Sentenza n. 444 del 1994

CONSULTA ONLINE

 

 

SENTENZA N. 444

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Sicilia notificato il 24 novembre 1993, depositato in Cancelleria il 27 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro per le finanze di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, n. 43205 del 5 novembre 1992, trasmesso alla Presidenza della Regione Sicilia con nota dell'Intendenza di finanza di Ragusa n. 15044 del 22 settembre 1993, pervenuta il 25 settembre 1993, nella parte relativa all'approvazione del progetto di ripartizione dell'immobile sede dell'ex ufficio del Genio civile di Ragusa, ed iscritto al n. 39 del registro conflitto 1993.

 

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1994 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

uditi l'avv. Francesco Torre per la Regione Sicilia e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Regione Sicilia, con ricorso notificato il 24 novembre 1993, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine al decreto del Ministro per le finanze di concerto con quello dei lavori pubblici, n. 43205 del 5 novembre 1992, trasmesso alla Presidenza della stessa Regione con nota dell'Intendenza di finanza di Ragusa n. 15044 del 22 settembre 1993, pervenuta il 25 settembre 1993, nella parte relativa all'approvazione del progetto di ripartizione dell'immobile sede dell'ex ufficio del Genio civile di Ragusa.

 

La ricorrente ha premesso che con il d.P.R. 30 luglio 1950, n. 878, modificato con d.P.R. 1° luglio 1977, n. 683, recante norme di attuazione dell'art. 14, lett. f), g), i), s), dello statuto siciliano, sono state trasferite a quella Regione tutte le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di urbanistica e lavori pubblici - eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale - ed in materia di acque pubbliche in quanto non riconnesse ad opere pubbliche di interesse nazionale e, di conseguenza, anche gli uffici relativi, ivi compresi quelli del Genio civile con esclusione delle sezioni che esercitano le funzioni rimaste di competenza statale. Peraltro, l'art. 2 del citato d.P.R. n. 878 del 1950 e successive modificazioni non reca disposizioni sulle modalità del trasferimento alla Regione degli immobili sede di detti uffici, limitandosi a prevedere, al secondo comma, la redazione di verbali da parte di funzionari delegati dal ministero dei lavori pubblici e dalla Regione, relativamente alla consistenza degli arredi, delle macchine e delle attrezzature.

 

Il ministero delle finanze, con nota del 17 gennaio 1983 diretta al Provveditorato alle opere pubbliche per la Sicilia, aveva sostenuto l'applicabilità dell'art. 5 del d.P.R. 1° dicembre 1961, n. 1825, recante le norme di attuazione dello statuto siciliano in materia di demanio e patrimonio, secondo cui i beni oggetto del trasferimento dallo Stato alla Regione sono individuati con appositi elenchi da compilarsi dal ministero delle finanze di intesa con il ministero del tesoro, con gli altri ministeri interessati e con l'amministrazione regionale. Il Provveditorato alle opere pubbliche, osserva la ricorrente, aveva, nell'arco di poco più di un anno, trasmesso al predetto ministero delle finanze gli elaborati necessari all'individuazione degli immobili, ma poi, nonostante un sollecito della Regione, la procedura non aveva avuto luogo.

 

Dopo oltre cinque anni, si legge nel ricorso, il ministero delle finanze incaricava il Provveditorato alle opere pubbliche di approntare dei piani di ripartizione degli immobili in questione tra lo Stato e la Regione, piani che, in molti casi modificati in peius dallo stesso ministero, quanto alla quota dei locali di spettanza regionale, venivano trasmessi per l'accettazione alla Presidenza della Regione. In particolare, per quanto riguarda la sede del Genio civile di Ragusa, la locale intendenza di finanza, dietro istruzioni del ministero, con nota del 20 luglio 1991, assegnava un termine perentorio alla Regione per la restituzione col visto di accettazione del progetto di ripartizione, con l'avvertenza che in caso di inottemperanza si sarebbe ugualmente provveduto alla emanazione del decreto di trasferimento. La Regione offriva, invece, di cedere, per il riattamento ad ufficio, l'appartamento per alloggio dell'ex ingegnere capo, ritenuto sufficiente per la attività dei due o tre impiegati addetti al disimpegno delle residue funzioni statali. Ma il ministero emanava ugualmente l'annunciato decreto, in ordine al quale la Regione Sicilia solleva oggi conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in quanto l'approvazione del piano di riparto dei locali del Genio civile di Ragusa si tradurrebbe in una menomazione delle competenze regionali in subiecta materia, dato il nesso di strumentalità che lega i primi alle seconde.

 

La ricorrente chiede l'annullamento del decreto impugnato, che ritiene illegittimo per violazione dell'art. 14, lett. f), g), i), s), dello statuto siciliano e del d.P.R. n. 878 del 1950, modificato con d.P.R. n. 683 del 1977. Osserva, al riguardo, che ai sensi dell'art. 2, secondo comma, del detto d.P.R.n. 878, il trasferimento degli uffici che esercitano funzioni nelle materie attribuite alla Regione comporta la successione allo Stato nei diritti ed obblighi inerenti agli immobili sede degli uffici stessi.

 

Ma, anche a voler ammettere il potere ministeriale di ripartizione di tali immobili, la quota dei locali sottratti alla Regione sarebbe sproporzionata rispetto alle esigenze del personale addetto alle residue funzioni statali. Il piano di ripartizione destina, infatti, alla sezione statale una quota di uffici pari a quella prevista per le sezioni regionali.

 

In linea subordinata, il decreto in esame viene impugnato per violazione dell'art. 43 dello statuto siciliano e dell'art. 5 del d.P.R. 1° dicembre 1961, n. 1825, osservandosi che la eventuale lacunosità riscontrata nelle norme di attuazione dello statuto quanto al passaggio degli uffici dallo Stato alla Regione non potrebbe che essere risolta con norme integrative emanate col procedimento previsto dall'art. 43 dello stesso statuto - che attribuisce il potere di determinare le norme transitorie in materia ad una commissione paritetica di quattro membri nominati dall'Alto commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato - ovvero mediante applicazione analogica di disposizioni contenute in altre norme d'attuazione, e mai con un atto unilaterale. Del resto, il procedimento seguito sarebbe in contraddizione con il precedente orientamento del ministero delle finanze di seguire la via dell'intesa di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 1825 del 1961, alla quale la Regione sarebbe stata pronta ad aderire.

 

La ricorrente denuncia, infine, la violazione dell'art. 97 Cost., rilevando che l'esclusione dal trasferimento alla Regione della metà dell'immobile in questione costringerà nell'altra metà la maggior parte dell'ufficio del Genio civile, costituita da circa ottanta dipendenti, con conseguenze negative nell'esercizio di una delicata attività tecnica ed in contrasto, quindi, con il principio di buon andamento della amministrazione.

 

2. - Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, ed ha presentato successivamente ampia memoria, che, quanto al primo motivo del ricorso, ne ha eccepito la inammissibilità, trattandosi, in sostanza, di una "reivindicatio", nonchè la infondatezza, in quanto non puo' asserirsi che l'immobile in questione sia stato trasferito ope legis alla Regione, occorrendo all'uopo un atto di individuazione dei beni da trasferire.

 

Inammissibile sarebbe poi, il secondo profilo del primo motivo di ricorso, come anche il terzo motivo, attinenti al merito amministrativo.

 

Quanto al secondo motivo, l'Avvocatura ritiene non necessaria nè opportuna la produzione di una norma di attuazione ad hoc, ossia di un provvedimento legislativo recante un elenco di beni da trasferire, e rileva che generalmente l'individuazione di tali beni è stata operata con atti amministrativi statali.

 

Riguardo, poi, alla mancata intesa si osserva che la ricorrente non ha concretamente collaborato alla compilazione dell'elenco relativo al bene in questione e che tale inerzia, trattandosi di intesa della specie "debole", non puo' che determinare l'ulteriore corso del procedimento.

 

Considerato in diritto

 

1. Il conflitto di attribuzione trae origine dall'impugnativa, da parte della Regione Sicilia, del decreto del Ministro delle finanze di concerto con quello dei lavori pubblici n. 43205 del 5 novembre 1992, con il quale è stato approvato il progetto di ripartizione tra lo Stato e la stessa Regione dell'immobile sede dell'ex ufficio del genio civile di Ragusa, per l'esercizio, rispettivamente, delle funzioni residuate alla competenza statale e di quelle trasferite alla competenza regionale nella materia delle opere pubbliche.

 

La ricorrente si duole in via principale che l'atto in questione violi la competenza legislativa esclusiva ad essa attribuita nella materia dall'art. 14, lett. f), g), i), s), dello statuto siciliano e relative norme di attuazione, contenute nell'art. 2 del d.P.R. n. 878 del 1950, modificato dal d.P.R. n. 683 del 1977, rilevando che tale disposizione prevede, per la parte che qui interessa, il passaggio alle dipendenze di quella regione de gli uffici del genio civile a competenza generale, con esclusione delle sezioni che esercitano funzioni rimaste di competenza statale (primo comma), e che tale trasferimento comporta la successione allo Stato nei diritti ed obblighi inerenti agli immobili sede degli uffici stessi (secondo comma). Non residuerebbe, pertanto, spazio per un ulteriore atto di trasferimento, sub specie di "piano di ripartizione". Ma, pur ammessa che sia una siffatta possibilità, il decreto impugnato incorrerebbe in una ulteriore violazione del citato d.P.R. n. 878 del 1950, sottraendo alla Regione una quota dei locali già sede dell'ufficio del genio civile di Ragusa "macroscopicamente sproporzionata" rispetto alle esigenze del personale addetto all'esercizio delle residue funzioni statali.

 

In linea subordinata rispetto al primo dei due profili del ricorso sopra evidenziati, la ricorrente deduce la violazione dell'art. 43 dello statuto siciliano, che prevede una procedura ad hoc per la emanazione delle norme di attuazione dello statuto stesso e delle norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla Regione. Procedura non adottata nella specie, così come inattuate sarebbero rimaste le disposizioni contenute in altra normativa e che pure si sarebbero potute applicare. In particolare, la ricorrente si richiama all'art. 5 del d.P.R. 1° dicembre 1961, n.1825, recante le norme di attuazione dello statuto siciliano in materia di demanio e patrimonio, secondo il quale i beni oggetto del trasferimento dallo Stato alla Regione sono individuati con appositi elenchi da compilarsi dal ministero delle finanze di intesa con quello del tesoro, con gli altri ministeri interessati e con l'amministrazione regionale.

 

Il decreto impugnato, infine, a giudizio della Regione Sicilia, si porrebbe in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, riducendo alla sola metà dello stabile sede dell'ex ufficio del genio civile di Ragusa lo spazio riservato al personale regionale per l'espletamento della delicata attività tecnica in questione.

 

2. Così precisati i termini del conflitto, in via pregiudiziale occorre esaminare la eccezione di inammissibilità dello stesso, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato con riferimento, in particolare, al primo motivo del ricorso, che non atterrebbe ad una vindicatio potestatis, cioè ad una asserita lesione di competenze regionali, bensì ad una rivendicazione della proprietà.

 

L'eccezione non è fondata. Non tanto e non solo perchè non puo' disconoscersi il nesso di strumentalità evidenziato dalla ricorrente, che collega, anche ai fini della sua identificazione, il bene in questione - e cioé, l'immobile destinato ad ufficio del genio civile di Ragusa - all'esercizio delle funzioni in materia di opere pubbliche, di competenza regionale (v. sent. n. 351 del 1991).

 

La ragione di fondo della non configurabilità del conflitto in esame come mera vindicatio rei risiede nel fatto che oggetto sostanziale del contendere è proprio l'asserita lesione di competenze regionali e non, invece, una questione attinente alla titolarità del diritto di proprietà sul bene.

 

Se si esamina il ricorso nel suo complesso, e non nelle singole articolazioni, e collegando i vari motivi di impugnazione, appare certo un dato, e cioé che la Regione Sicilia non si limita a chiedere l'accertamento dell'appartenenza di determinati beni che assume devoluti al proprio patrimonio indisponibile e indebitamente trattenuti dallo Stato. La ricorrente muove, invece, dal presupposto che il trasferimento degli immobili sede degli uffici ad essa devoluti per l'esercizio delle attribuzioni spettantile in materia di opere pubbliche è avvenuto ope legis in attuazione dello statuto siciliano, con il d.P.R. n. 878 del 1950.

 

Tale presupposto risulta esatto. Il trasferimento alla Regione siciliana, in connessione con l'attribuzione ad essa delle funzioni nella materia, degli uffici del genio civile a competenza generale, con esclusione delle sezioni che esercitano le funzioni rimaste di competenza statale (quelle, cioé, relative alle grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale), comporta, ai sensi del secondo comma dell'art. 1 del d.P.R. n. 878 del 1950, modificato dall'art. 2 del d.P.R. n. 683 del 1977, anche la devoluzione degli immobili sede degli uffici stessi e del relativo arredamento. Il trasferimento dell'edificio e delle connesse pertinenze è, pertanto, avvenuto ope legis, in base alle norme di attuazione dello statuto. Tale devoluzione con effetto traslativo automatico è seguita dalla redazione degli elenchi dei beni assegnati alla Regione stessa, cui fa riferimento l'art. 5 del d.P.R. 1° dicembre 1961, n. 1825. L'inclusione in tali elenchi presuppone il trasferimento esplicando un effetto meramente ricognitivo.

 

Posta questa premessa, appare evidente, dal raccordo tra i motivi del ricorso, che la impugnativa della Regione Sicilia non è intesa ad una rivendicazione del titolo di proprietario del bene ma attiene alla richiesta di una declaratoria di non esclusiva spettanza in capo allo Stato di una particolare attribuzione, quella relativa alla potestà di individuazione delle sedi degli uffici per l'espletamento delle funzioni residuate allo Stato nelle materie di competenza regionale.

 

E certamente la controversia intorno alla spettanza di tale potere, direttamente connesso all'attuazione dello statuto siciliano, è idonea a produrre un conflitto attuale di attribuzione tra Stato e Regione.

 

Ancora e più precisamente, la ricorrente lamenta che lo Stato, nell'espletamento dell'attività di cui si tratta, a cagione dell'esercizio illegittimo di essa, e cioé per non avere consentito alla Regione stessa di partecipare al procedimento di individuazione dei beni ad esso residuati, abbia menomato le competenze regionali.

 

Ora, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il conflitto di attribuzione puo' essere proposto non solo per rivendicare la titolarità di attribuzioni costituzionalmente conferite, ma anche per la difesa di proprie competenze di natura costituzionale che si suppongono lese dall'esercizio illegittimo di poteri altrui (v., da ultimo, sentt. nn. 211 e 126 del 1994, con i precedenti ivi richiamati).

 

3.1. Nel merito la Corte osserva che in base all'art. 14 dello statuto speciale per la Sicilia (R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455) lett. f), g), i), s), è attribuita alla Regione in via esclusiva la potestà legislativa, tra le altre, nelle materie rispettivamente dell'urbanistica, dei lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale, delle acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche di interesse nazionale, e della espropriazione per pubblica utilità; alla stregua dell'art. 20 sono demandate al Presidente ed alla giunta le funzioni esecutive ed amministrative concernenti le materie anzidette.

 

L'art. 43 attribuiva ad una commissione paritetica di quattro membri, nominati dall'alto commissario della Sicilia e dal governo dello Stato, la determinazione delle norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello Stato alla Regione, nonchè le norme per l'attuazione dello statuto. Tali norme, nella materia delle opere pubbliche, sono state dettate dal d.P.R.30 luglio 1950, n. 878, che, all'art. 2, primo comma, modificato dall'art.1 del d.P.R. 1° luglio 1977, n. 683, stabilisce che per l'esercizio delle attribuzioni spettanti alla regione nelle materie sopra elencate passano alle dipendenze di questa, per quanto qui interessa, "gli uffici del genio civile, a competenza generale, con esclusione delle sezioni, anche se autonome, che esercitano le funzioni rimaste di competenze statale". Il secondo comma dello stesso articolo precisa che il trasferimento alla Regione dei predetti uffici comporta "la successione allo Stato nei diritti ed obblighi inerenti agli immobili sede degli uffici stessi e del relativo arredamento".

 

Il citato testo legislativo, peraltro, non contiene specificazioni in ordine alle modalità del trasferimento dei predetti immobili.

 

Sicchè lo stesso ministero delle finanze, in una nota del 17 gennaio 1983, diretta al provveditorato alle opere pubbliche per la Sicilia, aveva ritenuto applicabile, per l'individuazione delle sedi degli uffici in questione, l'art. 5 del d.P.R. 1° dicembre 1961, n. 1825, recante le norme di attuazione dello statuto in materia di demanio e patrimonio. La disposizione ricordata prevede che l'individuazione dei beni demaniali e patrimoniali disponibili e indisponibili - della cui ultima categoria fanno parte, ai sensi dell'art. 33, secondo comma, dello statuto, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici - sia effettuata con appositi elenchi da compilarsi dal ministero delle finanze di intesa con quello del tesoro, con gli altri ministeri interessati e con l'amministrazione regionale. Tale procedimento non è stato, poi, di fatto, seguito, e lo Stato ha provveduto unilateralmente, con il decreto impugnato - adottando uno schema che, se mai, si accosta a quello previsto dall'art.11, quinto comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, per la individuazione dei beni da trasferire alle Regioni a statuto ordinario - a ripartire l'immobile sede dell'ex ufficio del genio civile di Ragusa in due parti, una delle quali da trasferire alla Regione siciliana, l'altra destinata all'espletamento dei residui compiti dello Stato in materia di opere pubbliche.

 

3.2. Siffatta procedura appare in contrasto con il principio di leale cooperazione cui deve ispirarsi il sistema complessivo dei rapporti tra Stato e Regione, ed al quale è connaturato l'istituto dell'intesa, invocato in modo appropriato dalla ricorrente quale strumento di necessaria codeterminazione dell'atto in questione, alla stregua del citato art. 5 del d.P.R. n. 1825 del 1961.

 

Nè puo' l'obbligo di collaborazione a carico dello Stato ritenersi adempiuto, con la conseguenza di legittimare una sua decisione unilaterale, per il rilievo che si sia soddisfatto un mero onere di informazione, come nel caso concreto è avvenuto.

 

L'intendenza di finanza di Ragusa, su istruzioni impartite dal ministero, ha, infatti, con nota del 20 luglio 1991, trasmesso alla Regione Sicilia il progetto di ripartizione dell'immobile in questione, per la restituzione con il visto, con l'avvertenza che, in caso di mancata restituzione entro il termine del 15 settembre 1991, si sarebbe ugualmente provveduto alla emissione del decreto di trasferimento.

 

L'intesa, come più volte ha chiarito la Corte, è una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto comporta che i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano in relazione alla decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta tra il soggetto cui la decisione è giuridicamente imputata e quello la cui volontà deve concorrere alla decisione stessa (v. sentt. nn. 116 del 1994, 21 del 1991, 220 del 1990).

 

Ora, per quanto, nella fattispecie, l'intesa prevista possa considerarsi del tipo "debole", come sostiene l'Avvocatura, nel senso che il mancato raggiungimento di essa non possa essere di ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento - attesa la preminenza dell'interesse generale ad una tempestiva individuazione dei locali di cui è questione -, occorre, pero', almeno che l'autorità statale si attivi per promuovere la necessaria collaborazione dell'ente regionale, attraverso una richiesta, e, quindi, una fase di contatto che, come già evidenziato dalla Corte (sentt. nn. 482 e 21 del 1991), superi il rigido schema della sequenza non coordinata di atti unilaterali da parte dell'uno e dell'altro ente.

 

Tema, questo delle intese tra le amministrazioni pubbliche, specificamente affrontato anche dalla legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo.

 

É pacifico che nella fattispecie manca una siffatta richiesta di partecipazione della Regione al procedimento di formazione dell'atto nè risulta una effettiva volontà da parte dello Stato di addivenire ad una definizione concordata del contenuto dell'atto stesso.

 

Restano, così, assorbiti gli altri motivi del ricorso.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che non spetta allo Stato approvare il progetto di ripartizione dell'immobile sede dell'ex ufficio del genio civile di Ragusa senza la partecipazione della Regione Sicilia al relativo procedimento; conseguentemente, annulla il decreto del ministro per le finanze, di concerto con quello dei lavori pubblici, n. 43205 del 5 novembre 1992. 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 23/12/1994.