Sentenza n. 153 del 1995

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SENTENZA N.153

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 3 della legge della Regione siciliana 29 dicembre 1975, n. 88 (Interventi per la difesa e conservazione del suolo ed adeguamento delle strutture operative foresta- li), dall'art. 4 della legge della Regione siciliana 16 agosto 1974, n. 36 (Interventi straordinari nel settore della difesa del suolo e della forestazione) e dall'art. 1 della legge della Regione siciliana 18 novembre 1964, n. 29 (Nuove norme per l'acceleramento dell'esecuzione e dei pagamenti delle opere pubbliche) promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 1994 dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nel procedimento civile vertente tra la STAFE s.r.l. ed altra e l'Assessorato dell'Agricoltura e Foreste della Regione siciliana iscritta al n. 644 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di costituzione della s.p.a. SITAS Funivia dell'Etna succeduta alla STAFE s.r.l.; udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1995 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; uditi gli Avv.ti Donato De Luca, Michele Conte e Franco Scoca per la s.p.a. SITAS Funivia dell'Etna, succeduta alla STAFE s.r.l.

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso di un giudizio d'appello proposto dalla Società Turistico-Alberghiera Funiviaria dell'Etna (STAFE s.r.l.) nei confronti dell'Assessorato all'agricoltura e foreste della Regione siciliana avverso la sentenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche della Sicilia, che aveva rideterminato l'indennità per una espropriazione preordinata all'esecuzione di opere di bonifica montana e di riassetto idrogeologico, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, rilevato che nelle more del giudizio è entrata in vigore una nuova legge sulla determinazione dell'indennità di esproprio, costituente principio generale dell'ordinamento giuridico, ovvero norma fondamentale di riforma economico- sociale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale -- in riferimento agli artt. 3, 5 e 42 della Costituzione e all'art. 14 dello Statuto speciale per la Sicilia (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455) -- nei confronti del combinato disposto formato dagli artt. 3 della legge regionale 29 dicembre 1975, n. 88 (Interventi per la difesa e conservazione del suolo ed adeguamento delle strutture operative forestali), 4 della legge regionale 16 agosto 1974, n. 36 (Interventi straordinari nel settore della difesa del suolo e della forestazione) e 1 della legge regionale 18 novembre 1964, n. 29 (Nuove norme per l'acceleramento dell'esecuzione e dei pagamenti delle opere pubbliche), che, esigendo la determinazione dell'indennità di espropriazione in misura pari ai valori di mercato, contrasterebbe con il principio contenuto nell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992 (recte: art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante <Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica>, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359).

Il giudice rimettente, premesso che, allo stadio attuale del giudizio a quo, è stata riconosciuta al suolo espropriato un'idoneità ad attività turistico-sportive e che il citato art. 5-bis è, per suo espresso tenore letterale, applicabile a "tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte o per conto dello Stato, delle regioni [...]" e, quindi, si impone anche al legislatore siciliano, che vanta in materia una competenza di tipo esclusivo (ex art. 14, lettera s, dello Statuto speciale), osserva che il contrasto fra il ricordato art. 5-bis e le norme regionali impugnate -- relativo sia alla determinazione dell'indennità di esproprio (comma 1), sia ai criteri di qualificazione dei suoli come edificabili (comma 3) -- non può configurarsi in termini di abrogazione, apparendo insuperabile il rilievo per il quale quest'ultimo fenomeno potrebbe operare soltanto nel rapporto tra fonti normative omogenee.

Al contrario, ad avviso del giudice a quo, sembra più corretto ravvisare in ipotesi una incostituzionalità sopravvenuta a causa dell'entrata in vigore successiva di norme nazionali aventi valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale (in quanto dirette al perseguimento di una rigorosa politica di contenimento del disavanzo finanziario nel settore pubblico) ovvero aventi il carattere di "principio generale dell'ordinamento" (in quanto norme conformative del diritto di proprietà). Rispetto a tali norme appare evidente il contrasto dell'art. 1 della legge regionale n. 88 del 1975, che -- richiamando l'art. 4 della legge regionale n. 36 del 1974, a sua volta rinviante all'art. 1 della legge regionale n. 29 del 1964, -- porta ad applicare nel caso la legge nazionale 25 giugno 1865, n. 2359, nel senso che presuppone un criterio di determinazione dell'indennità pari al valore di mercato del bene e, quindi, comprensivo dei valori potenziali o latenti del bene stesso.

2. -- Si è costituita in giudizio la Società IndustrieTuristico-Alberghiere Siciliane (SITAS s.p.a.), succeduta alla STAFE s.r.l. per fusione mediante incorporazione, eccependo, innanzitutto, l'inammissibilità della questione per irrilevanza sotto un duplice profilo. Per un verso, infatti, il giudice a quo ha ritenuto rilevante l'art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, applicabile alle aree edificabili, sul presupposto che il bene oggetto dell'espropriazione in esame rientri in tale categoria, mentre nel caso si discute di indennità di esproprio di suoli destinati al rimboschimento, gravati da vincoli idrogeologici e paesaggistici. Per altro verso, poi, l'irrilevanza deriverebbe, nella denegata ipotesi che il suolo dovesse essere ritenuto edificabile, dal fatto che la sentenza n. 283 del 1993 di questa Corte, nel dichiarare l'incostituzionalità del predetto art. 5-bis, comma 2, ha stabilito che ai soggetti già espropriati al momento dell'entrata in vigore della legge n. 359 del 1992 e nei confronti dei quali l'espropriazione non sia ancora divenuta incontestabile, com'è nel caso in questione, è applicabile il primo comma dello stesso art. 5-bis, con esclusione della riduzione del 40 per cento.

Nel merito la parte privata ritiene che la questione sia infondata, poichè, a suo dire, una norma che, in base all'art. 14 dello Statuto siciliano, è esercizio di una competenza legislativa di tipo esclusivo non può essere modificata da una legge statale non avente rango costituzionale ovvero non può esser dichiarata incostituzionale per il preteso contrasto con leggi statali ordinarie.

3. -- In prossimità dell'udienza la SITASs.p.a. ha depositato un'ulteriore memoria, con la quale, oltre a ribadire gli argomenti portati a sostegno dell'inammissibilità, contesta, innanzitutto, che l'art. 5- bis possa essere considerato principio generale dell'ordinamento o norma fondamentale di riforma economico- sociale. Sotto questo profilo, posto che il "principio generale" è il prodotto, non già di singoli atti normativi, ma del sistema "ordinamento" (che si interpone come insopprimibile elemento mediatore), la parte privata ritiene che non si possa riconoscere tale carattere a una specifica disposizione, stabilita dal legislatore, nell'esercizio di un'ampia discrezionalità, come norma transitoria o temporanea, applicabile a ipotesi particolari e limitate di espropriazione (quelle relative ad aree edificabili). Tali tratti, continua la parte privata, escludono che si possa rinvenire nell'art. 5-bis anche una "norma fondamentale" delle riforme economico-sociali.

Infine, riguardo alle censure relative agli artt. 3, 5 e 42 della Costituzione, la parte privata, sulla base di un ampio excursus storico e normativo, osserva che non si può parlare di un "criterio generale" per la determinazione dell'indennizzo, poichè caratteristica di quest'ultimo è proprio, la multiformità e la diversità dei criteri e dei meccanismi di calcolo in dipendenza del tipo di intervento espropriativo. Questo dato legislativo è stato convalidato dalla Corte costituzionale, che nella sua giurisprudenza, posti i limiti perchè un indennizzo possa essere considerato "serio ristoro", non ha mai richiesto nei singoli casi, alla luce degli artt. 3 e 42 della Costituzione, l'uniformità dei criteri indennitari o della portata risarcitoria dell'indennizzo in relazione a tipi diversi di espropriazione aventi, come nel caso, oggetti diversi.

Considerato in diritto

1. -- Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha sollevato -- in riferimento agli artt. 3, 5 e 42 della Costituzione e all'art. 14, lettera s), dello Statuto della Regione siciliana (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) -- questione di legittimità costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 3 della legge regionale 29 dicembre 1975, n. 88 (Interventi per la difesa e conservazione del suolo ed adeguamento delle strutture operative forestali), dall'art. 4 della legge regionale 16 agosto 1974, n. 36 (Interventi straordinari nel settore della difesa del suolo e della forestazione) e dall'art. 1 della legge regionale 18 novembre 1964, n. 29, nella parte in cui, esigendo la determinazione dell'indennità in misura pari al valore di mercato dei suoli espropriati, si porrebbe in contrasto con il principio contenuto nell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992 (recte: art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, dal titolo <Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica>, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359).

2. -- Vanno preliminarmente respinte le eccezioni d'inammissibilità proposte dalla parte privata.

Con una prima eccezione tale parte ipotizza l'irrilevanza della questione sulla base del rilievo che l'espropriazione in discussione, cui si riferiscono le leggi regionali impugnate, avrebbe ad oggetto aree non edificabili, mentre la norma sta tale di raffronto, l'art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, come risultante dalla legge di conversione n. 359 del 1992, riguarderebbe soltanto l'espropriazione di suoli edificatori. A dire il vero, l'argomento addotto, il quale si basa sull'asserita non pertinenza delle norme statali di raffronto, assunte come principii generali dell'ordinamento ovvero come norme fondamentali di riforma economico-sociale, è in sostanza un argomento vòlto a dimostrare l'infondatezza della dedotta questione, tanto che non sfiora minimamente il problema -- questo sì attinente alla rilevanza -- dell'applicabilità nel giudizio principale delle leggi regionali oggetto di contestazione. E il discorso non muterebbe ove l'eccezione fosse interpretata estensivamente, nel senso di escludere la comparabilità tra le norme regionali impugnate e l'art. 5-bis, in base al rilievo che le une e l'altro si riferirebbero a tipi diversi di espropriazione.

Ad analoga conclusione si deve pervenire anche riguardo alla seconda eccezione d'inammissibilità, per la quale, nell'ipotesi che nel caso dedotto nel giudizio a quo si tratti di aree edificabili, non sarebbe applicabile l'art. 5-bis, comma 1 (che stabilisce i criteri di determinazione dell'indennizzo), ma il comma 2 dello stesso articolo, quale risulta a seguito dell'intervento additivo compiuto con la sentenza n. 283 del 1993 di questa Corte (che esclude la decurtazione del 40 per cento nel calcolo dell'indennizzo), rientrando il caso in esame in quello dei soggetti, già espropriati al momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina, nei confronti dei quali l'indennizzo non sia divenuto ancora incontestabile. Pur ribadendo che anche il rilievo ora esaminato attiene al merito -- e, anzi, in tal caso al merito del giudizio principale -- è opportuno rammentare che l'art. 5-bis è invocato dal giudice a quo nell'insieme delle sue disposizioni dirette a stabilire i criteri di determinazione dell'indennizzo in relazione alle va rie ipotesi ivi stabilite, includendo in questi anche i criteri per la valutazione dell'edificabilità delle aree (comma 3).

3. -- Nel merito la questione merita l'accoglimento, poichè le disposizioni di legge regionale contestate risultano lesive dei limiti che l'art. 14 dello Statuto speciale per la Regione siciliana stabilisce all'esercizio della competenza legislativa di tipo esclusivo in materia di espropriazione per pubblica utilità (lettera s). E a nulla rileva in proposito il fatto che il giudice a quo non menziona espressamente nell'ordinanza di rimessione l'art. 14 dello Statuto, poichè tale mancanza può essere superata mediante i poteri di interpretazione dell'ordinanza di rimessione costantemente riconosciuti a questa Corte di fronte a ipotesi, come quella in esame, nelle quali il giudice a quo lamenta, fra l'altro, la lesione di un limite apposto all'esercizio della potestà legislativa regionale di tipo esclusivo.

3.1. -- Nessun dubbio può sussistere sul fatto che il criterio di determinazione dell'indennità di espropriazione desumibile dalle leggi regionali ritenute applicabili nel giudizio a quo e quello disposto dall'art. 5-bis del decreto- legge n. 333 del 1992 siano diversi e fra loro incompatibili.

La disciplina normativa regionale sulla espropriazione, oggetto di contestazione, deriva da un complesso di disposizioni precisamente indicato dal giudice rimettente.

Prima di tutto, l'art. 3 della legge regionale n. 88 del 1975 stabilisce che per gli interventi per la difesa e la conservazione del suolo e per l'adeguamento delle strutture operative forestali si applica l'art. 4 della legge regionale n. 36 del 1974. Quest'ultimo, ai primi due commi, dispone che "gli interventi nel settore della forestazione saranno effettuati su terreni demaniali della Regione o di altri enti pubblici o comunque su terreni da acquisire al demanio della Regione" e che, in tal caso, per le espropriazioni relative alle opere di pubblica utilità previste "si applicano le disposizioni di cui alla legge 25 giugno 1865, n. 2359 e sue successive modificazioni, nonchè quelle di cui al titolo I della legge regionale 18 novembre 1964, n. 29". A sua volta, quest'ultima, all'art. 1, stabilisce che "per le espropriazioni connesse alle opere finanziate, in tutto o in parte, dalla Regione, la stima della indennità da offrirsi ai proprietari ai sensi dell'art. 24 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, che sia stata approvata dai competenti organi tecnici dell'Amministrazione regionale, sostituisce, per tutti gli effetti dell'art. 48 della citata legge, le perizie previste dall'art. 32 della legge medesima".

Insomma, dall'insieme delle disposizioni regionali sopraindicate, rinvianti alla legge n. 2359 del 1865, il giudice a quo non implausibilmente desume che il criterio di determinazione dell'indennizzo dovuto all'espropriato è costituito dal valore di mercato del suolo, vale a dire dal prezzo che l'immobile avrebbe avuto in una libera contrattazione di compravendita. E lo stesso giudice a quo nell'ordinanza di rimessione premette che, allo stadio attuale del giudizio principale, risulta che alle aree, in relazione alle quali dev'essere determinato l'indennizzo, ineriscono valenze tali da indurre a considerarle come edificabili.

Al contrario, la norma statale di raffronto, cioè l'art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 359 del 1992, ha non irragionevolmente fissato, come questa Corte ha già affermato nella sentenza n. 283 del 1993, un diverso criterio di determinazione dell'indennizzo -- anch'esso di generale applicazione quanto quello previsto nel- l'art. 24 della legge n. 2359 del 1865 -- riguardo alle aree destinabili a edificazione: un criterio costituito dalla semisomma del valore venale e del reddito dominicale, ridotta del 40 per cento (comma 1). Inoltre, per effetto del ricordato intervento additivo operato da questa Corte con la sentenza n. 283 del 1993, i soggetti già espropriati al momento dell'entrata in vigore della legge, che tuttavia abbiano ancora pendente il contenzioso relativo all'indennità, sono ammessi al beneficio, previsto dal comma 2 dello stesso art. 5-bis, consistente nella non applicabilità della riduzione del 40 per cento.

In definitiva, è evidente che il criterio di determinazione dell'indennizzo fissato dall'art. 5-bis è sostanzialmente difforme da quello, consistente nel solo valore venale, desumibile dalle disposizioni di legge regionale sottoposte al giudizio di questa Corte e, implicando un medesimo campo di applicazione rispetto a queste ultime, comporta una situazione di incompatibilità fra le norme messe a confronto.

3.2. -- Il citato art. 5-bis rientra fra le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, che, in base all'art. 14 dello Statuto speciale per la Regione siciliana, costituiscono un limite anche all'esercizio delle competenze legislative di tipo esclusivo.

Giova ricordare, innanzitutto, che il criterio di determinazione dell'indennizzo stabilito dall'art. 5-bis si applica, per espresso disposto del comma 1 dello stesso articolo, a "tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte o per conto dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica utilità". Tale generalizzata applicazione a tutte le espropriazioni riferita all'intero territorio nazionale, ancorchè disposta con una norma temporanea emanata in attesa di una disciplina organica della materia, rientra, come ha già precisato questa Corte nella già citata sentenza n. 283 del 1993, nell'ambito di provvedimenti urgenti vòlti, non soltanto al perseguimento di scopi economico-sociali legati alla ripresa del settore fonda mentale dell'edilizia pubblica, ma anche, e soprattutto, al risanamento della finanza pubblica, attraverso la decurtazione degli oneri addossati a carico dei bilanci pubblici in una situazione caratterizzata da un gravissimo debito pubblico.

Posto che, come questa Corte ha più volte affermato (v. spec. sentenze nn. 497 e 296 del 1993, 493 del 1991, 274 del 1988), la natura di norma temporanea non può ritenersi preclusiva del riconoscimento alla stessa della qualificazione di "norma fondamentale delle riforme economico-sociali", nel caso in esame si riscontrano i caratteri propri di tale limite generale all'esercizio delle competenze legislative delle regioni: l'incisiva innovatività del contenuto normativo, tenuto anche conto delle finalità perseguite dal legislatore in ordine a un fenomeno vasto di primaria importanza nazionale; l'attinenza della disciplina dettata a un problema di grande rilevanza per la definizione del rapporto fra proprietà privata e potere pubblico e, quindi, per la vita economica e sociale della comunità intera; e, infine, la connotazione delle norme considerate come principi che esigono un'attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale (v., ad esempio, sentenze nn. 296 del 1993; 366, 356 e 188 del 1992; 493, 386 e 349 del 1991, 634 del 1988).

3.3. -- Questa Corte ha più volte affermato che, ai sensi dell'art. 10, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, il sopravvenire nelle leggi statali di norme recanti principi, in grado di costituire un limite all'esercizio di competenze legislative regionali, comporta, nei casi di accertata e diretta incompatibilità fra la legge regionale e quella statale, l'effetto dell'abrogazione (v. spec. sentenze nn. 498 e 497 del 1993, 50 del 1991, 151 del 1974). Ma, dal momento che il giudice a quo, competente a rilevare tale evenienza, afferma espressamente -- sulla base di una nozione di abrogazione di carattere dogmatico anzichè di una di diritto positivo -- che le leggi regionali in esame non debbono essere considerate abrogate, ragioni essenziali di certezza del diritto inducono questa Corte, di fronte a un diretto contrasto tra le disposizioni di legge regionale impugnate e i principi di riforma economico-sociale stabiliti dal ricordato art. 5-bis, a dichiarare l'illegittimità costituzionale delle norme sottoposte al proprio giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 3 della legge della Regione siciliana 29 dicembre 1975, n. 88 (Interventi per la difesa e conservazione del suolo ed adeguamento delle strutture operative foresta- li), dall'art. 4, commi primo e secondo, della legge della Regione siciliana 16 agosto 1974, n. 36 (Interventi straordinari nel settore della difesa del suolo e della forestazione) e dall'art. 1 della legge della Regione siciliana 18 novembre 1964, n. 29 (Nuove norme per l'acceleramento dell'esecuzione e dei pagamenti delle opere pubbliche), nella parte in cui prevede la determinazione dell'indennità di espropriazione in misura pari al valore venale dei suoli espropriati.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/05/95.