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SENTENZA N. 99
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 37, terzo comma, del d.m. 8 luglio 1924 (Testo unico delle disposizioni di carattere legislativo concernenti l'imposta di fabbricazione degli spiriti), promosso con ordinanza emessa l'11 maggio 1993 dal Tribunale di Udine nel procedimento penale a carico di Blasutig Luciano, iscritta al n. 471 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visti l'atto di costituzione di Blasutig Luciano nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 22 febbraio 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
uditi l'avv. Massimo Luciani per Blasutig Luciano e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
l.- Il Tribunale di Udine ha sollevato, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, terzo comma, del decreto del Ministro per le Finanze dell'8 luglio 1924 recante l'approvazione del testo unico delle disposizioni di carattere legislativo concernenti l'imposta di fabbricazione degli spiriti.
La questione è proposta nell'ambito di un giudizio penale instaurato nei confronti di persona imputata del reato di fabbricazione clandestina di spiriti; l'imputazione, originariamente ascritta per avere "fabbricato litri cinquanta di grappa utilizzando apparecchi non denunciati all'Ufficio tecnico delle imposte di fabbricazione e dall'UTIF non verificati" è stata poi specificata all'udienza dal pubblico ministero - precisa il Tribunale rimettente - come "riferita alla fattispecie di cui al terzo comma dell'art. 37 [del citato d.m.], in relazione a quanto altresì previsto dal successivo art. 38", e dunque concerne l'ipotesi di rinvenimento di apparecchiature idonee alla distillazione e, contestualmente, di materie alcoliche, in assenza di denuncia all'UTIF.
2.- Il Tribunale premette, quanto all'individuazione della norma incriminatrice avente forza di legge, che è necessario "fare riferimento al r.d. 30 gennaio 1896, n. 26 [art. 18], come recepito dall'art. 23 del testo unico delle leggi sugli spiriti approvato con r.d. 10 (recte: 16) settembre 1909, n.704 e riprodotto negli artt. 37 e 38" del già richiamato d.m.dell'8 luglio 1924.
3.- Nel prospettare la questione, il Tribunale muove dalla considerazione secondo cui il disposto dell'art. 37, terzo comma, del d.m. 8 luglio 1924 presenta connotati di autonoma rilevanza penale, giacchè configura la condotta ivi prevista, di detenzione di apparecchiature atte alla distillazione e, congiuntamente, di materie alcoliche, come "prodromica" alla verificazione di altra - più grave - fattispecie, quale è quella di fabbricazione clandestina di spiriti, prevista nel primo comma dello stesso articolo 37.
A questa "diversità dei beni giuridici tutelati" e comunque alla differente gravità delle accennate fattispecie corrisponde, tuttavia, un identico trattamento sanzionatorio;ma è proprio questo livellamento nel regime sanzionatorio ad essere ingiustificato, stante il divario che corre tra una condotta di effettivo esercizio di attività economica finalizzata al contrabbando degli spiriti (primo comma) e la "mera detenzione della strumentazione (soltanto) potenzialmente idonea a quella utilizzazione" (terzo comma).
Questa parificazione di situazioni diverse, aggiunge il Tribunale, lungi dal rappresentare soltanto l'esercizio della discrezionalità del legislatore, risulta irragionevolmente discriminatoria e perciò lesiva del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione; un principio, conclude il giudice a quo (che cita al riguardo le decisioni n. 26 del 1979 e 255 del 1992), il cui rispetto la Corte costituzionale ha, man mano, mostrato di verificare con crescente attenzione.
5.- É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità e comunque per l'infondatezza della questione.
6.- L'Avvocatura osserva che la premessa del Tribunale, secondo cui sarebbero da distinguere due ipotesi incriminatrici, rispettivamente contenute nel primo e nel terzo comma dell'art. 37 del d.m. 8 luglio 1924, è inesatta: le due disposizioni recano, in realtà, la semplice specificazione di una medesima condotta incriminata, quella di fabbricazione clandestina di spiriti, che però, ai sensi del terzo comma, può ritenersi provata ed integrata anche solo sulla base della presenza contestuale dell'apparecchio di distillazione e di materie alcoliche o alcolizzabili prima che l'uno e le altre siano denunciate all'UTIF.
La norma sottoposta a scrutinio, dunque, non crea alcuna nuova o diversa fattispecie, limitandosi a delineare in termini di maggiore precisione e specificazione quella generale di fabbricazione contemplata nel primo comma.
Diversa è invece la fattispecie del quarto comma dell'art. 37 in discorso, in cui si ha riguardo alla distinta ipotesi di mero possesso di un apparecchio non denunciato all'UTIF, ipotesi che però non entra in gioco nè nel giudizio principale nè nell'incidente di costituzionalità;qui il legislatore reprime in effetti la sola situazione di detenzione di apparecchiature senza la contemporanea presenza di materie o prodotti alcolici, stabilendo una sanzione inferiore.
7.- Se dunque non si verifica la ritenuta diversificazione delle fattispecie, ma si è in presenza di un'unica ipotesi di incriminazione - il fabbricare clandestinamente spiriti - punita con unica sanzione (reclusione e multa ragguagliata, appunto, al prodotto che si è ricavato o che avrebbe potuto essere ricavato dalle sostanze rinvenute), la questione, così come prospettata dal Tribunale di Udine, non può, ad avviso dell'Avvocatura, che risultare irrilevante e, comunque, infondata.
8.- Si è costituita nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale la parte privata, il cui patrocinio ha formulato deduzioni adesive a quelle prospettate nell'ordinanza di rinvio, cui si aggiunge, sulla linea della ritenuta illegittimità della norma, il richiamo ai necessari princìpi di "giusta proporzione" tra fatto e sanzione (sentt. nn. 971/1988, 40/1990, 22/1991 di questa Corte) e di "adeguatezza" della sanzione al fatto concreto (sent. n. 16/1991
). Quando questi princìpi vengono meno, si delinea l'illegittimità della scelta punitiva fatta dal legislatore, che non può neppure, nella specie, giustificarsi alla luce del carattere "interinale" o comunque eccezionale della disciplina: la normativa in argomento è sostanzialmente invariata da decenni, ed è oramai priva di adeguata ragione giustificativa la lamentata irrazionale equiparazione quoad poenam di fattispecie diverse.
9.- In prossimità dell'udienza, la parte privata ha depositato una memoria nella quale, con numerosi richiami di giurisprudenza costituzionale e di dottrina, si insiste per l'accoglimento della questione.
La memoria argomenta per la fondatezza della questione muovendo dalla rilevata centralità del principio di ragionevolezza nell'opera di verifica della legittimità costituzionale affidata alla Corte; quel principio viene quindi ricollegato, dal patrocinio della parte, a due profili: a) quello della irragionevolezza intrinseca della norma, e b) quello della irrazionalità della parificazione nel trattamento punitivo rispetto a condotte notevolmente diverse tra loro.
Quanto al primo profilo, la parte ritiene di individuare una attuale manifesta sproporzione tra la tipologia dell'illecito, in particolare con riguardo all'interesse protetto dalla norma (che è quello tributario), e la conseguenza punitiva (la reclusione oltre la multa) ricollegata alla violazione, tale da incidere sul bene primario e fondamentale della libertà personale; la severa scelta punitiva, storicamente collocata e datata, si rivela oggi eccessiva ed inattuale, contrastando con i criteri di giusta proporzione e di utilità della sanzione rispetto al fatto sanzionato e crea, per questo aspetto, uno "sbilanciamento" dei valori costituzionali in gioco.
Quanto al secondo profilo, si pone innanzitutto in rilievo la differenza della condotta in argomento (detenere abusivamente materie alcoliche e strumenti di distillazione) rispetto a quella assunta quale termine di comparazione (fabbricare spiriti clandestinamente), giacchè - si osserva - tra le due condotte vi è asimmetria e intercorre una relazione da prius a posterius: diversi sono la condotta materiale, l'allarme sociale, il danno al pubblico interesse, ma ciononostante è identica l'escursione sanzionatoria.
Che la detenzione congiunta di apparecchiature di distillazione e sostanze alcoliche sia condotta diversa da quella di effettiva fabbricazione, prosegue la memoria, è del resto un dato ricavabile dalla decisione n. 62 del 1967 della Corte costituzionale.
L'equiparazione sanzionatoria denunciata, inoltre, assume valore discriminatorio in ragione del concreto atteggiarsi della fattispecie, proprio quale delineato sopra e quale riconfermato dalla richiamata sentenza n. 62 del 1967: se l'ipotesi normativa sottoposta a scrutinio fosse stata costruita solo come elemento di carattere presuntivo, all'imputato sarebbe sempre possibile liberarsi dall'addebito adducendo elementi contrari, e non verrebbe in rilievo la ragionevolezza del trattamento sanzionatorio; ma l'essere stata configurata la detenzione come una figura autonoma di reato impone necessariamente una differenziazione di trattamento, non potendo essere contestato sul piano della prova l'elemento costitutivo dell'illecito.
La parte privata insiste pertanto per l'affermazione di incostituzionalità della norma, conducendo una ampia disamina del percorso della giurisprudenza costituzionale sul punto del sindacato della ragionevolezza di previsioni penali; un sindacato, questo, via via maturato nel senso di una verifica sempre più intensa del ponderato bilanciamento dei valori implicati, rispetto al principio di eguaglianza e al collegato principio di adeguata proporzione tra fatto e punizione.
Considerato in diritto
l.- Oggetto del giudizio di costituzionalità è l'art.37, terzo comma, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti l'imposta di fabbricazione degli spiriti, comma il quale stabilisce che la fabbricazione clandestina degli spiriti - che il primo comma dello stesso articolo punisce con la reclusione da tre mesi a due anni nonchè con una multa ragguagliata al prodotto - "è provata anche dalla sola presenza, in uno stesso locale o in locali annessi o attigui, dell'apparecchio di distillazione [...] e di materie alcooliche".
Nell'ordinanza di rimessione si assume che la norma, configurando un reato autonomo rispetto a quello previsto dal primo comma, contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione perchè parificherebbe irragionevolmente due reati di diversa gravità assoggettandoli alla stessa pena, senza tener conto che la detenzione di apparecchiature atte alla distillazione e di materie alcoliche è una condotta indicativamente prodromica alla consumazione di altra e più grave, quale è quella di fabbricazione clandestina degli spiriti.
2.- La questione non è fondata.
Questa Corte, con sentenza n. 62 del 1967, ha disatteso analoga questione, pur muovendo dalla stessa premessa interpretativa su cui si basa l'ordinanza di rinvio che ha promosso il presente giudizio e che cioè il primo ed il terzo comma dell'art. 37 configurerebbero due reati fra loro distinti, quello di fabbricazione il primo e di detenzione il secondo.
Senonchè è da rilevare che quella interpretazione è messa in discussione dalla giurisprudenza e di recente anche la Cassazione (Cass. pen., Sez. 3u, 7 dicembre 1990, n. 3282) sembra presupporre che si sia in presenza di un'unica figura di reato, prevista dal primo comma, quella di fabbricazione clandestina degli spiriti, e che il terzo comma ponga soltanto una presunzione di prova della fabbricazione, consistente nella detenzione negli stessi locali - o in locali annessi o attigui - dell'apparecchiatura e del prodotto.
A questo orientamento interpretativo, discostandosi da quello posto a base della sentenza n. 62 del 1967, ritiene ora la Corte di aderire, ritenendolo maggiormente conforme al significato della disposizione impugnata, in quanto essa non si esprime con la formula cui solitamente il legislatore ricorre quando intenda equiparare una fattispecie criminosa ad un'altra, bensì si limita ad affermare che "la fabbricazione clandestina è provata anche dalla sola presenza [...] dell'apparecchio [...] e di materie alcooliche". Il reato è dunque unico: quello di fabbricazione clandestina, mentre la prova di esso può desumersi dalla contemporanea presenza delle apparecchiature e del prodotto.
Questa interpretazione non fa ugualmente andare incontro, sotto altro profilo, alle censure di incostituzionalità cui la richiamata sentenza di questa Corte n. 62 del 1967 aveva voluto ovviare quando, per escludere che la norma ponesse una presunzione iuris et de iure , non consentita in materia penale, affermò che essa configurasse una auto noma figura di reato equiparata quoad poenam a quella prevista dal primo comma.
Anche interpretando diversamente la norma impugnata, attribuendole il significato a suo tempo escluso da questa Corte, ciò non può indurre a ritenere che si sia in presenza di una presunzione iuris et de iure.
L'espressione adoperata dalla norma impugnata non autorizza a queste conclusioni non risultando alcun elemento da cui possa arguirsi che sia precluso all'imputato di fornire la prova contraria.
3.- Una volta escluso che l'art. 37, terzo comma, configuri una autonoma figura di reato (meno grave secondo la prospettazione del giudice a quo) assoggettato alla stessa pena di quello (più grave) previsto dal primo comma, viene meno la premessa da cui muove l'ordinanza di rinvio per denunciare l'ingiustificatezza della equiparazione, onde l'infondatezza della questione in riferimento al parametro costituzionale invocato.
4.- Sebbene non suscettibile - alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte - di essere preso in considerazione, in quanto non contenuto neppure implicitamente nei termini della questione quali fissati dall'ordinanza di rinvio, il profilo di contrasto della norma denunciata con l'art. 3 della Costituzione sul piano della irragionevolezza in sè dell'incriminazione penale, pro spettato dalla parte privata, viene ad essere assorbito nell'ambito delle considerazioni che precedono, giacchè anche questo profilo muove dal presupposto interpretativo di differenziazione delle fattispecie su cui è basata la questione sollevata; mentre va ricordato, circa la notazione di "obsolescenza" della risalente disciplina in argomento, che un aggiornamento di essa dovrà trovare sistemazione nell'ambito dell'esercizio della delega accordata al Governo, per il riordino del settore, con l'art. 1, comma 4, della legge 29 ottobre 1993, n. 427, per adeguarla alla esigenza di congruità della sanzione rispetto al bene giuridico leso.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE CPSTOTUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, terzo comma, del d.m. 8 luglio 1924 (Testo unico delle disposizioni di carattere legislativo concernenti l'imposta di fabbricazione degli spiriti) sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Udine con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 24/03/94.