ORDINANZA N. 74
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del- l'art. 6, comma 1 e 2, del d.l. 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale), convertito in legge 1° giugno 1991, n. 166, dell'art.16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), e dell'art. 4, comma 1, del d.l. 20 marzo 1992, n. 237 (Misure urgenti in campo economico ed interventi in zone terremotate), promosso con ordinanza emessa il 22 aprile 1992 dal Pretore di Parma nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Spinabelli Maria ed altre e l'I.N.P.S., iscritta al n. 478 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di costituzione di Spinabelli Maria nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso contro l'INPS da Maria Spinabelli e altre, titolari di pensione diretta integrata al minimo e di pensione di riversibilità, per ottenere la riliquidazione della seconda pensione con integrazione al minimo nell'importo cristallizzato alla data del 30 settembre 1983, il Pretore di Parma, con ordinanza del 22 aprile 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 6, comma 1 e 2, del d.l. 29 marzo 1991, n.103, convertito in legge 1° giugno 1991, n. 166, il quale, in relazione alle controversie in materia di previdenza sociale, precisa che i termini previsti dall'art. 47, primo e secondo comma, del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, per l'esercizio dell'azione giudiziaria sono posti a pena di decadenza dal diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali, aggiungendo che la disposizione ha efficacia retroattiva salvo che per i processi in corso alla data di entrata in vigore del decreto;
b) dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n.412, secondo cui l'importo dovuto dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria a titolo di interessi per ritardato pagamento della prestazione è portato in detrazione dalle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subìto dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito;
c) dell'art. 4, comma 1, del d.l. 20 marzo 1992, n. 237, portante interpretazione autentica dell'art. 6, comma 5, 6 e 7, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638, "nel senso che nel caso di concorso di due o più pensioni integrate al trattamento minimo liquidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del predetto decreto, l'importo del trattamento minimo vigente a tale data è conservato su una sola delle pensioni";
che, ad avviso del giudice remittente, la norma sub a) contrasta con l'art. 3 Cost. sia perchè discrimina ingiustificatamente a seconda che la domanda giudiziale sia stata proposta prima o dopo l'entrata in vigore del decreto, sia perchè collega irrazionalmente la perdita del diritto a comportamenti per i quali precedentemente non erano previsti termini di decadenza o prescrizione; con l'art. 38 Cost. perchè tale effetto privativo è disposto "in danno di soggetti deboli e riconosciuti meritevoli di particolare tutela"; con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., in quanto violerebbe l'indipendenza della funzione giurisdizionale; con l'art. 136 Cost., in quanto impedirebbe l'efficacia retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale relative all'integrazione al minimo;
che la norma sub b) è ritenuta contraria agli artt. 3 e 38 Cost. perchè produce disparità di trattamento tra crediti previdenziali e crediti di lavoro, nonchè all'art. 136 Cost. perchè contraddice la sentenza n. 156 del 1991 di questa Corte;
che la norma sub c) è ritenuta lesiva dell'art. 3 Cost., dovendosi considerare irrazionale il ricorso allo strumento dell'interpretazione autentica per effettuare una sostanziale modifica legislativa; dell'art.38, secondo comma, Cost., perchè non garantisce al lavoratore mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita; dell'art. 136 Cost., perchè vanifica le sentenze costituzionali che hanno dichiarato illegittime le norme impeditive della doppia integrazione al minimo, e in particolare la sentenza n. 418 del 1991; dell'art. 77 Cost., perchè riproduce una disposizione già contenuta nel disegno di legge governativo recante disposizioni in materia di finanza pubblica e da questo espunta in sede di approvazione della legge n. 412 del 1991;
che nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la parte privata chiedendo per la prima e la terza questione una declaratoria di fondatezza, per la seconda una declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di fondatezza;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che tutte le questioni siano dichiarate infondate.
Considerato che questa Corte ha già dichiarato la questione sub a) non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., con sentenza n. 246 del 1992, e manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 101, 102, 104 e 136 Cost., con ordinanza n. 376 del 1992;
che nel caso oggetto del giudizio a quo la fattispecie del ritardo imputabile del pagamento della prestazione previdenziale si è perfezionata anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 412 del 1991 (31 dicembre 1991), onde la questione sub b) risulta irrilevante giusta il criterio accolto da questa Corte con sentenza n. 394 del 1992;
che il d.l. n. 237 del 1992 di cui sub c) non è stato convertito in legge (e uguale sorte è toccata al successivo d.l. 21 luglio 1992, n.345, non reiterato), di guisa che ha perduto efficacia fin dall'inizio;
che le dette questioni, precedentemente sollevate dallo stesso Pretore con ordinanza di analogo tenore in data 12 marzo 1992, sono già state definite da questa Corte con ord. n. 410 del 1992.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 1 e 2, del d.l.29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale), convertito nella legge 1° giugno 1991, n. 166, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38, secondo comma, 101, 102, 104 e 136 della Costituzione, dal Pretore di Parma con l'ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38 e 136 della Costituzione, dal nominato Pretore con la medesima ordinanza;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, del d.l. 20 marzo 1992, n. 237 (Misure urgenti in campo economico ed interventi in zone terremotate), non convertito in legge, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38, 77 e 136 della Costituzione, dal nominato Pretore con la medesima ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/02/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 26/02/93.