Sentenza n. 268 del 1994

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SENTENZA N. 268

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di dirittive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 26 maggio 1993 dal Pretore di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Arena Salvatore ed altri e la s.r.l. WHIRLPOOL Italia, Divisione Aspera, iscritta al n. 582 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.41, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di costituzione della s.r.l. Whirlpool Italia, Divisione Aspera;

udito nell'udienza pubblica del 26 aprile 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Giacinto Favalli, Carlo Mezzanotte, Rosario Flammia e Paolo Tosi per la s.r.l. Whirlpool, Divisione Aspera.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di due giudizi riuniti, promossi da Salvatore Arena ed altri e da Luigi Lopez contro la S.r.l. Whirlpool Italia per ottenere la declaratoria di illegittimità dei licenziamenti loro intimati e la reintegrazione nei rispettivi posti di lavoro, con gli ulteriori provvedimenti di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970, il Pretore di Torino, con ordinanza del 26 maggio 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt.3, 39 e 41, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, "nella parte in cui prevede che un accordo sindacale possa derogare alla legge in relazione ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare stabiliti alle lettere a), b), c) della stessa norma".

Ad avviso del giudice remittente, l'efficacia del contratto collettivo di diritto comune è regolata dai principi privatistici del mandato. Perciò la norma impugnata - in quanto attribuisce alle associazioni sindacali il potere non solo di regolare il contenuto dei contratti individuali di lavoro, ma anche di dettare regole, in deroga a norme di legge, per la loro risoluzione, comprimendo il "diritto dei singoli alla prosecuzione del rapporto" - viola: a) il principio di libertà di iniziativa economica, il quale garantisce anche l'autonomia contrattuale dei singoli prestatori di lavoro subordinato; b) il principio di libertà di organizzazione sindacale, al quale è estraneo il potere delle associazioni sindacali di stipulare "qualsiasi negozio destinato a produrre effetti nei confronti di un singolo rapporto di lavoro": l'associazione sindacale, in base al mandato conferitole dagli associati, non diventa titolare anche dei diritti del singolo inerenti alla risoluzione del rapporto di lavoro.

É denunciata inoltre la violazione dell'art. 3 Cost. e ancora degli artt. 39 e 41, primo comma, Cost., sul riflesso che ai contratti collettivi previsti dall'art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991 è attribuita efficacia ergaomnes senza le condizioni cui tale efficacia è subordinata dal quarto comma dell'art. 39 Cost. La questione è ritenuta rilevante anche sotto questo ulteriore profilo perchè "nella specie buona parte dei ricorrenti non è iscritta ad alcuna associazione sindacale".

2. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita la società Whirlpool Italia chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.

L'inammissibilità è dedotta sia per il fatto che i ricorrenti o hanno stipulato specifici atti di transazione della lite o non hanno impugnato il licenziamento nei termini di legge, sia perchè la rilevanza della questione è motivata in ragione della pretesa necessità di valutare, alla luce dei richiamati parametri costituzionali, se un accordo sindacale possa "derogare a norme di legge in materia di risoluzione del contratto di lavoro senza violare i diritti dei singoli", mentre è proprio la legge ad attribuire, in via principale, alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità".

I criteri legali hanno una funzione sussidiaria, essendo destinati ad operare solo in mancanza di accordi sindacali sul punto.

Nel merito la difesa della società osserva che l'ordinanza di rimessione muove da un presupposto completamente errato, quasi che nel caso in esame la fonte costitutiva della risoluzione dei singoli contratti di lavoro e delle modalità della stessa fosse l'accordo sindacale, anzichè l'atto unilaterale di recesso posto in essere dal datore di lavoro in conformità dell'accordo, rispetto al quale i criteri legali di scelta hanno natura di norma suppletiva. I contratti collettivi, cui rinvia la norma impugnata, sono un esempio di "quegli accordi che vengono qualificati da dottrina e giurisprudenza come accordi gestionali o di procedimentalizzazione, i quali contengono i dei lavoratori "collocati in mobilità".

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, l'autonomia contrattuale dei singoli è tutelata a livello di Costituzione solo indirettamente, in quanto strumento di esercizio di libertà costituzionalmente garantite (cfr. sentenze nn. 89 del 1984, 159 del 1988, 241 del 1990). L'art. 41 radice l'ipotizzabilità di una collisione col principio di libertà sindacale di cui all'art. 39 Cost. da parte di una legge la quale, come nel nostro caso, attribuisce all'autonomia collettiva la funzione di controllo e limitazione del potere di licenziamento collettivo". In questo senso si è pronunciata ripetutamente la Corte di cassazione in relazione agli accordi sindacali, anteriori alla legge n. 223 del 1991, in tema di criteri di selezione dei lavoratori da collocare in Cassa integrazione guadagni.

Viene pure richiamata la sentenza n. 694 del 1988 di questa Corte, secondo cui "legittimamente ed utilmente opera il potere rappresentativo e negoziale degli organismi sindacali, soprattutto di fabbrica, in funzione di temperamento del potere imprenditoriale".

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, "nella parte in cui prevede che un accordo sindacale possa derogare alla legge in relazione ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare stabiliti alle lettere a), b), c) della stessa norma".

2. La Società Whirlpool Italia ha eccepito l'inammissibilità della questione per il duplice motivo, da un lato, che i lavoratori in causa o hanno stipulato specifici atti di transazione della lite o non hanno impugnato tempestivamente il licenziamento, dall'altro, che il giudice rimettente ha ritenuto rilevante la questione alla stregua di una interpretazione errata della norma denunziata.

L'eccezione non può essere accolta.

Sotto il primo profilo, essa è fondata su circostanze di fatto, delle quali l'accertamento e la valutazione spettano esclusivamente al giudice del merito; sotto l'altro profilo è contraddetta dalla giurisprudenza costante di questa Corte, secondo cui, ai fini dell'ammissibilità della questione, è sufficiente che la rilevanza sia coerentemente motivata sulla base di premesse non manifestamente implausibili (cfr., da ultimo, sent. n. 183 del 1994).

3. La questione non è fondata.

Improprio è anzitutto il riferimento all'art. 41, primo comma, Cost., richiamato per primo nella sequenza argomentativa dell'ordinanza di rimessione, sul riflesso che esso garantirebbe l'autonomia privata dei singoli, e in particolare "la libertà di ciascun singolo di stipulare un contratto di lavoro subordinato con l'imprenditore, nonchè di risolverlo secondo le norme vigenti". La censura non è comprensibile se non collegandola all'assunto, palesemente insostenibile, che il contratto collettivo cui rinvia l'art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991 sia "destinato a produrre effetti nei confronti di un singolo rapporto di lavoro", sia cioé, esso stesso, la causa immediata della risoluzione del rapporto individuale nei confronti di un singolo rapporto di lavoro", sia pure cioé, esso stesso, la causa immediata della risoluzione del rapporto individuale nei confronti dei lavoratori "collocati in mobilità".

Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, l'autonomia contrattuale dei singoli è tutelata a livello di Costituzione solo indirettamente, in quanto strumento di esercizio di libertà costituzionalmente garantite (cfr. sentenze nn. 89 del 1984, 159 del 1988, 241 del 1990).

L'art. 41 tutela l'autonomia negoziale come mezzo di esplicazione della libertà di iniziativa economica, la quale si esercita normalmente in forma di impresa. Chi stipula un contratto di lavoro subordinato con un imprenditore non assume, per parte sua, una iniziativa economica, bensì accetta di essere inserito nell'organizzazione produttiva costituita dall'iniziativa della controparte.

4. In riferimento all'art. 39 Cost. la norma impugnata è ritenuta lesiva:

a) dell'art. 39, primo comma, in quanto eccederebbe i limiti di competenza dell'autonomia collettiva attribuendo ai sindacati maggiormente rappresentativi (ai sensi dell'art. 19 della legge n. 300 del 1970) il potere di disporre del diritto dei singoli alla stabilità del posto di lavoro, in deroga ai criteri legali di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità;

b) dell'art. 39, quarto comma, perchè ai contratti collettivi da essa richiamati conferisce efficacia vincolante anche per i lavoratori non aderenti ai sindacati stipulanti, senza le condizioni alle quali l'efficacia erga omnes del contratto collettivo è subordinata dalla norma costituzionale.

La censura sub a) prende le mosse da una interpretazione che, rovesciando l'ordine logico delle due parti in cui si articola la disposizione in esame, attribuisce alla seconda, dove sono enunciati tre criteri di scelta in concorso tra loro, carattere di norma imperativa, alla quale la prima parte autorizzerebbe deroghe ad opera della contrattazione collettiva. Perciò i contratti collettivi cui fa rinvio l'art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991 sarebbero da annoverare nella categoria degli "accordi sindacali in deroga", analogamente agli accordi sindacali autorizzati dall'art. 4, comma 11, a derogare all'art. 2103 cod. civ.

La lettera della legge resiste insuperabilmente a una simile interpretazione. La disposizione impugnata non prevede alcun potere sindacale di deroga a norme imperative di legge, bensì sostituisce alla determinazione unilaterale dei criteri di scelta, originariamente spettante all'imprenditore nell'esercizio del suo potere organizzativo, una determinazione concordata con i sindacati maggiormente rappresentativi; essa tende a "procedimentalizzare" l'esercizio di un potere imprenditoriale. Solo in mancanza di accordo vengono in applicazione i criteri indicati nella seconda parte della disposizione, la quale, sotto questo aspetto, ha natura di norma suppletiva. La sussidiarietà della regola legale, intesa a favorire una gestione concordata della messa in mobilità dei lavoratori, risponde all'esigenza di adattamento dei criteri di individuazione del personale in soprannumero alle condizioni concrete dei processi di ristrutturazione aziendale, tenuto conto dei notevoli oneri finanziari imposti dalla nuova disciplina dell'intervento straordinario della Cassa integrazione guadagni alle imprese che si avvalgono delle procedure di mobilità dei lavoratori.

Così precisato il significato dell'art. 5, comma 1, gli accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non appartengono alla specie dei contratti collettivi normativi, i soli contemplati dall'art. 39 Cost., destinati a regolare i rapporti (individuali) di lavoro di una o più categorie professionali o di una o più singole imprese. Si tratta di un tipo diverso di contratto, la cui efficacia diretta - in termini di limiti e modalità di esercizio del potere di licenziamento finalizzato alla riorganizzazione del lavoro nell'impresa - si esplica esclusivamente nei confronti degli imprenditori stipulanti (o del singolo imprenditore nel caso di accordo aziendale). Il contratto collettivo, cui rinvia la norma in esame, incide sul singolo prestatore di lavoro indirettamente, attraverso l'atto di recesso del datore in quanto vincolato dalla legge al rispetto dei criteri di scelta concordati in sede sindacale.

5. Non vale obiettare che i contratti collettivi di cui si controverte, poichè regolano l'esercizio del potere di licenziamento in ordine alla selezione dei lavoratori da dismettere, dispongono in pari tempo del diritto dei singoli alla stabilità del posto (denominato nell'ordinanza di rimessione "diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro") e in questo senso sarebbero, essi pure, contratti normativi. Il diritto alla stabilità del posto non ha una propria autonomia concettuale, ma è nient'altro che una sintesi terminologica dei limiti del potere di licenziamento sanzionati dall'invalidità dell'atto non conforme, e quindi si risolve interamente nel diritto (potestativo) di impugnare il licenziamento illegittimo. In correlazione al recesso dell'imprenditore nell'ambito di una procedura di riduzione del personale, il diritto alla conservazione del posto non preesiste all'accordo sindacale, ma dipende da questo e si identifica col diritto all'applicazione dei criteri di scelta in esso previsti.

L'accordo non è valido - con conseguente annullabilità del recesso intimato dal datore di lavoro - quando è contrario a principi costituzionali o a norme imperative di legge.

Poichè adempie una funzione regolamentare delegata dalla legge, la determinazione pattizia dei criteri di scelta deve rispettare non solo il principio di non discriminazione sanzionato dall'art. 15 della legge n.300 del 1970, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell'obiettività e della generalità e devono essere coerenti col fine dell'istituto della mobilità dei lavoratori. Come parametro del giudizio di razionalità o di ragionevolezza possono venire in considerazione anche i criteri legali, non come tali, ma in quanto riproducono criteri tradizionalmente praticati nei rapporti collettivi connessi ai licenziamenti per riduzione del personale nel settore dell'industria, sicchè lo scostamento da essi deve essere giustificato.

Per esempio, la svalutazione del privilegio tradizionale dell'anzianità di servizio, nei confronti dei lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti di età e di contribuzione per fruire di un trattamento di quiescenza, può essere giustificata in una situazione del mercato del lavoro tale da escludere per i lavoratori più giovani la possibilità di trovare a breve termine un altro posto di lavoro, oppure, secondo un criterio accolto dalla stessa legge n. 223 (art. 28), nei casi di ristrutturazioni industriali caratterizzate da elevati livelli di innovazione tecnologica.

6. Alla luce delle precisazioni esposte nei paragrafi precedenti, perde consistenza la censura di violazione dell'art. 39, quarto comma, Cost. coordinato con l'art. 3 Cost. Il problema dell'efficacia erga omnes del contratto collettivo si pone per i contratti normativi, non per quelli del tipo ora in discorso, la cui efficacia nei confronti dei singoli lavoratori (mediata dai provvedimenti individuali di licenziamento) si fonda sulla legge che ad essi rinvia.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 39 e 41, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/06/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/06/94.