SENTENZA N. 381
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), 22 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) e 1, comma 1, lett. d, del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75 (Concessione di amnistia), promosso con ordinanza emessa il 9 marzo 1992 dalla Corte d'Appello di Roma nel procedimento penale a carico di Riggi Fernando Antonio ed altro, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 maggio 1993 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto in fatto
1. Nel corso del procedimento penale a carico di Martini Ezio, che aveva prestato a un amico, Riggi Fernando, richiestone per ragioni di difesa personale, un'arma comune da sparo, il Tribunale di Cassino aveva condannato entrambi alla pena complessiva di un anno e 5 mesi di reclusione e a lire 160.000 di multa per i reati di dazione e ricezione in comodato di armi, ai sensi dell'art. 22 della legge 18 aprile 1975, n. 110. Comodante e comodatario avevano interposto gravame, chiedendo tra l'altro che, concessa loro l'attenuante prevista dall'art. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, che consente al giudice di diminuire la pena fino a due terzi in considerazione della quantità o della qualità dell'arma, fosse applicata l'amnistia di cui al d.P.R. 12 aprile 1990, n.75.
Nell'ipotesi che la Corte di appello avesse ritenuto di uniformarsi al < contrario e dominante indirizzo giurisprudenziale formatosi - in subiecta materia - presso la Corte di cassazione>, il difensore aveva eccepito nel corso del dibattimento, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale degli articoli 5 della legge n. 895 del 1967, 22 della legge n. 110 del 1975 e 1, comma 1, lett. d), del d.P.R. n.75 del 1990.
2. La Corte d'appello di Roma ha condiviso il contenuto dell'eccezione e ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei termini esposti dalla parte privata, sulla premessa che la corrente interpretazione dell'art. 5 della legge n. 895 del 1967 e dell'art. 22 della legge n. 110 del 1975 (consolidatasi a partire dalla sentenza n. 2061 del 22 ottobre 1982 della prima sezione penale della Corte di cassazione) non consentirebbe di accordare agli appellanti l'attenuante prevista dalla prima disposizione, che riguarderebbe i soli reati contemplati dalla legge n. 895 e non quelli di cui alla legge n. 110. Si sarebbe così creata un'evidente e macroscopica disparità di trattamento tra i venditori (abusivi) di armi e coloro che le concedono in comodato, posto che soltanto ai primi, e non anche ai secondi, è possibile riconoscere l'attenuante di cui all'articolo 5 della citata legge n. 895 e, quindi, il diritto a usufruire del provvedimento di clemenza. Tale disparità sarebbe irrazionale, giacchè < nella vendita di un'arma possono intravedersi gli estremi di un fatto non meno preoccupante del momentaneo prestito di un identico ordigno>. L'eguale gravità dei due tipi di fatti delittuosi e il pari allarme sociale suscitato dai medesimi avrebbe dovuto perciò comportare l'equiparazione delle discipline.
Sembrerebbe pertanto fondato il dubbio di costituzionalità, sollevato con riferimento all'art. 3 della Costituzione, del combinato disposto dei predetti articoli nella parte in cui non accorda la diminuzione di pena di cui all'art. 5 della legge ai responsabili del reato previsto dall'art. 22, e nella parte in cui non concede a questa ipotesi di reato, l'amnistia di cui al d.P.R. n. 75 del 1990.
La questione sarebbe rilevante nel giudizio, poichè il suo accoglimento comporterebbe l'applicazione del provvedimento di clemenza a entrambi gli imputati.
3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto la declaratoria d'inammissibilità o d'infondatezza della questione. Ha osservato l'Avvocatura che l'ordinanza del giudice a quo muove da una interpretazione corrente secondo cui la circostanza attenuante del fatto di lieve entità prevista dall'art. 5 della citata legge n. 895 sarebbe applicabile solo alle fattispecie regolate dalla stessa legge e non anche alle violazioni contenute nell'altra legge sulle armi, la n. 110 del 1975.
Pur non ignorando che l'orientamento assunto come < diritto vivente> è senza dubbio maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, l'Avvocatura asserisce che, per non essere questo unanime (in senso contrario avrebbe deciso Cassazione, Sez. I, 30 luglio 1981, n. 7660 e 14 dicembre 1988, n.12456; ma, già prima, Cassazione, Sez. II, 2 novembre 1978, n. 13393) il giudice a quo potrebbe reinterpretare le disposizioni coinvolte per renderle conformi alla norma costituzionale che ritiene violata. L'impugnativa dell'art. 5 della legge n. 895 del 1967 risulterebbe inoltre priva di rilevanza ai fini della questione proposta.
Anche ammessa tale estensiva applicazione non ne conseguirebbe affatto l'applicazione dell'amnistia di cui al d.P.R. n. 75 del 1990 ai reati contemplati dalla normativa sulle armi contenuta nella legge n. 110 del 1975. L'art. 1, comma 1, lett. d), del d.P.R. invocato riguarderebbe infatti solo < i reati di cui all'art. 7 in relazione agli articoli 1, 2 e 4 della legge n. 895 del 1967 quando ricorre l'attenuante di cui all'articolo 5 della predetta legge...> e, cioé, esclusivamente le fattispecie riguardanti le armi comuni da sparo comprese nella legge n. 895, per le quali intervenga anche il giudizio di < lievità del fatto>. Si tratterebbe dunque di una scelta discrezionale del legislatore, al quale soltanto compete stabilire quali reati debbano rientrare nell'ambito di applicazione dell'amnistia (si citano le sentenze nn. 59 del 1980 e 214 del 1975 nonchè l'ordinanza 480 del 1991 di questa Corte).
Nella specie non ricorrerebbe, poi, una mani festa e intrinseca irragionevolezza del criterio seguito dal legislatore, che le citate decisioni individuano come unico limite alla insindacabilità delle opzioni legislative. Ciò perchè tra la fattispecie di cui all'art. 22 della legge n.110 e le altre comprese nella legge n. 895 sussisterebbero obiettive differenze di contenuto e di tutela (si cita la sentenza della Corte di cassazione, I Sez. penale, del 19 dicembre 1989, n. 17558, che ha ritenuto, in relazione al parametro costituzionale di eguaglianza, manifestamente infondata un'identica questione, sia pure con riferimento al precedente decreto concessivo di amnistia).
La questione, prima ancora di essere decisa nel merito, andrebbe dichiarata inammissibile per un doppio ordine di ragioni. Da un lato, perchè il remittente farebbe richiesta di una sentenza a contenuto additivo in ambito non costituzionalmente obbligato e, perciò, riservato alla discrezionalità del legislatore (ordinanze nn. 80 del 1991, 125 del 1988 e 438 del 1987); e da un altro, perchè il giudice remittente lamenterebbe non tanto un dato puramente interpretativo (riguardante l'applicazione della diminuente a fattispecie estranee alla legge n. 895), quanto la mancanza di una vera e propria < norma di interpretazione autentica> in materia di legislazione sulle armi che, in tal modo, verrebbe a costituire una sorta di censura di incostituzionalità all'omissione del legislatore che non avrebbe inserito nell'elenco dei reati amnistiabili pure la fattispecie disegnata dall'art.22 della legge n. 110 del 1975 (si citano, ancora, ord. n. 317 del 1991, la sent. n. 26 del 1990 e l'ord. n. 848 del 1988).
Considerato in diritto
l. L'ordinanza di remissione chiede a questa Corte se sia costituzionalmente legittimo, in relazione all'art. 3 della Costituzione, il combinato disposto degli artt. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, 22 della legge 18 aprile 1975, n. 110, e 1, comma 1, lett. d), del d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, là dove non consente di accordare la diminuzione di pena prevista dal citato art. 5 ai responsabili del reato di cui all'art.22, nonchè là dove non prevede di concedere a questi ultimi l'amnistia di cui al d.P.R. citato.
Si tratta, in realtà, di questione che deve essere scomposta nelle due seguenti:
A) se, in relazione all'art. 3 della Costituzione, sia legittimo l'art. 5 della legge n. 895, nella parte in cui, alla luce del diritto vivente, non sia applicabile anche alla figura del reato di comodato delle armi prevista dall'art. 22 della legge n. 110;
B) se, in relazione all'art. 3 della Costituzione, sia legittimo l'art. 1, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 75 del 1990, nella parte in cui non consente l'applicazione dell'amnistia alla figura di reato di cui all'art.22 della menzionata legge n. 110 (comodato di armi), al contrario di quanto previsto per le figure di reato di cui agli artt. 1, 2 e 4 della già richiamata legge n. 895 (che regolano altre ipotesi delittuose in materia di armi, fra le quali anche la < cessione a qualsiasi titolo> delle stesse) quando ricorra l'attenuante di cui al predetto art. 5 della legge n. 895.
Essendo questioni successive, occorre esaminarle nel loro stretto ordine logico.
2. Deve, anzitutto, riguardarsi la prima questione, quella che, fondandosi sul diritto vivente, lamenta l'inapplicabilità della diminuente del fatto di lieve entità, di cui all'art. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, anche alla figura di reato del comodato delle armi, prevista dall'art. 22 della legge 18 aprile 1975, n. 110.
La giurisprudenza prevalente della Corte di cassazione, dopo qualche iniziale incertezza, si è stabilizzata nel senso di negare l'applicabilità dell'attenuante al di fuori delle fattispecie criminose richiamate dall'art.5 della legge n. 895 (artt. 1, 2, 3 e 4 della medesima legge). In tal modo si è venuto superando, di fatto, l'opposto orientamento che, sulla base di sporadici precedenti della stessa Cassazione, questa Corte aveva ritenuto di avallare con la decisione n. 199 del 1982 (seguita dalla sentenza n. 382 del 1987 e dall'ordinanza n. 542 del 1988).
L'orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale l'inapplicabilità dell'attenuante del fatto di lieve entità (di cui all'art. 5 della legge n. 895) alle figure criminose disegnate dalla legge n. 110 troverebbe il suo fondamento e la sua spiegazione in differenti ragioni di politica cri minale, non fa certo contrastare la norma con l'invocato principio di ragionevolezza. Tanto più che la figura di reato del comodato delle armi (art. 22 della legge n. 110) appare assai diversa da quella, da cui pure storicamente deriva, della messa in vendita delle armi (art. 1 della legge n. 895).
Anzi, esso sanziona come fatto d'indubbia gravità una potenziale circolazione delle armi, in quanto ben più rapida ed efficace di quella con trasferimento a titolo definitivo qual è la cessione, specie onerosa.
Non è dunque priva d'una sua ratio e, perciò, non è irragionevole la previsione dell'art. 5 della legge n. 895 del 1967 (secondo l'interpretazione della Corte di cassazione) nella parte in cui delimita la sua applicabilità alle sole figure criminose disegnate da quella stessa legge.
La dichiarazione di non fondatezza della prima questione, rende inammissibile la seconda. Quest'ultima ha ad oggetto la pretesa irrazionale esclusione, dal provvedimento concessivo dell'amnistia (n. 75 del 1990), del delitto di comodato delle armi per l'ipotesi che fosse ritenuto ad esso applicabile l'attenuante prevista dall'art. 5 della legge n. 895 del 1967.
Ipotesi che ha formato oggetto della prima questione di costituzionalità e con la quale si intendeva creare, attraverso una pronuncia additiva di questa Corte, una norma non esistente nell'ordinamento giuridico. Essendo stata rigettata la prima questione e, pertanto, difettando del tutto nell'ordinamento la fattispecie di reato come indicata nell'ordinanza di remissione, ne consegue l'inammissibilità della seconda questione per carenza dell'oggetto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara non fondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), sollevata, in relazione all'art.22 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), dalla Corte d'Appello di Roma con l'ordinanza in epigrafe;
b) dichiara inammissibile, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. d), del d.P.R. 12 aprile 1990, n.75 (Concessione di amnistia), sollevata, in relazione all'art.22 della legge 18 aprile 1975, n. 110, dalla Corte d'Appello di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 28/10/93.