Sentenza n. 217 del 1993

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SENTENZA N. 217

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO giudice

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 274, secondo comma, del codice penale militare di pace, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 9 luglio e il 2 aprile 1992 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale Militare di La Spezia nei procedimenti penali a carico di Tocci Ottavio e Barile Ciro, iscritte ai nn. 664 e 667 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1993 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

 

Ritenuto in fatto

 

l. Nel corso di due distinti procedimenti penali, l'uno a carico di Tocci Ottavio e l'altro nei confronti di Barile Ciro, il primo imputato di diserzione (art. 148, n. 2, codice penale militare di pace) ed il secondo del reato di mancanza alla chiamata (art. 151 codice penale militare di pace), il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 274, secondo comma, codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 3, 25 e 97 della Costituzione.

 

I militari, accusati di diserzione per non essersi presentati nei termini di legge ai corpi di appartenenza (rientranti nella giurisdizione territoriale di Pisa), si erano < volontariamente costituiti>, nelle more della celebrazione dell'udienza preliminare, al distretto militare della città di nascita, l'uno, e di residenza, l'altro, da dove poi erano stati, rispettivamente, il secondo avviato alle armi e il primo riavviato alla prosecuzione del servizio militare.

 

Così, il processo a loro carico, incardinato presso il Tribunale militare di La Spezia (competente anche per il territorio del distretto di Pisa, nel quale rientravano i corpi di appartenenza di entrambi i militari), si sarebbe dovuto rimettere, ai sensi dell'art.274 codice penale militare di pace, ai Tribunali dei luoghi dov'era avvenuta la < volontaria costituzione> degli imputati.

 

2. Ha premesso il giudice remittente che in base all'art. 210 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale - che ha fatto salve le previsioni in materia di competenza stabilite dalle leggi speciali - trova ancora piena applicazione l'art. 274 codice penale militare di pace, atteggiandosi in materia di competenza a disciplina speciale rispetto a quella generale del codice di procedura penale.

 

Ha precisato, altresì, che la nozione di < volontaria costituzione>, indicata nella disposizione in esame, non va intesa come attività di costituzione dell'imputato colpito da provvedimento restrittivo della libertà personale, ma nel senso - costantemente affermato dalla giurisprudenza dei tribunali militari - di spontanea presentazione all'autorità militare con l'intenzione di porsi a disposizione di essa.

 

3. La norma impugnata, secondo l'ordinanza di remissione, sarebbe in contrasto, innanzitutto, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione contenuto nell'art.97 della Costituzione, in quanto fonte di inconvenienti alla funzionalità della giurisdizione militare. Una volta iniziate le indagini preliminari presso l'ufficio di procura nel cui territorio ove ha sede il reparto di appartenenza del militare (o presso cui doveva presentarsi), il processo deve essere trasmesso al Tribunale militare competente per territorio, sede del corpo o reparto dove nel frattempo, per qualsiasi motivo, questi si sia spontaneamente presentato.

 

Deriverebbero, a giudizio del remittente, apprezzabili inconvenienti, giacchè la polizia giudiziaria militare resterebbe sempre quella del reparto denunciante, mentre il pubblico ministero competente sarebbe quello del diverso e più lontano Tribunale militare. E, inoltre, il rapporto inter corrente tra l'ufficio del pubblico ministero e la polizia giudiziaria militare, impersonata dai comandanti di corpo ai sensi dell'art. 301 codice penale militare di pace, non si configura come un rapporto esclusivamente processuale, bensì anche ordinamentale, in quanto il procuratore militare della Repubblica riveste contemporaneamente, ai sensi dell'art. 52 del regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022, la qualità di consulente legale dei comandi militari locali in materia di giustizia militare.

 

Un appesantimento e una complicazione della procedura, che sarebbero non conformi al principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia.

 

4. Ad avviso del giudice a quo, la norma sarebbe viziata altresì dalla violazione dell'articolo 25, primo comma, della Costituzione. Essa consentirebbe all'imputato la scelta dell'organo che lo deve giudicare, attraverso la sua < spontanea presentazione> presso un reparto anzichè un altro.

 

La lesione del parametro si rivelerebbe considerando la volontarietà della costituzione, deliberata dopo la consumazione del delitto e indipendentemente da questo. In tal modo si creerebbe una situazione simile a quella che indusse il legislatore, nel 1977, alla modifica dell'art. 39 dell'abrogato codice di procedura penale diretta a sottrarre all'imputato l'anomalo potere di scegliersi l'organo giudiziario, inquirente o giudicante.

 

5. Il remittente lamenta, infine, la lesione dell'art. 3 della Costituzione, sostenendo che la disciplina prevista dall'art. 274, secondo comma, sarebbe incongrua e illogica, sia pure in via derivata, in ragione dell'opera abolitiva della Corte costituzionale e di quella riformatrice del legislatore.

 

Nel precedente sistema normativo, anteriore all'entrata in vigore della legge 5 agosto 1988, n. 330, e del nuovo codice di procedura penale, anteriore altresì alla sentenza n. 503 del 1989 di questa Corte (la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 308 codice penale militare di pace, che imponeva l'obbligo di arresto in flagranza per qualunque reato militare), la norma impugnata, stabilendo la competenza territoriale del < tribunale militare del luogo dell'arresto, della consegna o della volontaria costituzione>, aveva una sua logica spiegazione volta com'era ad evitare < le lungaggini e il dispendio che importerebbero la traduzione di un detenuto da un luogo ad un altro> (relazione al progetto definitivo del codice penale militare di pace del 1941).

 

Fino al 1988 i militari assenti arbitrariamente dal Corpo venivano, in costanza dell'assenza, colpiti da ordini o mandati di cattura, e potevano essere arrestati, in flagranza, ai sensi dell'art. 308 codice penale militare di pace. Tale sistema è stato abolito dai combinati effetti risultanti dal la riforma della disciplina dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, attuata con la citata legge n. 330 che ha reso inapplicabile l'art. 314 codice penale militare di pace, e dalla declaratoria di incostituzionalità del già menzionato art. 308 pronunciata con la sentenza n. 503 del 1989.

 

Essendo venuto meno il sistema dell'obbligatorietà dell'arresto in flagranza per i reati militari, ne è scaturito che, di fatto, la perdurante assenza arbitraria del militare dal reparto viene solitamente eliminata con la < volontaria costituzione> dell'imputato.

 

Ciò in quanto una consolidata e uniforme interpretazione giurisprudenziale equipara la volontaria costituzione alla presentazione a una qualsiasi autorità militare con l'intenzione di porre fine all'assenza, escludendo la necessità di un provvedimento restrittivo. Ne conseguirebbe perciò, il venir meno di quella logicità, e congruenza, che erano alla base della norma censurata.

 

Considerato in diritto

 

l. La Corte è chiamata ad esaminare, in riferimento agli artt. 97, 25, secondo comma, e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 274, secondo comma, codice penale militare di pace nella parte in cui prevede che, in caso di volontaria costituzione dell'imputato di uno dei reati di assenza dal servizio, la competenza a conoscere del fatto appartenga al tribunale militare del luogo della volontaria costituzione, interpretandosi quest'ultima espressione come effettiva assunzione, o riassunzione, del servizio presso il corpo militare di appartenenza, indipendentemente dall'esistenza d'un provvedimento di coercizione personale a carico del militare inquisito.

 

Il giudice remittente ritiene che la norma non sia conforme a costituzione, in quanto contrasterebbe: a) con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, perchè provocherebbe seri inconvenienti al funzionamento della giustizia militare; b) con quello del giudice naturale, perchè consentirebbe all'imputato la scelta dell'organo giudicante; c) con quello di ragionevolezza, perchè la disciplina della competenza territoriale dei tribunali militari, un tempo ben giustificata, sarebbe ora - a seguito delle intervenute e non coordinate modificazioni normative - del tutto incongrua ed illogica.

 

In particolare, la riforma delle discipline dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, attuata con la legge n. 330 del 1988, che ha reso inapplicabile l'art.314 codice penale militare di pace, e la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 308 dello stesso codice (sent. n. 503 del 1989

), hanno fatto venir meno il sistema dell'obbligatorietà dell'arresto in flagranza per i reati militari e, quindi, il fondamento della norma ora impugnata, che aveva la sua logica spiegazione nella necessità di evitare lunghe e dispendiose traduzioni di detenuti da un luogo un altro.

 

2. La questione è infondata.

 

Non è dato cogliere come, all'altezza degli attuali livelli tecnologici (telefonia, telematica, ecc.), il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, per effetto di qualsivoglia modificazione o spostamento di competenza, possa seriamente dirsi vulnerato. La materia della competenza, che costituisce uno snodo assai importante tra la disciplina del processo e l'organizzazione giudiziaria, di fatto vive proprio di queste vicende. Nè potrebbero altrimenti giustificarsi le norme che disciplinano i conflitti fra più autorità giudiziarie e quelle - non oggetto del presente giudizio - riguardanti gli uffici giudiziari, che sono (o devono essere) organizzati in modo da far fronte agli eventi, almeno ordinari, dei processi.

 

Nel caso di specie, ci si duole anche degli inconvenienti nascenti dal coordinamento del processo con una disposizione ordinamentale (l'art. 52 del regio decreto n. 1022 del 1941) che attribuisce al procuratore presso i tribunali militari la qualità di consulente legale dei comandi locali in materia giudiziaria militare, con la conseguenza (deprecata) di andare incontro a diversi indirizzi e direttive.

 

Anche tale doglianza non ha pregio, perchè risolubile nell'ambito del Coordinamento delle diverse autorità di polizia giudiziaria, che è problema comune a tutte le forme (ordinaria e speciali) della giurisdizione penale.

 

3. La norma censurata prevedeva, ancora prima delle cennate modifiche legislative, una ipotesi di competenza territoriale alternativa (luogo dell'arresto, della consegna o della volontaria costituzione) per i reati di diserzione, mancanza alla chiamata e allontanamento illecito. Essa, tuttavia, è rimasta tale anche dopo le modificazioni al sistema, previgente, dell'obbligatorietà dell'arresto, in flagranza, per i reati militari.

 

L'asserita interpretazione del concetto di < volontaria costituzione>, prevista dal secondo comma dell'art. 274 codice penale militare di pace, era, del resto, già largamente acquisita in anni precedenti alle sottolineate modificazioni del regime della libertà personale avvenute fra il 1988 e il 1989 (si veda la decisione del Tribunale supremo militare del 18 maggio 1963, che decise il conflitto di competenza tra i pubblici ministeri militari di Padova e di Roma, in favore del secondo). La nuova normativa dei provvedimenti restrittivi della libertà personale ha dunque comportato un effetto indiretto, meramente fattuale, sulla concreta disciplina della competenza territoriale per i reati di assenza dal servizio, facendo accrescere il numero dei casi di < volontaria costituzione> dell'imputato, in ragione della impossibilità di procedere obbligatoriamente al suo arresto.

 

Con il conseguente aumento delle ipotesi di trasmigrazione della competenza dal luogo in cui si era aperto il procedimento a quello della volontaria presentazione dell'imputato.

 

4. Non può, pertanto, parlarsi di irrazionalità sopravvenuta della disciplina della competenza, poichè essa non è strutturalmente mutata, essendo rimasta identica anche dopo le cennate modificazioni normative. Nè l'accrescersi, in fatto, della frequenza di uno dei tre criteri di radicamento della competenza (quello della < volontaria costituzione>) rispetto agli altri due può ritenersi produttivo d'un irrazionale meccanismo di individuazione del giudice, poichè - nella previsione del legislatore - è soddisfacente il funzionamento anche di uno qualsiasi dei tre criteri, essendo essi del tutto equivalenti. Ciò che spiega pure l'infondatezza della ipotizzata lesione del principio del giudice naturale precostituito per legge.

 

5. Nella specie, come già si è detto, si versa in una ipotesi di competenza territoriale alternativa < la cui risoluzione pur sempre avviene in base a meccanismi stabiliti a priori dall'organo legislativo> (sent. n. 269 del 1992 che richiama la sent. n. 158 del 1982).

 

A tale proposito questa Corte, nel riaffermare che il principio della precostituzione del giudice sancito nell'art.25, primo comma, della Costituzione è rispettato < allorchè l'organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie> (sent. n. 269 del 1992 e sentt. ivi citate), ha ribadito che, comunque, < nulla [esso] ha da vedere con la ripartizione della competenza territoriale tra giudici, dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio> (sent. n. 269 del 1992, che richiama testualmente la sent. n. 251 del 1986).

 

E se nel caso esaminato con la sentenza n. 88 del 1962 l'alternativa fra più giudici venne ritenuta non conciliabile con l'art. 25 della Costituzione, perchè la sua risoluzione era affidata alle scelte < discrezionali> inerenti alla < designazione> del giudice per il singolo processo con provvedimento autoritativo ed insindacabile di organi dello stesso potere giudiziario, e dunque a posteriori, nel caso esaminato con la sent. n. 269 del 1992 la risoluzione riguardava, al contrario, un meccanismo stabilito a priori dal legislatore. Nè si dica che la < scelta> tra i fori alternativi, quando è rimessa a un comportamento rilevante della parte, integra la lesione del menzionato principio costituzionale.

 

La possibilità che il legislatore elevi a criterio di radicamento della competenza una attività dell'imputato (che non si riduca però a mero arbitrio) non può dirsi in contrasto con il principio costituzionale di precostituzione del giudice. Ciò non solo perchè già con la decisione di commettere un reato in un luogo anzichè in un altro l'imputato opera pure la < scelta> dell'ufficio giudiziario che dovrà poi giudicarlo; ma contestualmente perchè una tale < scelta>, se consente d'individuare l'ufficio giudiziario ove s'incardinerà il procedimento, non per questo consente la scelta del magistrato che in quel processo promuoverà l'azione penale o lo giudicherà. Del resto, costituisce mate ria sufficiente a garantire la congruità della scelta legislativa con l'invocato parametro costituzionale assumere a criterio di radicamento della competenza un comportamento non puramente arbitrario, che incontri, comunque, un ostacolo nella vischiosità dell'agire quotidiano o in fatti sociali e tecnici (sent. n. 1 del 1965).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di costituzionalità dell'art. 274, secondo comma, codice penale militare di pace sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 97 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 05/05/93.