Sentenza n.233 del 1994

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 233

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della delibera legislativa riapprovata il 24 settembre 1993 dal Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, avente per oggetto: "Modifiche ed integrazioni al t.u. delle leggi regionali per l'elezione del Consiglio regionale, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 29 gennaio 1987, n. 2/L, al fine di consentire la rappresentanza delle popolazioni ladine della Provincia di Trento nel Consiglio regionale e provinciale", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 14 ottobre 1993, depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 61 del registro ricorsi 1993.

 

Visto l'atto di costituzione della Regione Trentino-Alto Adige;

 

udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

 

uditi l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno, per il ricorrente, e l'avv.

 

Giandomenico Falcon per la Regione.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso regolarmente notificato, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 62 e 102 dello Statuto del Trentino - Alto Adige (d.P.R.31 agosto 1972, n. 670), della delibera legislativa riapprovata dal Consiglio regionale del Trentino - Alto Adige in data 24 settembre 1993, contenente "Modifiche ed integrazioni al t.u. delle leggi regionali per l'elezione del Consiglio regionale, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 29 gennaio 1987, n. 2/L, al fine di consentire la rappresentanza delle popolazioni ladine della provincia di Trento nel Consiglio regionale e provinciale".

 

A giudizio del ricorrente, la normativa in questione, finalizzata a garantire anche ai ladini della provincia di Trento la rappresentanza del proprio gruppo linguistico tanto nel Consiglio regionale che in quello provinciale (assicurata oggi per il solo gruppo ladino della provincia di Bolzano, a norma dell'art. 62 dello Statuto di autonomia), sarebbe costituzionalmente illegittima per contrasto con le disposizioni statutarie richiamate, in quanto queste avrebbero carattere tassativo e non potrebbero quindi essere ampliate mediante una legge regionale.

 

Aggiunge il ricorrente che i problemi che la delibera legislativa vorrebbe risolvere erano, nel momento in cui il ricorso è stato proposto, all'esame della Commissione paritetica, in sede di predisposizione di una norma di attuazione statutaria proposta dal Governo e volta ad estendere alle minoranze ladine della provincia di Trento alcuni benefici già previsti dallo Statuto per i ladini in provincia di Bolzano.

 

2. - Si è costituita la Regione Trentino - Alto Adige, concludendo per la dichiarazione di non fondatezza della questione.

 

Nel motivare detta richiesta, la Regione sottolinea preliminarmente come lo Statuto speciale sia in larga misura una attuazione dell'art. 6 della Costituzione: ciò sia per la popolazione altoatesina che per la popolazione ladina.

 

L'art. 2 di detto Statuto stabilisce che i cittadini hanno parità di diritti "qualunque sia il gruppo linguistico al quale appartengono", e con riferimento a tali gruppi afferma che "sono salvaguardate le rispettive caratteristiche etniche e culturali": dal che dovrebbe trarsi il principio della necessità di adottare misure capaci di garantire lo sviluppo di ciascun gruppo.

 

Vi è poi la disposizione contenuta nell'art. 4, per la quale il principio della tutela delle minoranze linguistiche locali è definito come parte dell'interesse nazionale: e ciò, si sottolinea dalla difesa, proprio ai fini dello svolgimento dell'attività legislativa della Regione, come confermato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 312 del 1983 e n. 289 del 1987).

 

Il principio della "parità tra i gruppi linguistici" è talmente forte, a giudizio della Regione, che l'art. 97, primo comma, dello Statuto fa della sua violazione un apposito e specifico motivo di impugnazione governativa delle leggi regionali e provinciali in esse contenuto.

 

Richiamando infine le disposizioni di attuazione dello Statuto emanate con il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, si ritiene che l'interpretazione "limitativa" degli artt. 62 e 102 dello Statuto sostenuta dal Governo, per la quale tali disposizioni disegnerebbero il massimo di tutela delle minoranze ladine (di modo che tutto quanto non è espressamente previsto dovrebbe ritenersi vietato), si rivelerebbe priva di qualunque fondamento.

 

La stessa formula dell'art. 62 non limita la rappresentanza del gruppo ladino al solo collegio provinciale di Bolzano, ma ha preferito parlare disgiuntamente sia del consiglio regionale sia del consiglio provinciale di Bolzano: quasi a lasciare uno spiraglio interpretativo al legislatore regionale. Le disposizioni statutarie invocate come parametro, pertanto, non vieterebbero al legislatore regionale di sviluppare il principio in esse contenuto.

 

3. - In prossimità dell'udienza, la Regione Trentino - Alto Adige ha presentato ulteriore memoria, ribadendo la richiesta di rigetto del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri.

 

In detta memoria, oltre a richiamare il contenuto della sentenza n.438 del 1993 di questa Corte (ove si afferma che il principio di tutela delle minoranze linguistiche "non può non estendere la propria efficacia anche nei confronti del diritto all'elezione politica"), si ribadisce il pericolo di interpretazioni restrittive di specifiche garanzie costituzionali, richiamandosi al riguardo quanto previsto, relativamente ad altro ordinamento, dal IX emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America, in cui si afferma che "l'enumerazione di alcuni diritti fatta nella Costituzione non potrà essere interpretata in modo che ne rimangano negati o menomati altri diritti mantenuti dai cittadini".

 

Anche alla luce di tale principio, e soprattutto in base alla giurisprudenza costituzionale del nostro Paese, non pare dubitabile, a parere della Regione, che nella Costituzione italiana e nello Statuto di autonomia il principio di tutela delle minoranze costituisca una linea direttrice suscettibile di svariate applicazioni, e non una norma eccezionale di cui debba darsi un'interpretazione restrittiva.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto ricorso, in riferimento agli artt. 62 e 102 dello Statuto del Trentino - Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), della delibera legislativa riapprovata dal Consiglio regionale del Trentino - Alto Adige in data 24 settembre 1993, contenente "Modifiche ed integrazioni al t.u. delle leggi regionali per l'elezione del Consiglio regionale, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 29 gennaio 1987, n.2/L, al fine di consentire la rappresentanza delle popolazioni ladine della provincia di Trento nel Consiglio regionale e provinciale". Per conseguire questo fine, il sistema che la legge impugnata intende introdurre prevede, tra l'altro, che il candidato con la più alta cifra individuale di preferenze ottenute nel comprensorio ladino della Val di Fassa "prende il posto del candidato che, sulla base della graduatoria delle cifre individuali, dovrebbe essere l'ultimo degli eletti della lista".

 

2. - Benchè la Regione non abbia eccepito l'inammissibilità del ricorso, tale aspetto va comunque esaminato da questa Corte sotto un triplice profilo.

 

a) Deve anzitutto valutarsi se il ricorso sia stato proposto sulla base di una previa e valida delibera del Consiglio dei Ministri, adottata ai sensi dell'art. 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonchè dell'art. 2, lett.d), della legge 23 agosto 1988, n. 400. Si osserva in proposito che non sono sufficienti, ai fini della proposizione del ricorso alla Corte costituzionale, quelle delibere generiche del Consiglio dei ministri che, pur contenendo i necessari e adeguati riferimenti alla normativa impugnata, omettano tuttavia di indicare -sia pure concisamente- i motivi posti dal Governo a base, prima, del rinvio al Consiglio regionale e, successivamente, del ricorso a questa Corte.

 

Ed invero, se non si richiede che le delibere di rinvio o di autorizzazione al ricorso in via principale siano rigorosamente complete e dettagliate, esse non possono d'altra parte essere carenti sia dell'oggetto che dei parametri di riferimento, ma devono contenere elementi tali da consentire all'Avvocatura dello Stato e poi alla Corte costituzionale di comprendere la portata della volontà del Consiglio dei ministri, deducendo eventualmente la questione di costituzionalità dalla puntuale indicazione, oltre che della normativa impugnata, dei parametri costituzionali violati, oppure precisando o desumendo detti parametri dalla chiara determinazione della questione che si intende sollevare, o ancora integrando tale motivazione con quella contenuta nel precedente provvedimento di rinvio al Consiglio regionale.

 

Questi criteri appaiono rispettati nel presente giudizio, dal momento che la delibera adottata dal Consiglio dei ministri in data 7 ottobre 1993 -integrata dalla precedente delibera di rinvio al Consiglio regionale- oltre a contenere precisi riferimenti alla normativa impugnata ed ai parametri costituzionali, indica concisamente la ragione per cui detto provvedimento regionale era ritenuto in contrasto con gli artt. 62 e 102 dello Statuto di autonomia.

 

b) In via pregiudiziale occorre valutare inoltre (come sottolineato in particolare dalla sentenza n. 726 del 1988 di questa Corte) la corrispondenza, perlomeno in termini sostanziali, tra i motivi del provvedimento di rinvio della legge al Consiglio regionale e i motivi di ricorso alla Corte costituzionale. Ciò risulta rispettato nel caso di specie, poichè il sintetico ricorso della Presidenza del Consiglio segue quasi testualmente la linea dei motivi posti a base del rinvio della legge regionale.

 

c) Per quanto infine riguarda l'adeguata specificità dei motivi del ricorso, l'orientamento generale che emerge dalle pronunce di questa Corte (in particolare, sentenze n. 369 del 1990, 484 del 1991, 392 del 1992) è nel senso di non formalizzare eccessivamente il requisito della chiarezza delle censure mosse alle disposizioni impugnate, purchè sia sufficientemente determinabile l'oggetto della controversia, in modo da porre la Corte in condizioni di individuare, ancorchè attraverso una certa elasticità della motivazione a sostegno del ricorso, il thema del contendere ed i parametri posti a base delle sollevate questioni di costituzionalità.

 

In realtà, i motivi che fondano il presente ricorso, per quanto non immuni da qualche lacuna o inesattezza e formulati in modo sintetico - presupponendo essi il richiamo ad altre disposizioni non espressamente evidenziate - sono tuttavia sufficientemente individuabili in un duplice ordine di censure: a) da una parte si fonda l'eccepita illegittimità costituzionale nel contenuto eccezionale, se non anche tassativo, degli artt. 62 e 102 dello Statuto, relativi all'ambito di tutela delle minoranze linguistiche della Regione, con particolare riferimento alla rappresentanza del gruppo ladino nel Consiglio provinciale di Trento; b) dall'altra, si denunzia l'illegittimità costituzionale del tipo di normazione prescelto (legge regionale) per conseguire il risultato di derogare, modificare o quanto meno sviluppare quell'ambito di tutela.

 

Questi due motivi pertanto, così sostanzialmente individuati, presentano una chiarezza sufficiente per far ritenere ammissibile il ricorso.

 

3. - Prima di passare ad esaminare il problema specifico sul quale si appunta la presente questione, occorre premettere, ai fini di una sua migliore comprensione, un breve cenno sulla realtà storico-sociale cui si riferisce la normativa oggetto del ricorso.

 

La minoranza linguistica che la proposta di legge in esame mira a garantire fa parte della comunità ladino-dolomitica (comprendente le popolazioni che abitano le valli che si dipartono dal massiccio del Sella), a sua volta componente della più ampia entità della c.d. Grande Ladinia, che comprende altresì i reto-romanci residenti nelle valli dei Grigioni in Svizzera ed i friulani della omonima regione italiana.

 

L'origine di tale entità suol farsi risalire all'epoca in cui le legioni romane assoggettarono le zone nordiche sino al Danubio, dando luogo al processo di romanizzazione delle popolazioni residenti nell'arco alpino, mentre il momento storico in cui risulta esistente una realtà "ladina" concepita come tale viene rinvenuto nella costituzione del Vescovado di Bressanone, nell'anno 1027.

 

Attualmente la comunità ladino-dolomitica è frazionata, sul piano amministrativo, in tre parti: una, residente nelle valli Gardena e Badia, fa capo alla Provincia di Bolzano; l'altra, stanziata nelle valli di Livinallongo ed Ampezzo, fa capo alla Regione Veneto (ed alla provincia di Belluno); la terza, infine, residente nella valle di Fassa, rientra nel territorio amministrativo della provincia di Trento.

 

Questa separazione amministrativa, perseguita in un certo periodo con probabili intenti assimilatori e successivamente mantenuta nonostante reiterate richieste contrarie, ha forse comportato una riduzione del senso di appartenenza di tali popolazioni ad una medesima comunità (con riflessi sull'aspetto linguistico- culturale), non riuscendo tuttavia a far venir meno i motivi di collegamento tra i suoi vari segmenti, che aspirano ad un recupero e ad un riconoscimento della loro dimensione comune.

 

4. - In ordine al nucleo centrale del problema giuridico costituzionale del presente giudizio, va ricordato ancora come soltanto il segmento del gruppo linguistico ladino che risiede nella provincia di Bolzano ha ottenuto, in sede di approvazione dello Statuto regionale, una ulteriore particolare tutela, stabilendosi (art. 62) che in seno al Consiglio di quella Provincia deve essere in ogni caso garantita la rappresentanza di detto gruppo linguistico; e poichè i consiglieri delle province di Trento e Bolzano sono gli stessi che compongono il Consiglio regionale (art. 84 dello Statuto), il consigliere di lingua ladina finisce per rappresentare di fatto in quest'ultimo Consiglio la minoranza ladina residente nella Regione.

 

Non è questa la sede per analizzare la citata norma, nè ipotizzare i motivi (numerici, di rapporti con altre minoranze, o di altre ragioni socio-politiche) che hanno indotto il legislatore statutario a garantire la rappresentanza del gruppo unicamente per la provincia di Bolzano, sia pure con la conseguenziale inclusione di un rappresentante ladino nel Consiglio regionale.

 

Certo è che per gli appartenenti alla minoranza ladina residenti nella provincia di Trento lo Statuto prevede, in forma specifica, solo le garanzie indicate nell'art. 102, e precisamente quelle di cui al primo comma, relative a tutte le popolazioni ladine ("valorizzazione delle proprie iniziative ed attività culturali, di stampa, ricreative, nonchè al rispetto della toponomastica e delle tradizioni delle popolazioni stesse"), e quelle, di cui al secondo comma, riguardanti più in particolare le popolazioni ladine residenti nella provincia di Trento ("nelle scuole dei comuni della provincia di Trento ove è parlato il ladino è garantito l'insegnamento della lingua e della cultura ladina").

 

5. - Va tuttavia segnalato come, successivamente alla revisione dello Statuto operata nel 1971, è andata via via crescendo l'attenzione ad una maggiore tutela del segmento del gruppo ladino residente in detta provincia, sia per quanto riguarda gli aspetti più propriamente linguistico-culturali, sia per ciò che attiene specificamente l'esigenza di una rappresentanza all'interno degli organi politico-amministrativi.

 

Per il primo aspetto, va segnalata anzitutto l'istituzione (mediante la legge provinciale 16 giugno 1977, n. 16) di un apposito Comprensorio della Valle di Fassa, il cui Statuto prevede tra le proprie finalità "lo sviluppo e l'attuazione della civiltà ladina"; in secondo luogo, l'istituzione, sempre con legge provinciale (14 agosto 1975, n. 29) dell'Istituto culturale ladino, avente come scopo la conservazione, la difesa e la valorizzazione della cultura, tradizione e parlata della civiltà ladina nel Trentino. Accanto alla normativa provinciale, va segnalata l'evoluzione della normativa di attuazione dello Statuto speciale, di cui sono espressione -in particolare- l'art. 14 del d.P.R.15 luglio 1988, n. 405, con cui viene disciplinato l'insegnamento della lingua e della cultura ladina nelle scuole elementari e secondarie dei comuni della provincia di Trento ove è parlato il ladino; e il recente decreto legislativo 16 dicembre 1993, n.592, che riconosce il diritto delle popolazioni ladine della provincia di Trento ad usare la propria lingua, oltre a prevedere altre misure relative alle scuole ed agli uffici pubblici situati nella valle di Fassa.

 

Per quanto riguarda il secondo versante, quello che qui più da vicino interessa, va rilevato come, fin dalla VII legislatura, sia stata presentata una proposta di legge (di natura costituzionale) tendente a modificare lo Statuto al fine di garantire anche al segmento della comunità ladino-dolomitica residente nella provincia di Trento una rappresentanza in seno al Consiglio provinciale. Tale proposta non è giunta ad approvazione, nè lo sono state le analoghe proposte ripresentate ad ogni legislatura (da ultimo, il disegno di legge costituzionale n. 539 presentato al Senato della Repubblica il 5 agosto 1992).

 

6. - La legge regionale in questa sede impugnata, "al fine di consentire la rappresentanza delle popolazioni ladine della provincia di Trento", dispone che i candidati i quali abbiano reso la dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico ladino sono inseriti in una graduatoria formata sulla base della rispettiva cifra individuale, ottenuta nelle sezioni elettorali dei comuni del Comprensorio della Valle di Fassa, stabilendosi che, nel caso in cui nessuno di detti candidati risulti eletto, il più votato tra essi "prende il posto del candidato che, sulla base della graduatoria delle cifre individuali, dovrebbe essere l'ultimo degli eletti".

 

Questo sistema normativo è stato fatto oggetto del presente ricorso dal Presidente del Consiglio dei ministri per incostituzionalità sotto i due profili sopra individuati, che sono sinteticamente enunciabili nel senso che i limiti di tutela delle minoranze linguistiche nella provincia di Trento - risultanti dalle citate norme statutarie- non potevano essere superati con una ordinaria legge regionale.

 

7. - Il ricorso, nonostante qualche imprecisione, risulta fondato.

 

Va premesso in generale che la Regione Trentino- Alto Adige ha poteri legislativi in materia di elezioni regionali e provinciali (art. 25 dello Statuto), ovviamente nel rispetto dei limiti statutari e costituzionali. Inoltre l'art. 6 della Costituzione è stato interpretato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 242 del 1989 e 289 del 1987) nel senso di individuare in esso un interesse (la tutela delle minoranze etnico-linguistiche) da perseguire ad opera di una potestà legislativa concorrente, dello Stato e delle regioni.

 

Nell'ottica di tale disposizione costituzionale è stato pure affermato da questa Corte che la tutela di dette minoranze può richiedere la predisposizione di un trattamento specificamente differenziato (sentenza n.86 del 1975), in forza del principio di "eguaglianza sostanziale" e della connessa esigenza di forme di tutela positiva.

 

É stato, in proposito, riconosciuto di recente (sentenza n. 438 del 1993) che alle minoranze (nella specie, di lingua tedesca e ladina) è costituzionalmente garantito anche il diritto di esprimere in condizioni di effettiva parità la propria rappresentanza politica. E, come si è sopra accennato, le popolazioni ladine, di antichissima tradizione e portatrici di preziosi valori culturali, meritano indubbiamente ampio riconoscimento.

 

Va infine rilevata la tendenza, di cui è espressione la recente legge costituzionale 23 novembre 1993, n. 2, ad estendere l'ambito di tutela delle minoranze linguistiche anche oltre i gruppi minoritari fino ad oggi considerati.

 

Ma è altrettanto evidente che tale tutela non può superare certi limiti, dovuti ad una serie di diverse considerazioni (anche di proporzionalità numerica) e soprattutto al necessario contemperamento di questa esigenza con altri valori parimenti meritevoli di tutela.

 

8. - Nel quadro del predetto bilanciamento di valori costituzionalmente rilevanti si colloca il combinato disposto degli artt. 62 e 102 dello Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige.

 

In particolare, solo a questo livello di normazione, è stato ritenuto, non sul piano astratto dei principi ma comparando concretamente le diverse circostanze, che il valore della rappresentanza del gruppo linguistico ladino nel Consiglio provinciale di Bolzano (e quindi anche in quello regionale) dovesse essere garantito -in ipotesi- a scapito di candidati che avessero ottenuto un maggior numero di voti, e quindi derogando ad altri valori costituzionali, quali l'eguaglianza del voto (artt. 3 e 48 della Costituzione e art. 25 dello Statuto). Quest'ultimo principio fondamentale si traduce -come é noto- nel riconoscimento della pari efficacia di ciascun voto nella formazione degli organi elettivi (sentenze nn. 60 del 1963 e 43 del 1961 di questa Corte).

 

Ora, se il menzionato art. 62, con la sua forza di fonte costituzionale, ha potuto introdurre nell'ordinamento la tutela di un particolare valore (della obbligatoria rappresentanza della minoranza linguistica ladina nel Consiglio provinciale di Bolzano) con eccezionale prevalenza sul predetto principio generale, non appare consentito che la stessa operazione di bilanciamento possa essere compiuta anche da parte del legislatore regionale con l'introduzione di una ulteriore deroga.

 

Nè può sostenersi che una siffatta legge regionale, nell'estendere la stessa norma di prevalenza della tutela delle minoranze ad altri frammenti di gruppi linguistici, sia legittima in forza della vis expansiva di un principio, già riconosciuto per un caso simile, ancorchè questo sviluppo non goda di pari copertura costituzionale.

 

Ed invero la possibilità di deroga a norme costituzionali non può realizzarsi se non mediante norme della stessa natura.

 

Inoltre, dal momento che queste norme -sia che si ritengano modificative delle norme statutarie, sia che si qualifichino meramente additive-non perdono in ogni caso la loro natura derogatoria dei menzionati valori costituzionali generali, ne deriva che, anche in forza del noto criterio di stretta interpretazione delle norme eccezionali, non si possa legittimamente sviluppare il contenuto di una disposizione (derogatoria) di natura costituzionale mediante altre norme di diversa forza.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Trentino-Alto Adige, riapprovata il 24 settembre 1993, recante "Modifiche ed integrazioni al t.u. delle leggi regionali per l'elezione del Consiglio regionale, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 29 gennaio 1987, n. 2/L, al fine di consentire la rappresentanza delle popolazioni ladine della provincia di Trento nel Consiglio regionale e provinciale".

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 10/06/1994.