SENTENZA N. 242
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Gabriele PESCATORE
Giudici
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 21 del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 9 ottobre 1993 dal Pretore di Napoli - Sezione distaccata di Pozzuoli nel procedimento civile vertente tra il Comune di Procida e Romeo Mario, iscritta al n. 721 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1993; 2) ordinanza emessa il 19 maggio 1993 dal Tribunale amministrativo per la Puglia - Sezione di Lecce sul ricorso proposto da Russo Rocco contro il Comune di Gallipoli, iscritta al n.2 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 1994 il Giudice relatore Renato Granata;
Ritenuto in fatto
1. Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso in favore di Romeo Mario ed in danno del Comune di Procida il Pretore di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli - dopo aver verificato che il Comune suddetto, dichiarato in stato di dissesto, non aveva posto in essere alcuna transazione in ordine alla pretesa del Romeo e, pur avendo incluso con apposita deliberazione consiliare tale debito tra quelli fuori bilancio, non lo aveva ancora inserito nella massa passiva della speciale procedura di liquidazione di cui all'art.21 d.l. 18 gennaio 1993 n.8, convertito nella legge 19 marzo 1993 n.68 - ha sollevato (con ordinanza del 9 ottobre 1993) questione incidentale di legittimità costituzionale di tale disposizione in riferimento agli artt.2, 3 , 24, 28, 41 e 113 Cost.
Il Pretore rimettente - dopo aver premesso che la singolare procedura disciplinata dall'art. 21 cit. non è assimilabile affatto ad una procedura concorsuale, perchè difetta delle caratteristiche principali di questa e, per come è strutturata, non costituisce una adeguata forma di tutela dei credi tori - svolge varie censure di illegittimità costituzionale sotto plurimi profili.
1.2. Ritiene innanzi tutto violati gli artt. 2, 3, comma 2, e 41 Cost. perchè l'ente locale - pur quando si trovi in uno stato di definitiva impotenza patrimoniale ad adempiere integralmente ed immediatamente le proprie obbligazioni - non può mai essere assoggettato a procedure di tipo concorsuale in ragione della sua posizione istituzionale che non gli consente di sottrarsi alle conseguenze del suo inadempimento, frustrando l'interesse dei creditori insoddisfatti. Invece la norma censurata, nel prevedere la procedura conseguente alla deliberazione dello stato di dissesto, di fatto assimila (ingiustificatamente e, per di più, con una serie di privilegi) la posizione dell'ente a quella di un imprenditore privato debitore.
1.3. Il pretore rimettente sospetta poi che l'art. 21 cit. violi gli artt.2, 3, 24 e 113 Cost. nella parte in cui non prevede alcun automatismo di ammissione al passivo nè l'obbligo, per il Commissario o la Commissione, di inserire il debito nella massa passiva, laddove tale debito sia riconosciuto ex artt. 24 e 25 l. 144/89 ovvero nei casi in cui il debito sia consacrato in un titolo giudiziale ex art. 12 bis l.80/91.
Sarebbe infatti privo di ragionevolezza il deferimento al Commissario della valutazione sull'ammissibilità di tali debiti alla massa passiva.
1.4. Osserva poi il Pretore che la norma censurata esclude la capitalizzazione degli interessi e della rivalutazione, per il tempo successivo alla deliberazione del dissesto, non diversamente da quanto si ha nelle procedure concorsuali (art. 55 l.fall.).
Mentre in queste, però, la cristallizzazione della situazione debitoria si giustifica poichè mira a congelare il debito, nell'interesse degli stessi creditori, ai quali è così assicurato un trattamento paritario, invece nella procedura di liquidazione in esame tale cristallizzazione è ingiustificata atteso che la norma censurata non garantisce affatto un sicuro e pieno soddisfacimento dei crediti e neppure la parità di trattamento tra i creditori.
Inoltre la mancata finalizzazione della procedura liquidatoria al soddisfacimento delle ragioni dei creditori e la mancata previsione dell'indisponibilità del patrimonio (dell'ente dissestato) rende totalmente illegittima la previsione dell'interruzione del decorso degli interessi (sia di quelli convenzionali, che di quelli compensativi e moratori).
Il pretore pertanto dubita della legittimità costituzionale dell'art. 21 cit. nella parte in cui prevede che in deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione di dissesto i debiti insoluti non producono più interessi, rivalutazione monetaria od altro, per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost.
1.5. Il pretore ritiene poi illegittimo l'art. 21 cit. anche nella parte in cui non prevede la perdita della capacità a stare in giudizio dell'ente dissestato, l'interruzione dei procedimenti cognitivi e l'indisponibilità del patrimonio, o misure alternative di queste, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 Cost.. Infatti la norma censurata, pur avendo configurato una procedura di liquidazione con alcune di quelle caratteristiche tipiche delle procedure concorsuali, non prevede, irrazionalmente e con evidente disparità di trattamento, la perdita della capacità processuale dell'ente locale in dissesto e la necessità di interrompere il processo; effetti questi finalizzati a realizzare un'unica esecuzione collettiva e ad assicurare la par condicio, rendendo indisponibile il patrimonio del fallito stesso.
1.6. Infine osserva il pretore rimettente che non essendovi alcun obbligo, per i Commissari, di transigere le vertenze in atto nè di inserire il debito nella massa passiva del piano di estinzione entro precisi termini, è possibile che si chiuda la procedura di liquidazione e parallelamente si formi nell'ordinario giudizio di cognizione il titolo giudiziale, i cui effetti sarebbero ormai totalmente vanificati per essere già stato approvato il piano di estinzione.
L'art. 21 cit. sarebbe quindi illegittimo (per contrasto con gli artt.2, 3 e 24 Cost.) là dove, pur prevedendo l'inammissibilità alla massa passiva di crediti anteriori alla decisione del CO.RE.CO di approvazione del piano di estinzione, nulla prevede riguardo ai procedimenti di cognizione in corso ed all'efficacia dei titoli di formazione successiva (sicchè prospetta il difetto di interesse e la vanificazione del futuro comando dell'Autorità giudiziaria).
2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che questa Corte dichiari la manifesta infondatezza di tutte le censure mosse dal pretore rimettente.
L'Avvocatura contesta la fondatezza delle singole censure così come articolate nell'ordinanza di rimessione.
In particolare rileva che la norma censurata ha la funzione di conciliare la natura di ente necessario del Comune con la esigenza di massima tutela delle ragioni del creditore privato. Non vi è quindi alcun impedimento alla previsione di una procedura di tipo concorsuale per i debiti dell'ente locale.
L'Avvocatura osserva poi che il regolamento di esecuzione (d.P.R. 24 agosto 1993 n. 378) disciplina specificamente le modalità, i termini e le procedure per la formazione della massa passiva; dall'altra parte rimangono a tutela del creditore gli ordinari strumenti di impugnativa amministrativa e giurisdizionale avverso i provvedimenti assunti dal commissario.
Rileva ancora l'Avvocatura che il congelamento dei debiti insoluti è pienamente giustificato dalla esigenza di tutelare la par condicio (come nelle procedure concorsuali di diritto comune) e dalla necessità di non deteriorare la condizione patrimoniale dell'ente già in dissesto.
Inoltre, per quanto attiene alla gestione della massa attiva (e cioè del complesso di beni destinati al soddisfacimento dei creditori) il Comune - diversamente da quanto ritiene il pretore rimettente - è privo di ogni capacità d'agire, che invece conserva in ordine all'espletamento delle sue funzioni di ente necessario.
Ritiene infine l'Avvocatura che anche l'ultimo profilo delle censure mosse dal pretore rimettente sia infondato perchè il creditore, che vanti un titolo esecutivo formatosi successivamente al piano di estinzione e che quindi non sia stato inserito nella massa passiva, può sempre farlo valere nei confronti del Comune tornato in bonis.
3. Una analoga censura di costituzionalità è stata sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia con ordinanza del 19 maggio 1993 nel corso di un giudizio di ottemperanza per l'esecuzione di una sentenza del tribunale di Lecce di condanna del comune di Gallipoli al pagamento, in favore di Russo Rocco , della complessiva somma di L. 82.514.051, da rivalutarsi secondo gli indici Istat dalla domanda al soddisfo, oltre agli interessi legali.
Il T.A.R. rimettente - dopo aver premesso che il giudizio di ottemperanza rientra in un più ampio concetto di esecuzione processuale - censura l'art. 21 cit. con riferimento alla limitazione temporale prevista per il computo degli accessori del credito (ossia la sua c.d.
cristallizzazione).
Richiamando la disciplina generale degli interessi (quale prevista dagli artt.1282 e 1224 c.c. e 429, comma 3, c.p.c. per i crediti di lavoro), il T.A.R. rimettente ritiene che la normativa censurata concreta, rispetto ai creditori di altri soggetti sia privati che pubblici, un trattamento deteriore che alla luce dei principi costituzionali non pare giustificato.
Nè la natura pubblica del soggetto passivo, nè lo stato di dissesto possono di per sè giustificare la derogatoria e restrittiva disciplina imposta agli accessori del credito dall'art. 21; norma questa che, bloccando interessi e rivalutazione, consente al mero decorso del tempo di incidere negativamente sulla prestazione dovuta ai creditori dell'ente dissestato, sottoponendoli a un sacrificio patrimoniale che vede esenti sia i creditori degli enti locali non in dissesto sia i creditori in genere degli altri soggetti pubblici e privati. Nè sarebbe possibile imporre questo sacrificio patrimoniale ai creditori dell'ente locale senza violare il canone costituzionale che, alla luce dei principi di solidarietà (art. 2 della Cost.), di capacità contributiva (art.53) e di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.), vuole che le prestazioni patrimoniali siano imposte ai singoli con criteri che consentano un equo concorso alla spesa pubblica.
4. Anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Considerato in diritto
1. Le due ordinanze dei giudici remittenti investono, sotto plurimi profili, la medesima norma (art. 21 d.l.18 gennaio 1993 n.8, Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica, convertito nella legge 19 marzo 1993 n.68) sicchè è possibile la riunione dei giudizi per connessione oggettiva.
2. Va innanzi tutto presa in esame la prima, più radicale, censura (espressa dal solo pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli) che - in riferimento agli artt. 2, 3, comma 2, e 41 Cost. - investe l'art. 21 cit. nella parte in cui prevede una forma di procedura esecutiva collettiva (di tipo concorsuale) di un ente locale (e segnatamente di un Comune) che versi in stato di dissesto, procedura che in radice non è neppure ipotizzabile per un ente pubblico.
La questione è manifestamente infondata per essere già stata ritenuta non fondata da questa Corte con la sentenza n.155 del 1994 resa a seguito di ordinanze dello stesso pretore rimettente di analogo contenuto in parte qua, rispetto alle quali non è dato ravvisare alcun argomento o prospettazione nuovi o diversi.
3. Può poi esaminarsi la censura che è comune alle due ordinanze di rimessione, censura che - in riferimento agli artt.2, 3, 23, 24, 53 e 113 Cost. - investe l'art. 21 cit. nella parte in cui - nel contemplare la suddetta procedura di liquidazione - prevede che, in deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione di dissesto i debiti insoluti non producono più interessi, rivalutazioni monetarie od altro; norma questa che in particolare il T.A.R. rimettente ritiene, con motivazione non implausibile di dover applicare in ragione della natura di procedura esecutiva del giudizio di ottemperanza.
La questione non è fondata.
Il blocco di rivalutazione ed interessi in pendenza della procedura concorsuale trova giustificazione nello specifico delle procedure concorsuali (art. 55 l. fall.), in quanto finalizzato alla realizzazione della par condicio ed all'impedimento di un ulteriore deterioramento della condizione patrimoniale del debitore. E trova inoltre fondamento nella considerazione che nel tempo successivo alla apertura della procedura concorsuale non è configurabile inadempimento nè a carico del debitore, nè tanto meno a carico degli organi della procedura, questa ponendosi proprio come strumento sostitutivo dell'adempimento; principio questo ben fermo nella giurisprudenza della Corte di cassazione e non messo in discussione dal riconoscimento ad opera di questa Corte della rivalutazione pur dopo l'apertura della procedura concorsuale in favore dei crediti di lavoro, attesa la specialità della ratio di tale riconoscimento dovuto alla particolare tutela accordata dalla Costituzione ai crediti di siffatta natura (sent. n.300 del 1988, n. 204 del 1989, n.408 del 1989, n.567 del 1989).
Quanto poi al profilo relativo alla ritenuta definitività della c.d. cristallizzazione del credito - la quale concreterebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla procedura fallimentare per essere in quest'ultima la cristallizzazione stessa soltanto temporanea posto che alla chiusura della procedura concorsuale i creditori riacquistano il libero esercizio della loro azione verso il debitore (ex art. 120 l. fall.) - deve escludersi che sussista tale denunziata violazione del principio di eguaglianza.
La corretta lettura della norma censurata, compiuta tenendo presente il quadro normativo complessivo risultante anche dalle disposizioni regolamentari dettate dal d.P.R. n.378 del 1993, conduce infatti a ritenere errata l'opinione del giudice rimettente circa la pretesa definitività della lamentata cristallizzazione dei crediti.
Infatti l'art. 6, comma 5, lett. g), del citato regolamento, nel darsi carico di precisare che sono esclusi dalla massa passiva < < interessi moratori o corrispettivi e rivalutazioni monetarie maturate dopo la data della deliberazione del dissesto, interessi moratori o corrispettivi calcolati su altri interessi>> lascia chiaramente intendere che il legislatore postula il maturare sia della rivalutazione che degli interessi anche successivamente alla apertura della procedura, limitandosi ad escluderne la opponibilità alla procedura stessa e l'ammissibilità alla massa passiva, ma lasciando integra la facoltà per il creditore di azionare tali diritti nei confronti dell'ente pubblico una volta tornato in bonis.
4. Possono infine esaminarsi le ulteriori censure mosse dal solo pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli.
4.1. Il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost. - dell'art. 21 cit. nella parte in cui - nel contemplare una forma di procedura esecutiva collettiva (di tipo concorsuale) per gli enti locali in stato di dissesto - non prevede alcun automatismo di ammissione al passivo nè l'obbligo, per il Commissario o la Commissione, di inserire il debito nella massa passiva, laddove tale debito sia riconosciuto ex artt. 24 e 25 legge n.144 del 1989, nonchè ex 12 bis legge n.81 del 1990.
La questione è inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo che è di opposizione a decreto ingiuntivo, ossia di cognizione e di condanna. Come già rilevato da questa Corte (sent. n. 155 del 1994) con riferimento al giudizio di esecuzione nel corso del quale era stata sollevata analoga doglianza circa la mancata previsione di uno specifico strumento di tutela del creditore procedente per ottenere che il suo credito fosse inserito nella massa passiva, può anche nel caso in esame ripetersi che la rilevanza dell'ipotizzato profilo di illegittimità costituzionale potrà sol tanto, ed eventualmente, porsi < < una volta non ammesso il credito, in un successivo giudizio volto a far valere l'illegittimità della delibera dell'organo straordinario della liquidazione>>.
4.2. Il pretore rimettente poi dubita della legittimità della medesima disposizione - in riferimento agli artt.3 e 24 Cost. - nella parte in cui non prevede la perdita della capacità a stare in giudizio dell'ente dissestato, l'interruzione dei procedimenti cognitivi e l'indisponibilità del patrimonio, o misure alternative di queste.
Relativamente a quest'ultimo profilo (indisponibilità del patrimonio in costanza della procedura concorsuale) va dichiarata la inammissibilità della questione che può rilevare nel corso della procedura stessa e dell'eventuale contenzioso ad essa relativo, ma non anche in un giudizio di cognizione qual è quello pendente innanzi al giudice rimettente.
Quanto agli altri due profili, in primo luogo è da rilevare che il debitore è un Comune, ossia ente previsto in Costituzione, < < espressione di autonomia locale che costituisce un valore costituzionalmente tutelato>> (sent. n.155 del 1994), che come tale non può essere privato della capacità processuale, tanto più ove si consideri (sent. ci tata) che, in ragione della ampiezza dei poteri conferiti all'organo della procedura, < < pur non essendoci una vera e propria perdita di capacità del debitore assoggettato alla liquidazione come nelle procedure concorsuali, c'é però la previsione di un (eccezionale) potere di agire del commissario che realizza in concreto un effetto similare>>.
Inoltre, la situazione del Comune dissestato non è omologa a quella dell'imprenditore privato essendo quest'ultimo per sua natura guidato dalla considerazione e dalla cura del proprio interesse personale, laddove il primo, per vocazione istituzionale, si ispira alla cura degli interessi pubblici dei quali è portatore come ente esponenziale della collettività di base e dei quali deve essere fedele interprete. Così che è in principio da escludere l'assunzione, da parte dei suoi organi istituzionali, di una posizione conflittuale con quella dell'organo della procedura, il quale peraltro - come già rilevato - ha comunque la facoltà di transigere anche in ordine a situazioni soggettive che costituiscano oggetto di giudizi in corso.
La questione pertanto, in relazione a questi ultimi due profili, è infondata.
4.4. Da ultimo il pretore rimettente censura l'art. 21 cit. - in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - nella parte in cui, pur prevedendo che dopo l'approvazione del piano di estinzione non possano essere ammessi alla massa passiva i crediti anteriori alla decisione del CO.RE.CO. (di approvazione del rendiconto della gestione), nulla prescrive con riguardo ai procedimenti di cognizione in corso e all'efficacia dei titoli di formazione successiva.
La questione è inammissibile perchè ipotetica ed eventuale in vista di un evento futuro ed incerto, quale è quello della formazione del titolo esecutivo.
Nè la sola rappresentazione della eventualità che il titolo esecutivo, una volta formato, potrebbe non beneficiare dell'ammissibilità al passivo della procedura di liquidazione fa venire meno l'interesse del creditore a proseguire nel giudizio in corso; infatti l'interesse ad agire in realtà persiste fino al momento in cui matura la fattispecie impeditiva della opponibilità alla procedura del titolo giudiziale perseguito, onde la proposizione della questione - alla stregua della stessa sua impostazione nei termini di fatto prospettati nella ordinanza - risulta comunque anticipata rispetto al momento dell'eventuale insorgere della sua reale rilevanza.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
a) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 d.l. 18 gennaio 1993 n.8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito nella legge 19 marzo 1993 n.68, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 , comma 2, e 41 della Costituzione, dal Pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
b) dichiara non fondate, nelle parti indicate in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 21 d.l. 18 gennaio 1993 n.8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito nella legge 19 marzo 1993 n.68, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 , 23, 24, 53 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli, e dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia con le ordinanze indicate in epigrafe;
c) dichiara inammissibili, nelle parti indicate in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 21 d.l. 18 gennaio 1993 n.8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito nella legge 19 marzo 1993 n.68, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 , 24 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 1994.
Gabriele PESCATORE, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 16/06/1994.