Sentenza n.306 del 1994

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SENTENZA N. 306

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE Presidente

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23 (Concessione di amnistia per reati tributari), promosso con ordinanza emessa l'11 ottobre 1993 dal Tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di De Pietro Rocco, iscritta al n. 761 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 1994 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza dell'11 ottobre 1993 (R.O. 761 del 1993), emessa nel corso di un procedimento penale a carico di De Pietro Rocco, il Tribunale di Genova ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, nella parte in cui non consente a coloro che abbiano già composto, in via amministrativa, pendenze tributarie in forza di precedenti provvedimenti di condono, "di beneficiare dell'amnistia, per periodi d'imposta non definibili secondo le disposizioni del titolo VI della legge 30 dicembre 1991, n. 413".

Premette il remittente che l'imputato si è avvalso del condono tributario previsto dall'art. 8 del decreto- legge n. 83 del 1991, convertito nella legge n. 154 del 1991, per "violazioni tributarie di tipo formale relative all'anno 1990", riconducibili alle previsioni dell'art. 1, sesto comma, del decreto-legge n. 429 del 1982, convertito, con modificazioni, nella legge n. 516 del 1982 (come modificato dalla legge n. 154 del 1991), fermi restando gli effetti penali della compiuta violazione, punita con eguale sanzione anche sotto il vigore della già menzionata legge n. 154 del 1991.

In relazione a ciò, l'ordinanza assume una disparità di trattamento, priva di giustificazione, tra chi ha definito in sede amministrativa pendenze tributarie prima dell'entrata in vigore del d.P.R.20 gennaio 1992, n. 23, senza conseguire l'estinzione del reato, e chi, invece, avvalendosi delle disposizioni della legge n. 413 del 1991, ha composto in epoca successiva dette pendenze, fruendo, così, dell'amnistia.

1.2.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Rilevato che "l'ordinanza di rinvio non è chiaramente comprensibile", per non essere resi espliciti "il reato oggetto del processo" nonchè "la ragione della esclusione della amnistiabilità", e supponendo che "il Tribunale dovesse pronunziarsi su di una violazione di tipo formale", l'Avvocatura osserva che, nella specie, l'esclusione dall'amnistia del reato su cui il giudice remittente deve, verosimilmente, pronunziarsi discende non dall'avere l'imputato usufruito, per le sanzioni amministrative, del beneficio (c.d. minicondono) di cui all'art. 8 del decreto-legge n. 83 del 1991, bensì dalla circostanza che detta violazione non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi di reato alle quali l'art. 1 del d.P.R. n. 23 del 1992 ricollega la possibilità di fruire del provvedimento di clemenza.

Considerato in diritto

1.- La Corte è chiamata a stabilire se l'art. 1, primo comma, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, violi l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non consente, a coloro che si siano avvalsi di precedenti provvedimenti di condono, di beneficiare dell'amnistia, per periodi di imposta non definibili secondo le disposizioni del titolo VI della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

Il giudice remittente, chiamato in sede penale a giudicare una violazione tributaria sanzionata dall'art.1, sesto comma, del decreto-legge n. 429 del 1982, convertito, con modificazioni, nella legge n. 516 del 1982, assume l'illegittimità della disposizione impugnata, in quanto la stessa discriminerebbe coloro che hanno sanato in sede amministrativa le pendenze tributarie in base alle disposizioni di cui all'art. 8 del decreto- legge n. 83 del 1991, senza conseguire il beneficio dell'estinzione del reato, rispetto a coloro che, invece, avvalendosi delle disposizioni della legge n. 413 del 1991, hanno definito in epoca successiva dette pendenze, potendo fruire dell'amnistia prevista per l'appunto dalla norma impugnata.

2.- Va premesso, quanto all'individuazione dell'oggetto del processo a quo, ai fini del controllo della rilevanza della proposta questione, che può ritenersi sufficiente il richiamo dell'ordinanza all'art.1, sesto comma, del decreto-legge n. 429 del 1982, convertito, con modificazioni, nella legge n. 516 del 1982.

La questione è da ritenere, tuttavia, inammissibile, in quanto viene richiesto alla Corte un intervento additivo volto ad estendere la portata dell'amnistia prevista dal d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23, sì da ricomprendervi accanto alle pendenze tributarie definite, in via amministrativa, alla stregua delle disposizioni di cui alla legge n. 413 del 1991, anche quelle che avevano formato oggetto del condono fiscale previsto dal precedente decreto-legge n. 83 del 1991.

In proposito, è sufficiente rammentare il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, in sede di giudizio di legittimità costituzionale, non sono consentiti interventi volti ad ampliare la sfera di applicabilità dei provvedimenti di amnistia, dal momento che la determinazione di un siffatto ambito è rimessa, sulla base del precetto contenuto nell'art. 79 della Costituzione, all'esclusiva competenza del legislatore (da ultimo, ordinanza n. 452 del 1993).

Non va, d'altro canto, ignorata l'altra affermazione, del pari desumibile dalla giurisprudenza della Corte, secondo la quale la differente disciplina delle situazioni tributarie esaurite, rispetto a quelle ancora pendenti, non può, in linea generale, reputarsi lesiva del principio di eguaglianza (sentenza n. 32 del 1976; ordinanza n. 539 del 1987).

3.- Le esposte considerazioni esimono la Corte dall'affrontare la questione prospettata nella memoria dell'Avvocatura dello Stato, con conclusioni peraltro negative, della possibilità o meno di ricondurre la fattispecie all'esame del giudice a quo ad uno dei casi contemplati dalla legge successivamente emanata e, conseguentemente, della facoltà o meno per il contribuente di avvalersi, nonostante la definizione della pendenza ai sensi del precedente decreto-legge n. 83 del 1991, del procedimento di condono fiscale e del conseguente beneficio dell'amnistia, in base al combinato disposto del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23 e della legge 30 dicembre 1991, n. 413. Trattasi, infatti, di questione di carattere interpretativo, che esula dal thema decidendum e dal sindacato di costituzionalità della norma impugnata, nei termini in cui esso è stato rimesso all'esame di questa Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, del d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23 (Concessione di amnistia per reati tributari) sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 06/07/94.

Gabriele PESCATORE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 Luglio 1994.