Sentenza n. 498 del 1993

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SENTENZA N. 498

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 48, primo comma, della legge regionale del Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo), promosso con ordinanza emessa il 12 novembre 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sul ricorso proposto dalla S.r.l. Corolla contro il Comune di Suno, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti gli atti di costituzione della S.r.l. Corolla e del Comune di Suno, nonchè l'atto di intervento della Regione Piemonte;

 

udito nell'udienza pubblica del 2 novembre 1993 il Giudice relatore Antonio BALDASSARRE;

 

udito l'Avv. Gustavo Romanelli per la Regione Piemonte.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, adito per la ripetizione di una somma versata a titolo di oneri di urbanizzazione, della quale l'attore contestava la legittimità in quanto riferita a un mutamento di destinazione d'uso di un immobile senza realizzazione di opere, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.48, primo comma, della legge della Regione Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo), per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in relazione all'art. 25, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie).

 

Dopo aver respinto due delle tre eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte nel giudizio principale dal convenuto Comune di Suno (difetto di valida procura, difetto di giurisdizione e irricevibilità del ricorso per tardività) - segnatamente quelle relative alla validità della procura e al difetto di giurisdizione - il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha considerato non manifestamente infondata, nonchè pregiudiziale rispetto alla decisione sul merito e a quella sulla ulteriore eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività, la questione di costituzionalità del citato art. 48, primo comma, il quale prevede la necessità della concessione anche per i mutamenti di destinazione d'uso degli immobili, pur se non comportanti interventi edilizi, se superiori a 700 metri cubi, ritenendolo in contrasto con il principio fondamentale della materia stabilito dall'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47 del 1985.

 

Infatti, precisa il giudice a quo, ove questa Corte annullasse la norma contestata ribadendo il principio stabilito dal citato art. 25 e affermato nella sentenza n. 73 del 1991, per il quale tutti i muta menti di destinazione d'uso senza opere possono essere sottoposti soltanto ad autorizzazione, si dovrebbe respingere l'eccezione di tardività del ricorso del giudizio principale (in quanto, cadendo la necessità della concessione, l'azione del ricorrente deve considerarsi legittimamente esperibile entro il termine di prescrizione) e si dovrebbe accogliere nel merito il medesimo ricorso.

 

Ad avviso del giudice rimettente, il contrasto fra l'impugnato art. 48, primo comma, che esige la concessione per i mutamenti di destinazioni d'uso senza interventi edilizi relativi a immobili di volume superiore a 700 metri cubi, e l'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47 del 1985, il quale, per i medesimi mutamenti, prevede, in certi casi, la sola autorizzazione, non potrebbe essere risolto in via interpretativa, dal momento che, conformemente alla giurisprudenza propria e del Consiglio di Stato, la norma contestata non può avere significato diverso da quello denunciato, in considerazione del fatto che l'art. 56 della stessa legge regionale n. 56 del 1977, nell'elencare gli interventi soggetti al regime autorizzatorio, non contempla i mutamenti di destinazione d'uso sopra indicati. Nè, sempre ad avviso dello stesso giudice a quo, il citato contrasto potrebbe esser definito in termini di abrogazione, poichè, trattandosi di fonti appartenenti a ordini normativi diversi, esso appare configurabile soltanto nei termini della illegittimità costituzionale.

 

2.- Mentre il Comune di Suno ha depositato il proprio atto di costituzione fuori termine, si è invece regolarmente costituita la società "Corolla", ricorrente nel giudizio a quo.

 

Nel richiedere l'accoglimento della questione nei termini prospettati dall'ordinanza di rimessione, la predetta società svolge argomenti coincidenti con quelli addotti dal giudice a quo, richiamando anch'essa il precedente della sentenza n. 73 del 1991. Tuttavia, sulla premessa della indubitabilità del contrasto denunciato, la parte costituita ritiene prioritaria la richiesta di una pronunzia d'infondatezza, basata sul riconoscimento dell'intervenuta abrogazione della norma impugnata ai sensi dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953, essendo la legge-quadro del 1985 successiva alla norma denunziata.

 

3.- La Regione Piemonte ha spiegato intervento nel presente giudizio, costituendosi tempestivamente per chiedere l'infondatezza o l'inammissibilità della dedotta questione e riservandosi di depositare ulteriori memorie.

 

4.- In prossimità dell'udienza la Regione Piemonte ha depositato una memoria, con la quale deduce, innanzitutto, l'irrilevanza della questione sotto diversi profili. Il primo motivo d'irrilevanza discenderebbe dal fatto che il giudice a quo non avrebbe motivato adeguatamente in ordine alle eccezioni preliminari prospettate dal Comune di Suno nel giudizio principale. Un ulteriore motivo d'irrilevanza deriverebbe, poi, dal fatto che il giudice a quo avrebbe dovuto seguire gradatamente l'ordine delle argomentazioni prospettate dal ricorrente del giudizio principale, poichè l'accoglimento del primo motivo del ricorso, secondo il quale al caso dedotto non sarebbe nemmeno applicabile la legge n. 10 del 1977 (trattandosi di immobile costruito prima dell'entrata in vigore della legge), renderebbe meramente eventuale la sollevata questione.

 

In terzo luogo, la Regione Piemonte ritiene che la questione sollevata sia inammissibile, in conseguenza del fatto che il contrasto tra l'art. 48, primo comma, della legge della Regione Piemonte e l'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47 del 1985 darebbe luogo all'abrogazione della norma denunziata, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953 (per il quale la contraddizione fra una norma regionale e un principio introdotto da una legge cornice successiva configura un'ipotesi di abrogazione della prima).

 

Oltre a prospettare un'ulteriore ragione d'inammissibilità per irrilevanza a causa della interpretazione palesemente errata data alla norma impugnata dal giudice a quo, la Regione Piemonte, nel merito, invita questa Corte a rivedere la decisione presa con la sentenza n. 73 del 1991, poichè la ragionevolezza della norma denunziata deriverebbe dal rilievo che quest'ultima non riguarderebbe indiscriminatamente tutti i mutamenti di destinazione d'uso, ma soltanto quelli relativi a immobili di rilevanti dimensioni (cioé di volume superiore a 700 metri cubi), immobili che, per la loro presunta importanza urbanistica ed economica, giustificherebbero il più intenso controllo amministrativo comportato dalla concessione. Sotto questo profilo, la Regione Piemonte conclude chiedendo una pronunzia di non fondatezza della questione proposta dal giudice a quo.

 

Considerato in diritto

 

l.- Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 48, primo comma, della legge regionale del Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo), per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in relazione al principio fondamentale della materia stabilito dall'art. 25, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie).

 

In particolare, il giudice rimettente - dopo aver ricordato che, secondo la giurisprudenza formatasi sulla norma impugnata, questa comporta che i mutamenti di destinazione d'uso relativi ad immobili di volume non inferiore a 700 metri cubi, ancorchè compiuti senza realizzazione di opere, sono soggetti a concessione edilizia comunale - ritiene che, così interpretato, l'art. 48, primo comma, della legge regionale n.56 del 1977 si ponga in insanabile contrasto con l'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47 del 1985, il quale, come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 73 del 1991, esclude che le modifiche funzionali degli immobili non connesse all'esecuzione di interventi edilizi possano essere sottoposte a concessione.

 

Su tale base, il giudice a quo chiede una pronunzia d'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, dal momento che il contrasto fra l'art. 48, primo comma, della legge regionale impugnata con il principio fondamentale stabilito dall'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47 del 1985 non potrebbe essere superato in via interpretativa.

 

Secondo lo stesso giudice, infatti, la sottoposizione a concessione dei mutamenti indicati nell'art. 48 sarebbe confermata dall'art. 56 della stessa legge regionale, il quale nell'elencare gli interventi soggetti ad autorizzazione, non include nella previsione i mutamenti di destinazione d'uso degli immobili, di volume superiore a 700 metri cubi, non connessi all'esecuzione di opere edilizie.

 

In via preliminare, la Regione Piemonte eccepisce l'inammissibilità della questione di costituzionalità sotto un triplice profilo: innanzitutto, questa sarebbe irrilevante, in quanto il giudice a quo non avrebbe adeguatamente motivato sulle varie eccezioni di inammissibilità opposte dal convenuto nel giudizio principale e, in particolare, su quella attinente all'asserito difetto di giurisdizione del giudice amministrativo; in secondo luogo, la medesima questione non sarebbe necessariamente pregiudiziale, dal momento che il giudice a quo, non avendo esaminato i motivi addotti dal ricorrente nell'ordine da questi seguito, non ha preso in considerazione il primo motivo d'inammissibilità che, se accolto, avrebbe fatto venire meno il presupposto per sollevare la questione ora in esame; infine, l'inammissibilità del giudizio di costituzionalità deriverebbe, altresì, dal fatto che la norma contestata, essendo incompatibile con un principio fondamentale successivamente stabilito da una legge statale, dovrebbe esser considerata, non già costituzionalmente illegittima, ma abrogata.

 

2.- La questione è inammissibile.

 

Premesso che, in base alla costante giurisprudenza costituzionale, l'autonomia del giudizio di costituzionalità rispetto a quello principale preclude a questa Corte, in assenza di vizi rilevabili ictu oculi, qualsiasi sindacato tanto in relazione alla sussistenza dei presupposti richiesti per la regolare instaurazione del giudizio a quo, quanto in relazione all'operato del giudice rimettente circa l'ordine con il quale egli ha ritenuto di affrontare i motivi di ricorso sottoposti al suo esame, nondimeno la dichiarazione d'inammissibilità della dedotta questione si rende necessaria non potendo ritenersi attualmente in vigore la norma di legge regionale oggetto di contestazione.

 

Nell'interpretazione costantemente seguita dalla giurisprudenza amministrativa e accolta dal giudice rimettente, l'art. 48, primo comma, della legge regionale n.56 del 1977, esige la concessione comunale per l'esecuzione dei mutamenti di destinazione d'uso relativi ad immobili di volume non inferiore a 700 metri cubi, anche se compiuti senza realizzazione di opere. Tuttavia, successivamente all'adozione della predetta disposizione è intervenuta la legge statale 28 febbraio 1985, n. 47, la quale all'art. 25, ultimo comma, ha stabilito una norma di principio sulla stessa materia contraria e incompatibile con quella oggetto del presente giudizio. Infatti, come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 73 del 1991, il ricordato art. 25, ultimo comma, stabilisce un principio fondamentale della materia, secondo il quale deve "ritenersi esclusa dal regime della concessione ogni ipotesi di mutamento di destinazione non connessa con modifiche strutturali dell'immobile". Pertanto, anche in considerazione dell'art. 10, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62 - alla cui stregua "le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali (...) abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse" -, l'art. 48, primo comma, della legge della Regione Piemonte n. 56 del 1977 deve considerarsi abrogato nella parte in cui richiede la concessione comunale per i mutamenti di destinazioni d'uso degli immobili ivi indicati non connessi all'esecuzione di interventi edilizi.

 

Poichè, dunque, la norma di legge regionale, la cui legittimità costituzionale è contestata dal giudice a quo, non è attualmente in vigore, la relativa questione deve esser dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.48, primo comma, della legge della Regione Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 (Tutela ed uso del suolo), sollevata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 dicembre 1993.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Antonio BALDASSARRE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il31/12/1993