Ordinanza n. 480 del 1991

 

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ORDINANZA N. 480

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                  Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 9 gennaio 1991 dal Pretore di Cremona nel procedimento penale a carico di Parmigiani Stefano, iscritta al n. 418 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri;

Ritenuto che, con ordinanza del 9 gennaio 1991, il Pretore di Cremona ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., dell'art. 97, primo comma, del codice di procedura penale, "nella parte in cui consente che, allo scopo di celebrare il dibattimento e al di fuori di condizioni di particolare urgenza per l'acquisizione della prova, l'imputato, rimasto privo del difensore di fiducia, che aderisca all'astensione dalle udienze proclamata dagli avvocati e procuratori del foro locale, sia assistito da un difensore d'ufficio";

che il giudice remittente premette che, nel giorno fissato per il dibattimento, i difensori di fiducia dell'imputato erano venuti in aula e avevano comunicato di aderire all'astensione dalle udienze proclamata dagli avvocati e procuratori del foro di Cremona e che, a seguito della nomina, su richiesta del pubblico ministero, di un difensore di ufficio, regolarmente presentatosi, l'imputato dichiarava di non voler essere giudicato in mancanza dei legali di fiducia, mentre il p.m. insisteva per la celebrazione del dibattimento;

che, ciò posto in punto di fatto, il remittente, dopo aver compiuto un'ampia analisi dell'attività del difensore nel nuovo processo penale, rilevando che essa è più gravosa rispetto al passato, osserva che la rottura ab externo del vincolo che lega l'imputato al difensore di fiducia disperde un patrimonio di conoscenze indispensabili alla valutazione completa dei fatti, producendo conseguenze non rimediabili per l'accusato; né la presenza del difensore di ufficio riesce a neutralizzare quei risultati negativi, poiché spesso la diffidenza e la mancanza di collaborazione del prevenuto con il suddetto legale, che è impreparato al processo, perpetuano la crisi di effettività della difesa, che la direttiva n. 105 della legge-delega n. 81 del 1987 imponeva di evitare;

che, d'altra parte, prosegue il giudice a quo, esistono altre esigenze primarie da considerare, quale quella ad una corretta e celere amministrazione della giustizia, per cui occorre, in definitiva, individuare un criterio selettivo idoneo a contemperare gli interessi in gioco, in quanto, da un lato, il processo penale non può subire una stasi ingiustificata a causa dello sciopero del legale di fiducia, e, dall'altro, la celebrazione del dibattimento senza quel difensore (che esercita una facoltà legittima) danneggia l'imputato, il quale risente il pregiudizio di un'assistenza tecnica insufficiente: tale contemperamento di opposte esigenze è possibile, conclude il remittente, sostenendo che "la celebrazione del dibattimento in mancanza del difensore di fiducia, il quale partecipi ad uno sciopero di categoria, non viola il diritto di difesa solo se la sospensione o il rinvio arrecano un nocumento irreparabile alla formazione della prova";

che, quanto, infine, alla rilevanza della questione, il remittente osserva che essa appare indubbia, dato che "l'assistenza del legale di ufficio, il quale era all'oscuro degli atti di causa e nemmeno aveva chiesto il termine a difesa (art. 108 c.p.p.), con alta probabilità sarebbe stata ininfluente sul destino processuale dell'imputato";

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione;

Considerato che, come ha esattamente rilevato l'Avvocatura dello Stato, il giudice remittente è incorso in un evidente errore nella individuazione della norma applicabile al caso concreto, il quale rientra chiaramente nella disciplina dettata dal quarto comma dell'art. 97 e non in quella di cui al primo comma del medesimo articolo;

che, invero, come emerge dal semplice raffronto tra le due disposizioni ora citate (e ritiene anche la dottrina), l'espressione "ne è rimasto privo" (contenuta nell'impugnato primo comma) si riferisce esclusivamente alle ipotesi di definitivo venir meno dell'assistenza fiduciaria (per revoca, rinuncia, morte, ecc.), mentre in ogni altro caso opera la previsione del quarto comma, secondo cui il giudice o il pubblico ministero designano un "sostituto" immediatamente reperibile del difensore di fiducia, quando questi "non è stato reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa";

che non vi è dubbio che quanto verificatosi nel giudizio a quo rientri in tale ultima previsione, per il decisivo rilievo che nella fattispecie il rapporto fiduciario era ancora esistente, benché il difensore non fosse in quel momento presente al processo;

che, in conclusione, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile per irrilevanza;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 97, primo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Cremona con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1991.