SENTENZA N. 419
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso del Consiglio Superiore della Magistratura notificato il 2 giugno 1995, depositato in Cancelleria l'8 giugno successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito:
a) dell'ordinanza del T.A.R. del Lazio, 1a, n. 2915 del 7 dicembre 1994, con la quale, su ricorso del dott. Benito Vergari, è stato ordinato "all'Amministrazione (id est al C.S.M.) di porre in essere, entro il termine di 30 giorni dalla data di comunicazione della presente ordinanza, tutti gli adempimenti necessari per dare compiuta esecuzione all'ordinanza 1644 del 22 giugno 1994, riservando, in caso di ulteriore inottemperanza, di provvedere alla nomina di un Commissario ad acta ai fini dell'esecuzione medesima";
b) dell'ordinanza del T.A.R. del Lazio, I^ sezione, n. 209 del 25 gennaio 1995, con la quale, sempre su ricorso del dott. Benito Vergari, è stato nominato Commissario ad acta il Ministro di Grazia e Giustizia "il quale, direttamente, o attraverso persona da lui specificamente delegata, che operi sotto la sua vigilanza, provvederà, in sede di attuazione delle ordinanze sopra richiamate (1644/94 e 6873/94) e senza la necessità dell'intervento di alcun altro organo, a sollevare il dott. Francesco Cortegiani dall'ufficio di presidenza del Tribunale di Catania e ad immettere nelle medesime funzioni, interinalmente e fino alla data della definizione del ricorso nel merito, il dott. Vergari, già rivestente le funzioni di Presidente reggente il medesimo Tribunale alla data di adozione del provvedimento sospeso";
c) del provvedimento 3 marzo 1995 -- prot. 1637g/CS/1537 - - con cui, in esecuzione dell'ordinanza di cui sub b), il Ministro ha delegato le funzioni di Commissario ad acta al Presidente Carlo Adriano Testi, Direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli Affari generali;
d) del provvedimento 3 marzo 1995 -- prot. 1637g/CS/1538 - - con cui il predetto Direttore generale ha sollevato, interinalmente e fino alla data di decisione del ricorso, il dott. Francesco Cortegiani dall'ufficio di Presidente del Tribunale di Catania ed ha contestualmente immesso il dott. Benito Vergari nelle funzioni di Presidente reggente del medesimo Tribunale; ricorso iscritto al n. 16 del registro conflitti 1995.
Visto l'atto di costituzione del T.A.R. del Lazio e l'atto di intervento del dott. Benito Vergari;
udito nell'udienza pubblica dell'11 luglio 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri:
uditi l'avvocato Federico Sorrentino per il Consiglio Superiore della Magistratura, l'Avvocato dello Stato Enrico Arena per il T.A.R. del Lazio, e l'avvocato Enzo Silvestri per Benito Vergari.
Ritenuto in fatto
1. -- Con ricorso notificato il 7 maggio 1994, il dott. Benito Vergari impugnava dinanzi al T.A.R. del Lazio, chiedendone in via incidentale la sospensione, il d.P.R. 18 aprile 1994 che, su conforme delibera 16 marzo 1994 del C.S.M., aveva conferito al dott. Francesco Cortegiani l'ufficio direttivo di Presidente del Tribunale di Catania.
Con ordinanza 22 giugno 1994, n. 1644, la I^ Sezione del T.A.R. del Lazio sospendeva l'esecuzione dell'atto impugnato. L'ordinanza, appellata sia dal controinteressato che dal C.S.M., veniva confermata dalla IV^ Sezione del Consiglio di Stato.
2. -- A seguito del ricorso, notificato il 9 novembre 1994, con il quale il dott. Vergari chiedeva l'esecuzione della predetta decisione cautelare, la I^ Sezione del T.A.R. del Lazio, con ordinanza 7 dicembre 1994, n. 2915 (sub a), "ordina(va) all'Amministrazione di porre in essere, entro il termine di 30 giorni (...), tutti gli adempimenti necessari per dare compiuta esecuzione all'ordinanza n. 1644 del 22/6/1994, riservando, in caso di ulteriore inottemperanza, di provvedere alla nomina di un Commissario ad acta ai fini dell'esecuzione medesima".
Con ordinanza 25 gennaio 1995, n. 209 (sub b) della I^ Sezione, il T.A.R., nuovamente adito dal dott. Vergari, nominava Commissario ad acta "Il Ministro di grazia e giustizia, il quale direttamente o attraverso persona da lui specificamente delegata, che operi sotto la sua vigilanza, provvederà, in sede di attuazione delle ordinanze sopra e senza la necessità dell'intervento di alcun altro organo, a sollevare il dott. Francesco Cortegiani dall'ufficio di Presidenza del Tribunale di Catania e ad immettere nelle medesime funzioni, interinalmente e fino alla data della definizione del ricorso nel merito, il dott. Vergari, già rivestente le funzioni di Presidente reggente il medesimo Tribunale alla data di adozione del provvedimento sospeso".
A seguito di quest'ordinanza, il cui termine di adempimento veniva, su richiesta del Ministro, prorogato di quindici giorni con ordinanza n. 362 del 15 febbraio 1995 della I^ Sezione del T.A.R. del Lazio, il Direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli affari generali a ciò delegato dal Ministro di grazia e giustizia (sub c), sollevava, con provvedimento 3 marzo 1995 (sub d), sia pure interinalmente e fino alla decisione del ricorso, il dott. Cortegiani dall'ufficio di Presidenza del Tribunale di Catania, immettendo il dott. Vergari "nelle funzioni, già rivestite, di Presidente reggente del medesimo Tribunale".
3. -- Avverso tali provvedimenti, del T.A.R. del Lazio e del Ministro di grazia e giustizia, il Consiglio superiore della Magistratura ha sollevato conflitto per la difesa delle proprie attribuzioni, deducendo la violazione dell'art. 105 della Costituzione, in relazione agli artt. 11 e 17 della legge n. 195 del 1958.
Premesso che la nomina dei magistrati agli uffici direttivi è di competenza del C.S.M. in base all'art. 105 della Costituzione, e che i decreti presidenziali di nomina attraverso i quali viene espressa la volontà del C.S.M. sono impugnabili dinanzi al giudice amministrativo in base all'art. 17 della legge n. 195 del 1958, il ricorrente contesta che, nell'ambito della giurisdizione di legittimità, affidata al giudice amministrativo, nei confronti dei suoi atti, possa inserirsi una fase subprocedimentale diretta all'esecuzione delle ordinanze di sospensione che, a sua volta, implichi l'esercizio di una giurisdizione di merito analoga a quella di cui all'art. 27 n. 4 del T.U. sul Consiglio di Stato.
Dopo aver richiamato la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto del giudizio di esecuzione delle ordinanze cautelari, il C.S.M. osserva che, se è vero che tale giudizio è, come quello dell'art. 27 n. 4 del T.U. sul Consiglio di Stato, un giudizio di merito, in quanto consente al giudice valutazioni ampiamente discrezionali sui modi e sui limiti dell'esecuzione delle proprie decisioni, nonchè di esercitare poteri sostitutivi dell'amministrazione, esso non potrà esercitarsi che con riferimento ad attività, non solo sostanzialmente (come quelle di competenza del C.S.M.), ma anche formalmente amministrative.
Ciò in quanto la riflessione dottrinale sull'esecuzione delle ordinanze cautelari avrebbe individuato, insieme con l'estensione al merito dei poteri del giudice, la ratio di tale estensione nella posizione di appartenenza istituzionale del giudice amministrativo all'amministrazione.
Ma, ove a quest'appartenenza non si possa far riferimento, per l'esistenza di una sfera di attribuzioni costituzionalmente protetta (art. 105) e per l'esistenza, tra le delibere del C.S.M. e il giudizio amministrativo, del filtro rappresentato dal decreto presidenziale o ministeriale di cui quelle delibere sono vestite, non sarebbe consentito al giudice amministrativo, nell'esercizio di poteri di merito che non gli competono, superare quel filtro, nè emanare ordini nei confronti dell'organo di autogoverno, nè disporne la sua sostituzione.
4. -- Nemmeno potrebbe dirsi, prosegue il C.S.M., che in tal modo viene eliminata la tutela giurisdizionale che lo stesso art. 17 della legge n. 195 assicura ai magistrati, e di cui l'esecuzione sarebbe lo sbocco necessario.
In primo luogo, ad avviso del ricorrente, una siffatta obiezione proverebbe troppo, in quanto tende a ridurre alla sola fase esecutiva la tutela giurisdizionale, mentre esistono molti altri settori in cui alla fase di cognizione non segue nè può seguire quella di esecuzione (basterebbe pensare, osserva il ricorrente, alle sentenze di mero accertamento o alle decisioni della Corte nei conflitti di attribuzione).
In secondo luogo non appare pensabile nè giustificabile che proprio il C.S.M. voglia sottrarsi all'esecuzione delle decisioni del giudice amministrativo, frustrando i diritti e gli interessi legittimi dei magistrati di cui esso è rappresentativo.
Infine, il C.S.M. sottolinea che, essendo la tutela giurisdizionale nei confronti degli atti del C.S.M. configurata come giudizio di annullamento, la realizzazione delle pretese dei magistrati interessati già avviene con l'eliminazione, eventualmente previa sospensione, dell'atto lesivo e la restituzione all'organo deliberante del potere discrezionale di eseguire la pronuncia del giudice amministrativo.
5. -- Le considerazioni sviluppate nel precedente motivo inducono il ricorrente a censurare anche la statuizione con la quale il giudice amministrativo ha nominato il Ministro di grazia e giustizia commissario ad acta, disponendo che il dott. Vergari debba essere immesso nelle funzioni di Presidente del Tribunale di Catania "senza necessità d'intervento di alcun altro organo".
Le garanzie sull'indipendenza del C.S.M., come impediscono che esso possa essere soggetto al potere discrezionale di un altro potere dello Stato, così, a maggior ragione, escluderebbero che la necessità del suo intervento possa, per ordine del giudice, essere esclusa con provvedimento dell'autorità amministrativa.
D'altra parte, poichè, nella specie, dalla sospensione della nomina del dott. Cortegiani a Presidente del Tribunale di Catania non discenderebbe automaticamente la nomina del dott. Vergari (altrimenti non sarebbe stata necessaria l'ulteriore fase di esecuzione), ma l'individuazione ad opera del C.S.M. del soggetto cui, sulla base dell'art. 104 dell'Ordinamento Giudiziario spetta la supplenza del titolare, l'ordinanza del T.A.R. avrebbe esercitato un potere ad esso non spettante, impingendo sull'esercizio di quelli attribuiti al C.S.M.
Per le stesse ragioni vengono censurati gli atti del Ministro e del Dirigente che, in ottemperanza agli illegittimi ordini del giudice amministrativo, hanno rimosso il titolare dell'ufficio di Presidente del Tribunale di Catania nominando al suo posto il dott. Vergari.
Con tali provvedimenti l'Amministrazione avrebbe invaso la competenza del C.S.M. in ordine alla nomina dei magistrati agli uffici direttivi, quale definita dall'art. 11 della legge n. 195 in relazione all'art. 105 della Costituzione.
In conclusione il C.S.M. ricorrente chiede che la Corte voglia dichiarare che:
-- non spetta al T.A.R. del Lazio alcun potere di emettere ordini nei confronti del C.S.M., nè di disporne la sostituzione attraverso la nomina di commissari ad acta;
-- non spetta al Ministro di grazia e giustizia, nè al suo delegato, di sostituirsi al C.S.M. nelle sue attribuzioni in ordine alla nomina dei magistrati agli uffici direttivi;
e per conseguenza annulli tutti gli atti in epigrafe indicati.
6. -- Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 214 del 31 maggio 1995, di questa Corte, ed il relativo ricorso è stato notificato in data 2 giugno 1995 al Presidente del T.A.R. del Lazio.
Costituendosi in giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, il resistente sottolinea, in primo luogo, che il provvedimento n. 2915 del 7 dicembre 1994 della I^ sezione del T.A.R. del Lazio con il quale si ordinava "di porre in essere tutti gli adempimenti necessari, riservandosi il Tribunale in caso di inottemperanza di provvedere alla nomina di un commissario ad acta ai fini dell'esecuzione medesima" faceva seguito al precedente n. 1644 del 22 giugno 1994, che aveva accolto la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato, all'esito del rigetto da parte del Consiglio di Stato del ricorso in appello del C.S.M. e della declaratoria di inammissibilità dell'identico gravame proposto dal controinteressato.
Il Consiglio Superiore nelle more, pur avendo avuto tutto il tempo per adeguare il suo comportamento all'ordine di giustizia, era rimasto inerte.
In relazione a tale inerzia e comunque non avendo il C.S.M. esposto ragioni per la inesecuzione, il T.A.R., confortato dalla giurisprudenza costante e consolidata, costituente diritto vivente, non avrebbe potuto quindi non emanare l'ordinanza ora contestata.
Il T.A.R., prosegue il resistente, solo con ordinanza del 25 gennaio 1995 n. 209 aveva disposto la nomina del Ministro di grazia e giustizia come commissario ad acta, sempre nell'inerzia del C.S.M., e, per evitare nei limiti del possibile un conflitto, ma senza venire meno ai suoi doveri, aveva anche acceduto ad una breve richiesta di proroga avanzata dal Ministro di grazia e giustizia.
7. -- Nel merito, il resistente osserva che la tesi del Consiglio Superiore della Magistratura si basa sostanzialmente su tre argomenti, tutti, a suo avviso, non fondati.
Il primo sembra postulare che gli atti del C.S.M., attesa la sua posizione costituzionale, sia pure attraverso l'impugnazione degli atti di ricezione da parte dell'Esecutivo, non sarebbero sottoposti in sostanza a tutela cautelare.
Il secondo mira a contestare la legittimità della esecuzione, cioè dell'attuazione della misura cautelare, in quanto non espressamente prevista dalla legge. Ma è facile replicare al riguardo, osserva il resistente, anche in relazione a sentenze della Corte costituzionale in ordine alla effettività della tutela cautelare, che a partire dalla decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 30 aprile 1982, n. 12, si è stabilito che nel caso l'Amministrazione rifiuti o eluda l'esecuzione dell'ordinanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, l'interessato ben può adire nuovamente il giudice che ha emanato l'ordinanza, per chiedere l'emanazione di provvedimenti idonei ad assicurare l'esecuzione della sospensione, nelle forme stabilite per l'ordinario giudizio cautelare "di cui la domanda stessa rappresenta niente più che una fase integrativa" come appunto è avvenuto nel caso. Il terzo argomento, quale sintesi dei primi due, andrebbe ben al di là della esecuzione o della attuazione della tutela cautelare incentrandosi direttamente sul giudizio di ottemperanza a seguito di sentenza passata in giudicato e non eseguita. Esso consiste nell'affermazione che nei confronti degli atti del C.S.M. e di quelli dell'Amministrazione conseguenti (decreto presidenziale o decreto ministeriale) non potrebbe trovare applicazione il disposto dell'art. 27 n. 4 del T.U. del Consiglio di Stato, poichè l'esercizio di tale potere impinge nel merito, laddove gli atti del C.S.M., attraverso l'impugnazione dei decreti di ricezione dell'Esecutivo, sono soggetti solo al sindacato di legittimità del giudice amministrativo.
Ma il rilievo, ad avviso del T.A.R. del Lazio è addirittura sconvolgente rispetto ai poteri del giudice amministrativo, quali si sarebbero venuti configurando nell'arco di quasi un secolo e che vengono confermati, occorrendo, dal disposto dell'articolo 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74, atteso che coessenziale al giudizio di legittimità del giudice amministrativo su qualsiasi atto soggetto a tale sindacato è la fase (eventuale ma culminante) della ottemperanza.
Ogni limitazione del giudizio suddetto effettuato nei confronti degli atti del C.S.M. si porrebbe in contrasto, rileva il T.A.R. del Lazio, con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
Una volta che venisse eliminata la fase esecutiva, le ordinanze cautelari (e le stesse sentenze del giudice amministrativo) verrebbero a perdere il connotato della effettività, riducendosi a nulla di più di una manifestazione di opinione.
Proprio per questo, ad avviso del resistente, stupisce l'affermazione contenuta nel ricorso del C.S.M., smentita proprio dalla vicenda in esame, secondo cui "non appare pensabile nè giustificabile che proprio il C.S.M. voglia sottrarsi all'esecuzione delle decisioni del giudice amministrativo, frustrando i diritti e gli interessi legittimi dei magistrati di cui esso è rappresentativo".
Infine, quanto all'ultimo motivo del ricorso, il resistente rileva che si è ritenuto di nominare commissario ad acta il Ministro di grazia e giustizia "senza necessità di intervento di alcun altro organo", proprio per le ragioni ordinamentali esposte nello stesso ricorso, essendo il Ministro di grazia e giustizia l'organo di vertice dell'amministrazione giudiziaria, cui solo poteva essere affidata la funzione di "alter ego" del giudice. Peraltro, l'ordinanza suddetta non escludeva affatto un previo fattivo intervento del C.S.M., sol che lo avesse voluto.
8. -- Con ordinanza pronunciata nella pubblica udienza dell'11 luglio 1995 questa Corte ha dichiarato inammissibile l'intervento in giudizio del dott. Benito Vergari.
Considerato in diritto
1. -- Su ricorso di uno tra i candidati al conferimento dell'Ufficio direttivo di Presidente del Tribunale di Catania, il T.A.R. del Lazio ha sospeso, con ordinanza del 22 giugno 1994, l'esecuzione della nomina del magistrato prescelto dal Consiglio superiore della magistratura.
Successivamente, ritenuta l'inottemperanza del detto organo, già sollecitato con ordinanza del 7 dicembre 1994 a dare compiuta esecuzione al provvedimento di sospensione, il giudice amministrativo ha nominato, con ordinanza n. 209 del 25 gennaio 1995, commissario ad acta il Ministro di grazia e giustizia disponendo che il Presidente del Tribuna le fosse sollevato dall'incarico, con la contestuale nomina di un supplente, individuato dal T.A.R. nella persona dello stesso magistrato che già esercitava tale funzione alla data di adozione del provvedimento sospeso.
Le disposizioni sono state eseguite con provvedimento commissariale del 3 marzo 1995.
2. -- Nei confronti del T.A.R. del Lazio, nonchè del Ministro di grazia e giustizia, e in relazione a tutti gli atti di esecuzione della indicata ordinanza di sospensione del 22 giugno 1994, il Consiglio superiore della magistratura ha sollevato conflitto di attribuzione lamentando, sulla base di due distinti motivi, l'invasione delle proprie competenze in materia di nomina dei magistrati agli uffici direttivi previste dall'art. 105 della Costituzione.
Con il primo, e principale, motivo, il ricorrente, posto che in sede di esecuzione delle ordinanze cautelari il giudice amministrativo esercita una giurisdizione di merito analoga a quella di cui all'art. 27, n. 4, del T.U. sul Consiglio di Stato, sostiene che le proprie deliberazioni siano sottoponibili soltanto, ed esclusivamente, alla generale giurisdizione di legittimità, e quindi sottratte alla fase esecutiva imposta dal T.A.R. del Lazio; con il secondo, e subordinato, motivo, il C.S.M. rivendica la competenza anche in ordine all'individuazione del soggetto cui, sulla base dell'art. 104 dell'Ordinamento giudiziario, spetta la supplenza del Presidente del Tribunale.
3. -- Occorre innanzitutto esaminare in via definitiva l'ammissibilità del conflitto di attribuzione, sulla quale questa Corte si è già pronunciata, in linea di prima e sommaria delibazione, con l’ordinanza n. 214 del 29 maggio 1995.
Sotto il profilo oggettivo ricorrono certamente i requisiti previsti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo cui i conflitti tra poteri dello Stato devono avere ad oggetto "la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata fra i vari poteri da norme costituzionali"; il ricorrente lamenta infatti la lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente spettante al Consiglio superiore della magistratura sullo status dei magistrati (art. 105 della Costituzione) ad opera di un atto del potere giudiziario.
Per quanto invece concerne il profilo soggettivo del ricorso, va evidentemente confermata la legittimazione del Consiglio superiore della magistratura a sollevare conflitto di attribuzione, in quanto, come già detto, organo direttamente investito delle funzioni previste dall'articolo 105 della Costituzione.
Del pari, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, il T.A.R. del Lazio, quale organo della giurisdizione amministrativa, cui spettano le attribuzioni previste dall'art. 103 della Costituzione, deve essere ritenuto legittimato a resistere, mentre deve riconfermarsi l'inammissibilità del conflitto sollevato nei confronti del Ministro di grazia e giustizia.
Nella vicenda in esame, infatti, non viene in questione l'esercizio delle competenze attribuite al Ministro guardasigilli dall'art. 110 della Costituzione, in ordine all'organizzazione ed al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, bensì l'adozione di alcuni provvedimenti nella qualità di commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo, e da questi specificamente predeterminati nel contenuto; in quanto tali, detti provvedimenti risultano meramente esecutivi e direttamente riferibili, per quanto qui rileva, al citato organo giurisdizionale; rimane esclusa, pertanto, ogni possibilità di imputare tale attività al Ministro di grazia e giustizia.
4. -- Nel merito, con il motivo principale del ricorso il C.S.M. sottopone all'esame di questa Corte una tesi radicale ed assoluta.
Il ricorrente non lamenta (se non genericamente con il secondo motivo) che il T.A.R. del Lazio, in sede di esecuzione, abbia travalicato il limite posto dal contenuto della pronuncia giurisdizionale, male esercitando i suoi poteri ed invadendo così, nel caso specifico, le competenze discrezionali dell'organo di autogoverno della magistratura, bensì contesta l'esistenza stessa del potere, in capo al giudice amministrativo, di dare esecuzione coattiva alle decisioni giurisdizionali nei suoi confronti, anche in caso di rifiuto o di attività elusiva della decisione stessa: poichè detta fase esecutiva comporta l'esercizio di una giurisdizione di merito, questa non sarebbe mai attuabile, risultando il sindacato di merito precluso dall'art. 105 della Costituzione.
5. -- La censura non è fondata.
Occorre subito premettere che l'allegata non sottoponibilità degli atti del C.S.M. alla giurisdizione estesa al merito che il giudice amministrativo esercita in sede di ottemperanza non ha, di per sè, alcun esplicito fondamento costituzionale, nè la titolarità delle specifiche competenze conferite dall'art. 105 della Costituzione può comportare, quale conseguenza automatica, franchigie dell'attività di detto organo dal sindacato giurisdizionale, in quanto funzioni svolgentesi su piani diversi.
La posizione e le attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura, sotto il profilo dei rapporti generali tra giurisdizione ed amministrazione, vanno invece esaminate alla luce dei seguenti, fondamentali, principi espressi nella Carta costituzionale.
È evidente, in primo luogo, che tutti i soggetti di diritto, ivi compresi gli organi di rilevanza costituzionale, sono egualmente tenuti al rispetto della legge.
Coerentemente, per quanto qui rileva, il principio di legalità dell'azione amministrativa (artt. 97, 98 e 28 Cost.), unitamente al principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24, 101, 103 e 113 Cost.), se da un lato affermano l'indipendenza dell'amministrazione dall'altro comportano esplicitamente l'assoggettamento dell'amministrazione medesima a tutti i vincoli posti dagli organi legittimati a creare diritto, fra i quali, evidentemente, gli organi giurisdizionali.
In breve, la Costituzione accoglie il principio in base al quale il potere dell'amministrazione merita tutela solo sul presupposto della legittimità del suo esercizio, demandando agli organi di giustizia il potere di sindacato -- pieno, ai sensi del secondo comma dell'art. 113 della Costituzione -- sull'esistenza di tale presupposto.
A ciò si aggiunga che il contenuto tipico della pronuncia giurisdizionale è proprio quello di esprimere la volontà concreta della legge o, più esattamente, la "normativa per il caso concreto" (come si è felicemente precisato in dottrina) che deve essere attuata nella vicenda sottoposta a giudizio.
6. -- Tutto ciò comporta innegabilmente (e nemmeno il ricorrente ne dubita) che, una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale la quale riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato comportamento dell'amministrazione, o che detti le misure cautelari ritenute opportune e strumentali all'effettività del la tutela giurisdizionale, incombe sull'amministrazione l'obbligo di conformarsi ad essa; ed il contenuto di tale obbligo consiste appunto nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice. Ma proprio in base al già ricordato principio di effettività della tutela giurisdizionale deve ritenersi connotato intrinseco della stessa funzione giurisdizionale, nonchè dell'imprescindibile esigenza di credibilità collegata al suo esercizio, il potere di imporre, anche coattivamente in caso di necessità, il rispetto della statuizione contenuta nella pronuncia e, quindi, in definitiva, il rispetto della legge stessa. Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell'esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un'inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto; e quindi anche nei confronti di qualsiasi atto della pubblica autorità, senza distinzioni di sorta, pur se adottato da un organo avente rilievo costituzionale qual è il C.S.M..
In questi termini la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria.
7. -- Se quindi l'esercizio di poteri autoritativi al fine della effettiva realizzazione della tutela garantita dalla Costituzione è una fase (pur se eventuale) intrinsecamente complementare e necessaria all'esercizio della giurisdizione, ne deriva, quale logico corollario, l'impossibilità di operare distinzioni di sorta tra funzioni giurisdizionali di natura diversa (ordinaria, amministrativa, di legittimità, di merito, esclusiva) per inferirne (come sostiene il ricorrente) che solo in alcune, e non in altre, detti poteri sarebbero legittimamente esercitabili.
La tesi non può essere condivisa: in linea di principio non sono configurabili giurisdizioni passibili di esecuzione ed altre in cui il dovere di attuare la decisione si arresti di fronte alle particolari competenze attribuite al soggetto il cui operato è sottoposto a sindacato. Al contrario, la garanzia della competenza cede a fronte della contrapposta garanzia di ogni cittadino alla tutela giurisdizionale, la quale rappresenta e dà contenuto concreto, in definitiva, alla garanzia della pari osservanza della legge: da parte di tutti ed in egual misura.
Che, infine, una fase esecutiva possa risultare in determinati casi indispensabile, anche quando la sentenza del giudice dovrebbe essere in grado di assicurare ex se la tutela giurisdizionale (come, in genere, avviene nella giurisdizione di legittimità) è reso evidente proprio dalla vicenda in esame.
Infatti, nonostante il provvedimento di sospensione adottato dal T.A.R. del Lazio sia autoesecutivo ed immediatamente efficace ex lege, risulta che il magistrato la cui nomina è stata sospesa ha continuato ad esercitare le relative funzioni, indiscutibilmente sine titulo, fino a che un esplicito provvedimento, adottato dal commissario ad acta, non lo ha sollevato dall'incarico.
8. -- Con la seconda e subordinata censura il C.S.M. lamenta, sotto un diverso profilo, l'invasione delle proprie competenze da parte del T.A.R. del Lazio il quale, individuando autonomamente il soggetto cui conferire la supplenza del titolare dell'ufficio direttivo, avrebbe esercitato un potere non spettantegli, ed inciso sull'esercizio di quelli attribuiti al ricorrente.
Anche tale censura non è fondata.
In realtà, la decisione di sospensione del provvedimento impugnato implica necessariamente il riemergere degli atti e delle situazioni travolti dall'atto sospeso, e cioè l'adeguamento dello stato di fatto e di diritto esistente al momento della pronuncia giurisdizionale, e venuto in vita sulla base dell'atto impugnato, alla situazione giuridica prodotta dalla pronuncia stessa.
Nominando come supplente il magistrato che già svolgeva le medesime funzioni al momento dell'adozione, da parte del C.S.M., dell'atto impugnato, il T.A.R. del Lazio, quindi, ha semplicemente ripristinato lo stato di fatto e di diritto preesistente, e non sovrapposto una sua scelta discrezionale alle competenze del ricorrente.
D'altronde non viene esplicitato come altrimenti avrebbe legittimamente potuto effettuarsi la scelta del supplente. Proprio sulla base del citato art. 104 dell'Ordinamento giudiziario può invece ritenersi che tale attività sia formalmente vincolata, e quindi il magistrato indicato come supplente dal T.A.R. del Lazio, essendo il Presidente di sezione più anziano del Tribunale, risulta, anche per questo motivo, colui al quale la supplenza andava per legge conferita. Le stesse delibere adottate in materia dal C.S.M. confermano costantemente tale principio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara inammissibile il conflitto sollevato con il ricorso in epigrafe nei confronti del Ministro di grazia e giustizia;
b) dichiara che spetta al T.A.R. del Lazio, in sede di esecuzione di provvedimenti cautelari, il potere di emettere ordini nei confronti del Consiglio superiore della magistratura con gli atti in epigrafe indicati, e di disporne, in caso di inottemperanza, la sostituzione attraverso la nomina di un commissario ad acta.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria l'8 settembre 1995.