Sentenza n. 269 del 1992

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SENTENZA N. 269

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20 del codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa il 19 ottobre 1991 dal Pretore di Brescia - Sezione distaccata di Montichiari nel procedimento civile vertente tra la S.r.l. C.T.G. e la S.n.c. C3F di Chittolina Evaristo e C. iscritta al n. 727 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1992;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1992 il Giudice relatore Renato Granata;

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 19 ottobre 1991, resa in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'adito Pretore di Brescia - ritenuto, in premessa, che l'eccezione di incompetenza territoriale ex art. 19 c.p.c. formulata dalla società opponente (avente sede in Verona) avrebbe dovuto essere respinta, in applicazione del successivo art. 20 stesso codice, per essere l'obbligazione azionata adempibile al domicilio del creditore (in territorio di Brescia) - ha reputato, di conseguenza, rilevante ed ha perciò sollevato d'ufficio (in riferimento all'art. 25, comma primo, Cost.) questione di legittimità costituzionale del predetto art.20 c.p.c. che appunto prevede due fori facoltativi (obbligationis e destinatae solutionis) alternativi al foro generale delle persone fisiche o giuridiche.

Secondo infatti il giudice rimettente, la scelta del giudice territorialmente competente, in tal modo rimessa all'arbitrio dell'attore, contrasterebbe con il principio del giudice naturale precostituito per legge, così come anche interpretato dalla sentenza della Corte n.88/1962 che ha escluso "la possibilità in ordine alla stessa materia dell'alternativa fra un giudice ed un altro risolubile a posteriori ... in relazione ad un dato procedimento".

2. L'Avvocatura dello Stato, per l'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, ha contestato la fondatezza dell'impugnativa.

All'uopo ha sostenuto che - risultando nel denunziato art. 20 c.p.c. pur sempre determinati in anticipo i criteri equiordinati che definiscono l'eguale competenza di più giudici - la scelta rimessa a chi assume l'iniziativa giudiziale non è di conseguenza incompatibile con la "naturalità" - da intendere come precostituzione per legge - del giudice adito.

Considerato in diritto

1. Nel sistema del vigente codice di procedura civile, l'individuazione del giudice territorialmente competente avviene in linea di principio sulla base di un criterio soggettivo (c.d. foro generale) di collegamento, rispettivamente, con la residenza (domicilio o dimora) della persona fisica (art. 18) o con la sede (o luogo in cui vi è uno stabilimento o rappresentante autorizzato) della persona giuridica (art.19) convenuta e - in via derogatoria (fori speciali) - alla stregua di criteri correlati al petitum e/o alla causa petendi di determinate tipologie di controversie (artt. da 20 a 24) ovvero ancora ad esigenze organizzative dell'amministrazione pubblica evocata in giudizio (art. 25).

I fori speciali prevalgono su quello generale e sono quindi, di regola, anche esclusivi: ad eccezione del "foro per le cause relative a diritti di obbligazione" espressamente qualificato come "facoltativo" dall'art. 20 sub iudice.

Ciò comporta - come è pacifico in dottrina e giurisprudenza - che, nelle cause relative all'ultima indicata categoria di rapporti, il soggetto che assume l'iniziativa della lite può a sua scelta convenire la controparte innanzi al giudice del luogo ove questa risiede (o, se persona giuridica, ha la sua sede) ex artt. 18 - 19, ovvero "del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio" (art.20).

E da ciò appunto discenderebbe, secondo il giudice a quo, la vulnerazione del precetto costituzionale dell'art. 25, comma primo, da parte del citato art. 20 c.p.c.: per essere - a quanto si assume - in questo caso "rimessa al mero arbitrio dell'attore la scelta del giudice competente per territorio".

2. La questione così prospettata è destituita di fondamento.

Già con sentenza n. 119 del 1963, questa Corte ha avuto modo, sia pur incidentalmente, di affermare che "l'art. 20 c.p.c. ... fa parte di quel sistema di norme regolatrici della competenza nel processo civile le quali, preordinate, come sono, all'insorgere delle singole controversie, non contrastano col precetto costituzionale del giudice naturale". E questa conclusione va ora espressamente ribadita alla luce del consolidato indirizzo interpretativo dell'art. 25, comma primo, Cost.: per cui appunto il principio della precostituzione del giudice, ivi sancito, deve ritenersi rispettato allorchè l'organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie (cfr. sent. 29/58; 22/59; 1/65; 508/89 ex plurimis); e comunque, in particolare, "nulla [esso] ha da vedere con la ripartizione della competenza territoriale tra giudici dettata "da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudizio" (cfr. 251/1986).

Nè con tale giurisprudenza può dirsi che contrasti la decisione richiamata dal giudice a quo, n. 88 del 1962, che ha dichiarato l'illegittimità degli artt. 30 e 31 c.p.p.

Invero "l'alternativa fra più giudici", in quel caso ritenuta non conciliabile con l'art. 25 Cost., è quella risolubile in base unicamente a scelte "discrezionali" - specificamente inerenti alla "designazione" del giudice per il singolo processo - operate a posteriori con "provvedimento", autoritativo ed insindacabile, di organi dello stesso potere giudiziario.

Alternativa - peraltro - che si riconduce, all'evidenza, ad ipotesi paradigmatica ben diversa da quella nella specie ricorrente (o da quelle analoghe prefigurate all'interno degli stessi artt. 18 e 19 citt.), la cui risoluzione pur sempre avviene in base a meccanismi stabiliti a priori dall'organo legislativo (cfr. pure sent. 158/82).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.20 cod. proc. civ., in riferimento all'art. 25, comma primo, della Costituzione, sollevata dal Pretore di Brescia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 12/06/92.