenuta in altro analogo conflitto sollevato nei confronti del T.A.R. del Lazio e deciso con sentenza n. 419 del 1995.

Anche nel ricorso in esame, infatti, il ricorrente non lamenta che il Consiglio di Stato, in sede di giudizio di ottemperanza, abbia travalicato il limite posto dal dovere di dare attuazione al giudicato, invadendo così, nel caso concreto, le sue competenze discrezionali, bensì contesta in radice l'esistenza stessa del potere, in capo al giudice amministrativo, di dare esecuzione coattiva alle decisioni giurisdizionali nei suoi confronti, anche in caso di rifiuto o di attività elusiva della decisione stessa: poichè detta fase esecutiva comporta l'esercizio di una giurisdizione di merito, questa non sarebbe mai attuabile, risultando il sindacato di merito precluso dall'art. 105 della Costituzione. 6. -- La censura non è fondata.

Anche nel conflitto in esame devono essere integralmente riaffermate le motivazioni già espresse nella citata sentenza n. 419 del 1995.

Occorre subito premettere che l'allegata non sottoponibilità degli atti del C.S.M. alla giurisdizione estesa al merito che il giudice amministrativo esercita in sede di ottemperanza non ha, di per sè, alcun esplicito fondamento costituzionale; nè la titolarità delle specifiche competenze attribuite dall'art. 105 della Costituzione può comportare, quale conseguenza automatica, franchigie dell'attività di detto organo dal sindacato giurisdizionale, in quanto funzioni svolgentesi su piani diversi.

La posizione e le funzioni del Consiglio superiore della magistratura, sotto il profilo dei rapporti generali tra giurisdizione ed amministrazione, vanno invece esaminate alla luce dei seguenti, fondamentali, principi espressi nella Carta costituzionale.

È evidente, in primo luogo, che tutti i soggetti di diritto, ivi compresi gli organi di rilevanza costituzionale, sono egualmente tenuti al rispetto della legge.

Coerentemente, per quanto qui rileva, il principio di legalità dell'azione amministrativa (artt. 97, 98 e 28 Cost.), unitamente al principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24, 101, 103 e 113 Cost.), se da una lato affermano l'indipendenza dell'amministrazione, dall'altro comportano esplicitamente l'assoggettamento dell'amministrazione medesima a tutti i vincoli posti dagli organi legittimati a creare diritto, fra i quali, evidentemente, gli organi giurisdizionali.

In breve, la Costituzione accoglie il principio in base al quale il potere dell'amministrazione merita tutela solo sul presupposto della legittimità del suo esercizio, demandando agli organi di giustizia il potere di sindacato -- pieno, ai sensi del secondo comma dell'art. 113 della Costituzione -- sull'esistenza di tale presupposto.

A ciò si aggiunga che il contenuto tipico della pronuncia giurisdizionale è proprio quello di esprimere la volontà concreta della legge o, più esattamente, la "normativa per il caso concreto" (come si è felicemente precisato in dottrina) che deve essere attuata nella vicenda sottoposta a giudizio.

7. -- Tutto ciò comporta innegabilmente (e nemmeno il ricorrente ne dubita) che, una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale la quale riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato comportamento dell'amministrazione, incombe su quest'ultima l'obbligo di conformarsi ad essa; ed il contenuto di tale obbligo consiste appunto nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice.

Ma proprio in base al già ricordato principio di effettività della tutela deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonchè dell'imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nel giudicato e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell'esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un'inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto: e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorità, senza distinzioni di sorta, pur se adottato da un organo avente rilievo costituzionale qual è il C.S.M.

In questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria. 8. -- Se quindi l'esercizio di poteri autoritativi al fine della effettiva realizzazione della tutela garantita dalla Costituzione è una fase (pur se eventuale) intrinsecamente complementare e necessaria all'esercizio della giurisdizione, ne deriva, quale logico corollario, l'impossibilità di operare distinzioni di sorta tra funzioni giurisdizionali di natura diversa (ordinaria, amministrativa, di legittimità, di merito, esclusiva) per inferirne (come sostiene il ricorrente) che solo in alcune, e non in altre, detti poteri sarebbero legittimamente esercitabili.

La tesi non può essere condivisa: in linea di principio non sono configurabili giurisdizioni passibili di esecuzione ed altre in cui il dovere di attuare la decisione si arresti di fronte alle particolari competenze attribuite al soggetto il cui operato è sottoposto a giudizio. Al contrario, la garanzia della competenza cede a fronte della contrapposta garanzia di ogni cittadino alla tutela giurisdizionale, la quale rappresenta e dà contenuto concreto, in definitiva, alla garanzia della pari osservanza della legge: da parte di tutti ed in egual misura.

9. -- Con il secondo motivo il C.S.M. lamenta sotto un diverso profilo la lesione della garanzia d'indipendenza sancita dall'art. 104 della Costituzione, in quanto la nomina da parte del Consiglio di Stato del Vice Presidente del C.S.M. quale commissario ad acta avrebbe alterato il funzionamento dell'organo ed inciso sulla sua autonomia organizzativa.

La censura risulta formulata in modo sostanzialmente generico e, pertanto, non è fondata.

Il ricorrente, infatti, non chiarisce in che termini e con che effetti la nomina del Vice Presidente del C.S.M. quale commissario ad acta abbia concretamente inciso sull'indipendenza e sull'autonomia dell'organo, e, d'altronde, nessuna interferenza può configurarsi tra l'attività del commissario ad acta e le funzioni istituzionalmente spettanti al Vice Presidente del C.S.M.; come questa Corte ha avuto occasione di affermare fin dalla sentenza n. 75 del 1977, l'attività commissariale, pur essendo, praticamente, la medesima che avrebbe dovuto essere prestata dall'amministrazione, ne differisce tuttavia giuridicamente perchè si fonda sull'ordine contenuto nella decisione del giudice amministrativo, alla quale è legata da uno stretto nesso di strumentalità. In breve, poichè i provvedimenti del commissario ad acta risultano disposti dal giudice e specificamente predeterminati nel contenuto, sono da ritenersi meramente esecutivi ed a questi direttamente riferibili, con esclusione quindi di ogni possibilità di interferenza nelle altre attività, quali che siano, della persona fisica chiamata a svolgere le funzioni commissariali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta al Consiglio di Stato, in sede di giudizio per l'ottemperanza al giudicato, il potere di emettere ordini nei confronti del Consiglio superiore della magistratura mediante gli atti in epigrafe indicati, e di disporne, in caso di inottemperanza, la sostituzione attraverso la nomina di un commissario ad acta nella persona del Vice Presidente del C.S.M.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 settembre 1995.