SENTENZA N. 211
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 340, comma 4, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 28 gennaio 1994 dal Pretore di Lecce, sezione distaccata di Alessano, nel procedimento penale a carico di Antonazzo Maurizio, iscritta al n. 642 del registro ordinanze 1994 e pubblica nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
1. Il Pretore di Lecce, sezione distaccata di Alessano, con ordinanza del 28 gennaio 1994 ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 340, comma 4, del codice di procedura penale -- correlato agli articoli 427, ultimo comma, e 542 del codice di procedura penale -- per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. Il giudicante, in sintesi, sostiene che nell'ipotesi di remissione della querela la previsione della responsabilità del querelante per il pagamento delle spese processuali contrasta con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza sancito dall'art. 3 della Costituzione in quanto una analoga disciplina non si ritrova nell'ambito delle altre cause estintive del reato (artt. 150-162 c.p.). La persona offesa da un reato perseguibile a querela, inoltre, si troverebbe esposta al rischio della responsabilità patrimoniale senza colpa alcuna; il che configurerebbe un'indebita ed ingiustificata compressione del diritto di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti, ed anche "un notevole condizionamento per l'auspicabile remissione della querela".
2. È intervenuto nel giudizio il Presidente del consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato che ha concluso per l'inammissibilità, o comunque per l'infondatezza, della questione. Rileva l'Avvocatura che lo stesso giudice a quo dà atto che nel caso di remissione della querela l'estinzione del reato dipende dalla volontà espressa o tacita del querelante; sarebbe pertanto comprensibile il motivo per il quale, in ordine alle spese processuali, il legislatore ha previsto la responsabilità del querelante. Nè potrebbe obiettarsi che la norma impugnata contrasti con il principio generale secondo cui va esclusa ogni responsabilità del querelante allorchè non sia a questi attribuibile alcuna temerarietà o avventatezza nell'esercizio del diritto di querela. Questo principio non potrebbe trovare applicazione nell'ipotesi di remissione della querela, e cioè nel caso in cui il giudice non entra nel merito dell'accusa ma si limita a prendere atto della peculiare causa di estinzione del reato riconducibile alla volontà del querelante. Del resto, osserva l'Avvocatura, l'automaticità della responsabilità del querelante per le spese processuali, prevista nel comma 4 dell'art. 340 del codice di procedura penale, viene temperata dalla previsione, contenuta nello stesso comma, secondo la quale nell'atto di remissione può convenirsi che le spese siano in tutto o in parte a carico del querelato. Quanto poi all'ulteriore profilo di illegittimità costituzionale sollevato in riferimento all'art. 24 della Costituzione, ad avviso dell'Avvocatura non sarebbe ravvisabile alcuna compressione del diritto di agire in giudizio dal momento che "il precetto costituzionale di cui all'art. 24 della Costituzione risulta violato solo quando sia imposto un onere o vengano prescelte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa da parte di uno qualunque degli interessati" (Corte costituzionale, sentenze 22 dicembre 1989, n. 568 e 9 luglio 1974, n. 214).
Considerato in diritto
1. -- Il Pretore di Lecce dubita della legittimità costituzionale dell'art. 340, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede, nel caso di remissione della querela, la condanna del remittente al pagamento delle spese processuali anche in assenza di qualsiasi colpa a questi addebitabile nell'esercizio del diritto di querela. Il giudice a quo richiama la giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 423 e 180 del 1993, 29 del 1992, 52 del 1975 e 165 del 1974) in base alla quale è stata costantemente dichiarata l'illegittimità costituzionale di norme, sia del codice previgente che di quello attuale, che nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato imponevano in ogni caso la condanna del querelante al pagamento delle spese processuali anche senza alcuna colpa del medesimo. Ciò premesso, ad avviso del Pretore, anche nel caso sottoposto al suo esame emergerebbe un'analoga situazione in quanto nessuna colpa, in termini di leggerezza o di temerarietà, sarebbe addebitabile alle parti lese remittenti la querela; la norma impugnata, in conseguenza, si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, perchè prevede una disciplina diversa da quella vigente per tutte le altre cause di estinzione del reato, nonchè con l'art. 24 della Costituzione, perchè il rischio di una responsabilità patrimoniale potrebbe comportare una indebita compressione del diritto di agire in giudizio ed un notevole condizionamento in ordine alla decisione di rimettere la querela.
2. -- La questione non è fondata. Com'è noto questa Corte ha più volte esaminato la disciplina sulla responsabilità del querelante per le spese del procedimento, in caso di proscioglimento dell'imputato, escludendo chiaramente ogni ipotesi di responsabilità obiettiva fondata sul mero dato della causalità materiale (per cui le spese ricadono sulla parte che ad esse ha dato causa), anche in assenza di qualsiasi colpa, leggerezza o temerarietà rimproverabile a chi abbia esercitato il diritto di querela. Sulla base di tale principio è stata dichiarata l'illegittimità delle norme che imponevano in ogni caso la condanna del querelante nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato conseguente a querela contro ignoti per un reato realmente verificatosi (sentenza n. 165 del 1974), o nell'ipotesi di proscioglimento per incapacità d'intendere e di volere (sentenza n. 52 del 1975), o perchè il fatto non costituisce reato (sentenza n. 29 del 1992), o nel caso di proscioglimento per non aver commesso il fatto (quando risulti che l'attribuzione del reato all'imputato non sia in alcun modo ascrivibile a colpa del querelante: sentenza n. 180 del 1993), e, infine, quando il proscioglimento dell'imputato è conseguente ad una situazione di dubbio probatorio esprimibile solo nella motivazione, ma non nel dispositivo, in ossequio al dettato di cui all'art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (sentenza n. 423 del 1993). Con quest'ultima pronuncia la Corte ha chiaramente enunciato un principio di carattere generale basato sulla considerazione di un novero pressochè illimitato di cause dalle quali possa desumersi l'assenza di colpa a carico del querelante, nell'esercizio del diritto di querela, pur in caso di pieno proscioglimento dell'imputato.
3. -- Del tutto diversa è invece la fattispecie disciplinata dal comma 4 dell'art. 340. La remissione della querela, per quanto qui rileva, consiste in una manifestazione di volontà con la quale la persona offesa dal reato dichiara di non persistere nella richiesta di punizione del reo formulata con la querela stessa; si tratta, in sostanza, di un atto di revoca della querela che, se accettato dal querelato, fa cessare l'azione penale iniziatasi in seguito all'esercizio del diritto di querela, determinando, di riverbero, l'estinzione del diritto di punire e quindi del reato. In questi termini è del tutto logico che, cessando l'azione penale per un atto di volontà del querelante, il costo del processo sia sopportato da chi ha reso necessaria l'attività del giudice ed ha perciò dato occasione alla spesa per il suo svolgimento. Non è quindi una presunzione di colpa o di leggerezza nell'esercizio del diritto di querela il fondamento della responsabilità del remittente per le spese processuali - - poichè nessuna verifica sul merito dell'accusa si compie -- bensì una libera e personale scelta della persona offesa dal reato che, rendendo inutile per la collettività ogni accertamento sui fatti denunciati, e pertanto ingiusto ogni onere conseguente, non può che assumere su di sè ogni responsabilità in ordine alle spese del procedimento. La circostanza che la stessa disposizione impugnata consenta che la regolamentazione delle spese possa essere oggetto di privato accordo tra remittente e querelato mette in luce ancor più chiaramente la sostanziale libertà del processo deliberativo dell'interessato in ordine alla remissione o meno della querela, e, nel contempo, rende paritaria, anche su questo punto, la posizione del querelante e quella del querelato in ordine alla remissione ed alla accettazione della medesima. In conclusione, risulta del tutto inconfigurabile, per le evidenziate e peculiari caratteristiche della rimessione della querela, ogni utile raffronto, ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, con le altre ipotesi di estinzione del reato, così come nessuna compressione del diritto di agire in giudizio, nè alcun condizionamento sulla remissione o meno della querela, è ravvisabile nella disciplina posta dalla norma impugnata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 340, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Lecce con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29/05/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 31/05/95.