Ordinanza n. 130 del 1995

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ORDINANZA N. 130

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 491, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 gennaio 1994 dal Pretore di Padova - sezione distaccata di Montagnana - nel procedimento penale a carico di Pestillo Sandro ed altri, iscritta al n. 321 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

RITENUTO che il Pretore di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 491, primo comma, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che il Pretore possa prendere visione del fascicolo del pubblico ministero ai soli fini della valutazione della fondatezza dell'eccezione d'incompetenza per territorio"; che, ad avviso del remittente, la mancata previsione dell'udienza preliminare nel rito pretorile comporterebbe la pratica impossibilità di valutare compiutamente l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dal difensore dell'imputato, poichè il giudicante non conosce il contenuto del fascicolo del pubblico ministero (contrariamente al giudice dell'udienza preliminare che ne ha conoscenza integrale) ma deve comunque decidere allo stato degli atti, entro il termine previsto dalla norma impugnata ("subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti"); che siffatta disciplina, in conseguenza, si porrebbe in contrasto: - con l'art. 3 della Costituzione: determinando una ingiustificata disparità di trattamento degli imputati nel rito pretorile in raffronto a quelli avanti il Tribunale; - con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione: "non potendo l'imputato eccepire validamente la violazione di norme processuali"; - con l'art. 25, primo comma, della Costituzione: perchè sarebbe di fatto consentito al pubblico ministero di citare l'imputato innanzi ad un giudice diverso da quello naturale senza che questi possa verificare la propria competenza; che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità, o comunque per l'infondatezza della questione.

CONSIDERATO che, in linea generale, la questione coinvolge il nucleo essenziale del nuovo processo penale giacchè pone in discussione proprio la separazione, tipica della scelta accusatoria, che distingue la fase delle indagini da quella del giudizio: separazione che il legislatore delegante prima, e quello delegato poi, hanno inteso rimarcare al punto di distinguere lo stesso "patrimonio delle conoscenze" del giudice a seconda del differente stadio in cui si articola il progredire della vicenda processuale (cfr. sent. n. 91 del 1992); che, sotto il profilo dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, risulta manifestamente errato quanto il remittente deduce in ordine all'asserita preclusione per l'imputato di produrre elementi probatori a sostegno dell'eccezione d'incompetenza, poichè, al contrario, quest'ultimo ha integrale conoscenza, ai sensi dell'art. 555, lett. g), del codice di procedura penale, del contenuto del fascicolo del pubblico ministero, nonchè facoltà di estrarne copia, e quindi ampia possibilità di sostenere adeguatamente ogni eccezione difensiva, in adempimento dell'onere previsto dall'art. 187, secondo comma, dello stesso codice; che, quindi, l'evidenziata parità di mezzi difensivi tra imputati nel rito pretorile e avanti al Tribunale rende altresì insussistente ogni censura sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione; che questa Corte ha già avuto occasione di rilevare che la competenza territoriale del giudice penale è disciplinata dalla legge in considerazione del luogo ove il reato è stato commesso, con finalità che attiene in modo prevalente alla economia processuale, sì da consentire che ivi si dia luogo alla miglior concentrazione delle attività del processo; il che spiega la minor rigidità della detta disciplina rispetto a quella stabilita per la competenza funzionale, la quale, invece, investe l'intrinseca idoneità del giudice alla funzione (v. sent. n. 77 del 1977; ord. n. 521 del 1991); che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio sancito dall'art. 25 della Costituzione tutela essenzialmente l'esigenza che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una garanzia rigorosa della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio attraverso la precostituzione per legge del giudice in base a criteri generali fissati in anticipo, e non in vista di singole controversie (v. ancora cit. sent. n. 77 del 1977 e ord. n. 521 del 1991); che, pertanto, la norma impugnata non contrasta in alcun modo con il contenuto del precetto costituzionale come sopra precisato, sia perchè re stano sempre chiaramente determinati in anticipo i criteri in base ai quali la competenza deve essere stabilita, in modo da dare all'interessato la certezza circa il giudice che lo deve giudicare, sia perchè l'imposizione di una disciplina particolarmente rigorosa per la proposizione dell'eccezione d'incompetenza territoriale corrisponde alla richiamata peculiare natura di tale competenza, per cui il legislatore può legittimamente ritenere, nella sua discrezionalità, di limitare la possibilità di rilevarne i vizi a vantaggio dell'interesse all'ordine ed alla speditezza del processo (cfr. anche sentt. nn. 1 del 1965, 139 del 1971, 174 del 1975 e 77 del 1977); che di conseguenza la questione va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 491, primo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Padova - sezione distaccata di Montagnana - con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/04/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 14/04/95.