SENTENZA N.154
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge della Regione siciliana 5 aprile 1952, n. 11 (Composizione ed elezione degli organi delle Amministrazioni comunali della Regione siciliana), promossi con sei ordinanze emesse l'11 ottobre 1994 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia iscritte ai nn. 766, 767, 768, 769, 770 e 771 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di costituzione della lista "Centro Cristiano Democratico" nonchè l'atto di intervento della Regione siciliana; udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1995 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; uditi gli avvocati Girolamo Rubino per la lista "Centro Cristiano Democratico", Francesco Torre e Francesco Castaldi per la Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
1.-- Nel corso del giudizio proposto da Giuseppe Morreale nei confronti dell'Ufficio elettorale circoscrizionale presso la Pretura di Caltanissetta per l'annullamento del verbale n. 4 del 19 maggio 1994, con il quale il Morreale, candidato nella lista n. 4 denominata "Forza Italia", non era stato ammesso alla competizione elettorale per il rinnovo del Consiglio provinciale di Caltanissetta, il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione seconda, con ordinanza iscritta nel Registro Ordinanze con il numero 766/94, ha sollevato, in riferimento agli artt. 14 e 15 dello Statuto della Regione siciliana (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge regionale 5 aprile 1952, n. 11 (Composizione ed elezione degli organi delle Amministrazioni comunali della Regione siciliana), nella parte riprodotta nell'ultimo comma dell'art. 18 del t.u. approvato con Decreto del Presidente della Regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, modificato con decreto del Presidente della Regione siciliana 15 aprile 1970, n. 1 (Approvazione del testo unico delle leggi per l'elezione dei consigli comunali nella Regione siciliana), il quale dispone che contro le decisioni della Commissione elettorale mandamentale "è ammesso ricorso, anche di merito, al Consiglio di giustizia amministrativa dopo la proclamazione degli eletti, ma non oltre un mese dalla stessa".
Il giudice a quo, dopo aver ricostruito il quadro della normativa applicabile alle elezioni per i consigli provinciali nella Regione siciliana e dopo aver dato conto degli orientamenti giurisprudenziali del Consiglio di Stato e del Consiglio di giustizia amministrativa, osserva che la questione è senz'altro rilevante, in quanto, sulla base della disposizione impugnata, nella interpretazione ad essa data dall'organo di secondo grado di giustizia amministrativa in Sicilia - interpretazione che, appunto, non consentirebbe l'impugnazione di atti intermedi del procedimento elettorale prima della proclamazione degli eletti -, il ricorso vòlto ad ottenere l'annullamento della decisione della Commissione elettorale circoscrizionale, con la quale il ricorrente era stato escluso dalla competizione elettorale a causa della non coincidenza della data di nascita dello stesso ricorrente quale risultante dalla dichiarazione di presentazione della lista e dall'atto di accettazione della candidatura, dovrebbe essere dichiarato inammissibile perchè proposto prima della proclamazione degli eletti.
Rilevata, quindi, la specificità della situazione della Regione siciliana, dal momento che analogo ricorso, alla stregua della evoluzione della giurisprudenza del Consiglio di Stato, non avrebbe il medesimo esito in nessuna altra parte del territorio nazionale, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della norma dalla applicazione della quale discenderebbe un simile risultato.
Un primo profilo di illegittimità è individuato dal giudice a quo nel contrasto con le disposizioni statutarie attributive della competenza legislativa alla Regione siciliana (artt. 14 e 15 dello Statuto), le quali, appunto, non prevedono attribuzioni regionali circa la disciplina del diritto di azione in materia di contenzioso elettorale.
In so stanza, secondo il giudice a quo, la Regione siciliana ben potrebbe disciplinare l'elezione degli organi degli enti locali siciliani in base agli artt. 14, lettera o), e 15 dello Statuto, ma l'esercizio della competenza legislativa in materia dovrebbe essere limitata al procedimento in sè, e non estesa alle regole proprie del contenzioso elettorale e, in particolare, alle regole e ai termini per le impugnazioni.
Ulteriori profili di illegittimità sono riscontrati dal giudice a quo nel contrasto diretto con alcuni principi della Costituzione, i quali riservano allo Stato la disciplina del contenzioso elettorale per l'evidente incidenza della stessa sul procedimento giurisdizionale e sulla capacità di agire (artt. 24 e 113). La disciplina applicabile nel territorio della Regione siciliana, inoltre, violerebbe anche il principio di eguaglianza, dovendosi in materia assicurare uniformità di trattamento a tutti i cittadini della Repubblica (art. 3), mentre il differimento dell'impugnazione degli atti infraprocedimentali all'esito della competizione elettorale potrebbe far gravare sull'Amministrazione il rischio della invalidità dell'intero procedimento, con evidente lesione del principio del buon andamento (art. 97).
Il giudice a quo rileva, infine, che la disciplina impugnata è contenuta nel decreto del Presidente della Regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, il quale è stato emanato in forza della delega legislativa contenuta nell'art. 4, secondo comma, della legge regionale 25 luglio 1960, n. 28.
Peraltro, poichè non è ammessa la delegazione della potestà legislativa in ambito regionale, e poichè, conseguentemente, il decreto del Presidente della Regione, in quanto atto amministrativo, non sarebbe suscettibile di valutazione da parte della Corte costituzionale, l'impugnativa deve essere rivolta nei confronti dell'art. 22, ultimo comma, della legge regionale 5 aprile 1952, n. 11, il cui contenuto è stato testualmente riprodotto dall'art. 18, ultimo comma, del decreto del Presidente della Regione, applicabile alle elezioni provinciali in forza dell'art. 8 della legge regionale 4 giugno 1970, il quale, per quanto non previsto dalla legge regionale 9 maggio 1969, n. 14, rinvia alla disciplina delle elezioni comunali.
2.-- È intervenuta nel presente giudizio la Regione siciliana, eccependo innanzitutto la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza.
La Regione ritiene, infatti, che l'orientamento del Consiglio di giustizia amministrativa contrario alla impugnabilità degli atti infraprocedimentali prima della proclamazione degli eletti dipenda dalla difformità dell'art. 22, ultimo comma, oggetto di censura, rispetto all'art. 83/11 del Testo Unico 16 maggio 1960, n. 570 (Testo Unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall'art. 2 della legge 28 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo). In realtà, prosegue la Regione, il denunciato contrasto tra le due disposizioni non sussiste affatto, dal momento che anche l'art. 83/11 prevede che il ricorso debba essere presentato entro trenta giorni dalla proclamazione degli eletti. E tale interpretazione è fatta propria dal Consiglio di giustizia amministrativa (v. decisione 29 gennaio 1994, n. 16, nella quale si afferma che la disposizione impugnata contiene una previsione analoga a quella della legge 29 dicembre 1966, n. 1147). In sostanza, quindi, ad avviso della Regione, poichè nel caso di specie il contrasto non sarebbe tra norma statale e norma regionale, ma unicamente tra l'interpretazione giurisprudenziale fatta propria dalla V Sezione del Consiglio di Stato e quella seguita dal Consiglio di giustizia amministrativa, la questione sarebbe senz'altro irrilevante, in quanto l'accoglimento ipotizzato dal giudice a quo non produrrebbe l'effetto di rendere ammissibile il ricorso proposto nel giudizio a quo, essendosi il giudice di appello già pronunciato in senso contrario.
Ad avviso della Regione, la questione, oltre che inammissibile, sarebbe anche infondata. Per quanto riguarda il denunciato contrasto tra la disposizione impugnata e le disposizioni statutarie, la Regione rileva che la disposizione regionale, riproducendo una disposizione statale, non eccederebbe dai limiti propri della potestà legislativa regionale e non inciderebbe neanche sulle regole proprie del contenzioso elettorale fissate dal legislatore nazionale.
Per quanto riguarda il denunciato contrasto con l'art. 3 della Costituzione, la Regione intervenuta rileva che la difformità di trattamento discende da contrastanti interpretazioni giurisprudenziali, che ben potrebbero essere sanate nei modi previsti dall'ordinamento della giustizia amministrativa.
Parimenti infondata sarebbe, poi, la denunciata violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, dal momento che tutte le censure proponibili contro la esclusione dalla competizione elettorale ben possono essere fatte valere in sede di impugnazione della proclamazione degli eletti. Del resto, anche la Corte costituzionale ha affermato il principio secondo cui gli artt. 24 e 113 non impongono affatto una correlazione assoluta tra il sorgere di un diritto e la sua azionabilità.
Del tutto inconsistente, infine, sarebbe, ad avviso della Regione siciliana, il contrasto con l'art. 97 della Costituzione, in quanto anche nel caso in cui la lista, in un primo tempo ammessa con riserva, venisse poi esclusa dalla competizione elettorale, sarebbe comunque necessario rinnovare il procedimento elettorale.
2.1.-- Questione identica è stata sollevata, con ordinanza iscritta nel R.O. al n. 767/94, dallo stesso giudice a quo nel corso di un procedimento avente ad oggetto il ricorso proposto da Loreto Ognibene nei confronti dell'Ufficio elettorale circoscrizionale presso la Pretura di Caltanissetta, per l'annullamento del verbale n. 4 del 19 maggio 1994 di quell'ufficio, con il quale il ricorrente, candidato nella lista n. 4 denominata "Forza Italia", non era stato ammesso alla competizione elettorale per il Consiglio provinciale di Caltanissetta, essendo state riscontrate discordanze circa la sua data di nascita tra la dichiarazione di presentazione di lista e la dichiarazione di accettazione della candidatura.
3.-- Identica questione di legittimità costituzionale è stata sollevata, con ordinanza iscritta nel R.O. al n. 768/94, dallo stesso giudice a quo nel corso del giudizio proposto da Luigi Gentile nei confronti dell'Ufficio elettorale circoscrizionale presso la Pretura di Agrigento, per l'annulla mento del verbale n. 5 di quell'ufficio, con il quale non era stata ammessa alla competizione elettorale per il rinnovo del consiglio provinciale di Agrigento la lista avente il contrassegno: Nastro annodato a centro con bande grigie su campo bianco circondato da una corona circolare con scritta "Unione centro", escludendola conseguentemente dalla coalizione n. 2, perchè i candidati indicati in tutti i fogli che raccolgono le firme dei presentatori sono indicati con il solo nome e cognome, senza altre indicazioni sulla identità personale (luogo e data di nascita) e, quindi, con incertezza sulle persone indicate, quali candidati a sostegno dei quali sono dirette le sottoscrizioni autenticate dei presentatori.
4.-- Identica questione è stata sollevata, con ordinanza iscritta nel R.O. al n. 769/94, dallo stesso giudice a quo nel corso del giudizio proposto da Francesco Sutera nei confronti dell'Ufficio elettorale circoscrizionale presso la Pretura di Agrigento avverso il verbale n. 10 del 20 maggio 1994, nella parte in cui esclude il ricorrente dalla lista "Forza Italia" presentata alla elezione del consiglio della provincia di Agrigento, fissata per il giorno 12 giugno 1994, per riscontrate discordanze nella indicazione della data di nascita riportata nella dichiarazione di accettazione della candidatura rispetto a quella indicata in tutti gli altri documenti.
5.-- Identica questione di legittimità costituzionale è stata sollevata, con ordinanza iscritta nel R.O. al n. 770/94, dal medesimo giudice a quo nel corso del giudizio proposto dalla Lista Partito Socialista Italiano nei confronti dell'Ufficio elettorale circoscrizionale presso la Pretura di Agrigento per l'annullamento del provvedimento di non ammissione della lista alla consultazione elettorale per il Consiglio provinciale di Agrigento adottato con verbale n. 8 del 20 maggio 1994, perchè le firme di 161 presentatori della lista su 345 non risultavano autenticate e accompagnate dal certificato di iscrizione alle liste elettorali.
6.1.-- Identica questione di legittimità costituzionale è stata sollevata, con ordinanza iscritta nel R.O. al n. 771/94, dal medesimo giudice a quo nel corso del giudizio proposto dalla Lista Centro Cristiano Democratico nei confronti dell'Ufficio elettorale circoscrizionale - collegio di Licata -, per l'annullamento del provvedimento di esclusione della lista dalla consultazione elettorale relativa all'elezione del consiglio provinciale di Agrigento del 12 giugno 1994, adottato con verbale n. 3 del 20 maggio 1994, perchè 13 certificati collettivi, attestanti l'iscrizione nelle liste elettorali dei comuni compresi nel collegio dei 325 sottoscrittori della lista, erano stati prodotti, ad integrazione, alle ore 13,30 e, quindi, oltre il termine delle ore 12 fissato dall'art. 11, commi 6 e 7, della legge regionale 9 maggio 1969, n. 14 e successive modificazioni.
6.2.-- Ha depositato una memoria nel giudizio introdotto dall'ordinanza iscritta nel Registro Ordinanze con il numero 771/94, la Lista Centro Cristiano Democratico, parte nel processo a quo, rappresentata dall'Avv. Girolamo Rubino, il quale non risulta abilitato al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione.
Preliminarmente, peraltro, la difesa della parte chiede a questa Corte di dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonchè degli artt. 4 e 33 del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, e dell'art. 35 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) e dell'art. 3 della legge 21 marzo 1953, n. 161. Tali disposizioni, infatti, prescrivendo che la difesa dinnanzi alla Corte costituzionale, alla Corte di cassazione, al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti sia assunta da avvocati abilitati al patrocinio presso le giurisdizioni superiori, si porrebbero in contrasto con gli artt. 3, 4 e 33 della Costituzione.
Il difensore della parte privata, iscritto all'Albo degli avvocati dal 1990, dopo aver ricordato che al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori sono ammessi gli avvocati che abbiano esercitato almeno per otto anni la professione di avvocato e che ai fini dell'iscrizione all'albo degli avvocati è richiesta la prova dell'esercizio della professione di procuratore per almeno sei anni, ritiene che la previsione, dopo il superamento di un esame di abilitazione professionale, dell'esercizio per quattordici anni della professione, contrasti con le citate disposizioni costituzionali per più aspetti. Innanzitutto, la difesa della parte privata rileva che, poichè solo la professione forense è disciplinata in modo tale da richiedere, oltre al superamento dell'esame di Stato, l'esercizio della professione per quattordici anni, la relativa disciplina si pone in contrasto, con l'art. 33, quinto comma, e con l'art. 3 della Costituzione. Quest'ultimo sarebbe poi violato, sia per il profilo della ragionevolezza, sia per quel lo della disparità di trattamento. Sotto il primo profilo, la difesa della parte privata osserva che la disciplina positiva consente il verificarsi della situazione paradossale, per la quale, mentre gli avvocati di alcuni Paesi della Comunità europea (in particolare, Grecia e Lussemburgo), possono esercitare dinnanzi alle giurisdizioni superiori, al contrario quelli operanti in Italia possono assumere le stesse difese solo dopo il decorso di otto anni di pratica professionale. Sotto il secondo profilo, vi sarebbe disparità di trattamento rispetto all'esercizio del patrocinio dinnanzi alla Corte dei conti, dal momento che la legge n. 19 del 1994 ha consentito il patrocinio in materia pensionistica ai professionisti iscritti all'albo degli Avvocati o procuratori legali. E disparità vi sarebbe anche tra avvocati civilisti e avvocati penalisti, da un lato, e avvocati amministrativisti, dall'altro, in quanto questi ultimi, se non cassazionisti, sono privati, a differenza dei primi, della possibilità di proporre appello innanzi al giudice amministrativo di secondo grado, rientrando quest'ultimo tra le giurisdizioni superiori.
6.3. -- In prossimità dell'udienza la Lista "Centro Cristiano Democratico" ha depositato una ulteriore memoria, con la quale osserva che l'art. 20 della legge n. 87 del 1953 lederebbe anche il diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), cioè un diritto il cui esercizio, secondo la giurisprudenza costituzionale, pur se contemperato con gli altri valori costituzionali, non può essere eccessivamente gravoso.
Considerato in diritto
1. -- Con sei distinte ordinanze dall'analogo contenuto, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione seconda, ha sollevato -- in riferimento agli artt. 14, lettera o), e 15 dello Statuto speciale della Regione siciliana (r. d. lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione -- questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge regionale 5 aprile 1952, n. 11 (Composizione ed elezione degli organi delle Amministrazioni comunali della Regione siciliana), nella parte riprodotta dall'art. 18, ultimo comma, del decreto del Presi dente della Regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, modificato con decreto del Presidente della Regione siciliana 15 aprile 1970, n. 1 (Approvazione del testo unico delle leggi per l'elezione dei consigli comunali nella Regione siciliana).
Posto che le predette ordinanze sollevano la stessa questione di costituzionalità, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.
2. -- Occorre premettere che, con ordinanza resa nel corso dell'udienza pubblica (v. allegato in calce alla presente decisione), questa Corte ha dichiarato irricevibile l'atto di costituzione depositato in rappresentanza della Lista "Centro Cristiano Democratico", relativo al giudizio promosso con l'ordinanza iscritta nel Registro Ordinanze con il numero 771/94.
3.-- Va, innanzitutto, respinta l'eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa della Regione siciliana.
Il giudice del processo principale dal quale proviene l'ordinanza iscritta nel Registro Ordinanze con il n. 766/94, cui si riferisce l'eccezione in esame, muove dal rilievo che la disposizione impugnata - per la quale contro le decisioni della Commissione elettorale mandamentale "è ammesso ricorso, anche di merito, al Consiglio di giustizia amministrativa (ora al TAR, ai sensi degli artt. 40 e 6 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034) dopo la proclamazione degli eletti, ma non oltre un mese dalla stessa" - è costantemente interpretata dall'organo di secondo grado di giustizia amministrativa in Sicilia in modo diverso dall'interpretazione invalsa nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. A differenza di quest'ultimo, infatti, il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia (organo di giustizia amministrativa di secondo grado in quella regione) esclude che gli atti intermedi del procedimento elettorale siano impugnabili prima della proclamazione degli eletti. Sicchè, conclude il giudice a quo, accogliendo questa interpretazione della disposizione impugnata, in mancanza di una pronunzia di questa Corte che riconosca come fondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati, si dovrebbe dichiarare inammissibile, in quanto prematuro, il ricorso vòlto ad ottenere l'annullamento della decisione della Commissione elettorale circoscrizionale, con la quale il ricorrente era stato escluso dalla competizione elettorale a causa della non coincidenza della indicazione della data di nascita risultante dalla dichiarazione di presentazione della lista e quella contenuta nell'atto di accettazione della candidatura.
Contro tale valutazione della rilevanza operata dal giudice a quo, la difesa della Regione siciliana eccepisce che la questione concernerebbe un conflitto interpretativo fra due distinti giudici, rispetto al quale una declaratoria d'incostituzionalità della disposizione regionale impugnata non potrebbe produrre l'effetto di rendere ammissibile il ricorso oggetto del giudizio a quo, essendosi il giudice di appello già pronunziato sulla legge statale - applicabile al caso una volta che fosse venuta meno la legge regionale - nel senso di attribuire a quella legge lo stesso significato conferito a quella impugnata.
L'eccezione sollevata dalla difesa della Regione è priva di fondamento, poichè, all'evidenza, si basa su una valutazione ipotetica e, comunque, non pertinente al giudizio a quo, essendo riferita al possibile orientamento del giudice nell'eventuale giudizio di appello. Ai fini della rilevanza della questione, è sufficiente, invece, che il giudice a quo svolga, come nel caso, argomentazioni non implausibili circa il significato da dare alla disposizione impugnata, vòlte a dimostrare, se pure a uno stadio del tutto iniziale del processo, l'incidenza della decisione di costituzionalità sulla risoluzione della controversia pendente dinnanzi a lui. Nè, come questa Corte ha più volte ribadito (v., da ultimo, sentenza n. 58 del 1995), può riconoscersi alcun rilievo al fatto che il significato attribuito dal giudice a quo alla disposizione impugnata entri in conflitto con interpretazioni conferite alla stessa disposizione da altri giudici, poichè ciò che si richiede è soltanto che l'ordinanza di rimessione, in base all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), individui con chiarezza una disposizione, investita di valore di legge e ritenuta applicabile nel giudizio a quo, il cui significato sia sospettato dal giudice a quo di essere incompatibile con specifiche norme di rango costituzionale.
4. -- La questione sollevata dai giudici a quibus merita l'accoglimento, poichè l'art. 22 della legge regionale 5 aprile 1952, n. 11, nella parte riprodotta dall'art. 18, ultimo comma, del decreto del Presidente della Regione siciliana n. 3 del 1960, incontestabilmente applicabile anche alle decisioni dei consigli provinciali della Regione siciliana, fuoriesce dai limiti della competenza legislativa di tipo esclusivo che l'art. 14, lettera o), e l'art. 15 dello Statuto speciale attribuiscono alla medesima Regione in materia di regime degli enti locali e delle relative circoscrizioni.
Non dissimilmente dall'art. 83/11 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dalla legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), l'impugnato art. 22 della legge della Regione siciliana n. 11 del 1952 stabilisce che <contro le decisioni della Commissione è ammesso il ricorso, anche di merito, al Consiglio di giustizia amministrativa (ora al TAR) dopo la proclamazione degli eletti, ma non oltre un mese dalla stessa>. È chiaro che nel caso non si è in presenza di un <rinvio improprio>, cioè di un'ipotesi di legge regionale che richiama una legge statale, di per sè applicabile al solo fine di facilitare l'individuazione delle norme regolanti i rapporti indicati (v. sentenza n. 304 del 1986), ma si ha a che fare con disposizioni di legge regionale, sostanzialmente riproduttive di norme statali, che disciplinano un aspetto del regime delle impugnazioni, vale a dire un profilo inerente alla materia giurisdizionale e processuale. E poichè la disciplina di tale materia, in base all'art. 108, primo comma, della Costituzione, spetta esclusivamente alla legislazione statale e rispetto ad essa gli organi legislativi regionali, nel disciplinare gli oggetti rientranti nelle loro competenze, anche di tipo esclusivo, debbono astenersi da qualsivoglia interferenza, si deve pervenire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v., ad esempio, sentenze nn. 76 del 1995, 303 del 1994, 210 e 113 del 1993, 505 del 1991, 203 del 1987, 72 del 1977), alla declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 22 della legge della Regione siciliana 5 aprile 1952, n. 11 (Composizione ed elezione degli organi delle Amministrazioni comunali della Regione siciliana), nella parte riprodotta dall'art. 18, ultimo comma, del decreto del Presidente della Regione siciliana 20 agosto 1960, n. 3, modificato con decreto del Presidente della Regione siciliana 15 aprile 1970, n. 1 (Approvazione del testo unico delle leggi per l'elezione dei consigli comunali nella Regione siciliana).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/05/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Antonio BALDASSARRE, Redattore
Depositata in cancelleria il 08/05/95.