Sentenza n. 24 del 1993

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SENTENZA N. 24

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art.30 (recte: combinato disposto degli artt. 30 e 31) della legge 19 maggio 1976, n. 335 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni), promossi con n. 2 ordinanze emesse il 13 giugno 1991 dalla Corte di cassazione - Sezioni Unite Civili sui ricorsi proposti da Emidio Massi ed altri contro il Procuratore Generale della Corte dei conti ed altri, iscritte ai nn. 302 e 429 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23 e n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti gli atti costituzione di Emidio Massi ed altri;

 

udito nell'udienza pubblica del 3 novembre 1992 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

udito l'avv. Giulio Correale per Emidio Massi ed altri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di cassazione, con due ordinanze in data 13 giugno 1991 - emesse in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, proposto in relazione a giudizi di responsabilità pendenti dinanzi alla Corte dei conti per danni che si asserivano cagionati, fra gli altri, dai componenti della giunta regionale delle Marche ad una unità sanitaria locale - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e 103 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 della l. 19 maggio 1976, n. 335, "nella parte in cui correla la responsabilità patrimoniale degli amministratori e dipendenti delle regioni alla incidenza del danno, derivante da violazione di obblighi di funzione o di servizio, sull'erario dell'ente regione e non anche dello Stato o di altro ente pubblico".

 

Nelle ordinanze di rimessione si osserva che, secondo l'interpretazione giurisprudenziale consolidata, l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte del giudice contabile postula l'esistenza di un rapporto di impiego, o quanto meno di servizio, caratterizzato dall'inserimento del soggetto danneggiante nella struttura organizzativa dell'amministrazione danneggiata, cosicchè, ove il danno cagionato dagli amministratori regionali non incida, come nel caso di specie, sulla finanza regionale, ma su quella statale, essi non sono sottoponibili a giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti.

 

Secondo il giudice a quo, in tal modo, viene consentito agli amministratori regionali di commettere irregolarità, restando esonerati da responsabilità. Ciò in contrasto con la tendenza legislativa al riguardo - caratterizzata dalla introduzione di norme sanzionatrici di responsabilità personale dei componenti dei Comitati regionali di controllo nei confronti degli enti locali per i danni a questi arrecati con dolo o colpa grave nell'esercizio delle loro funzioni (art. 16 della legge 27 febbraio 1978, n. 43 ed art.58 della legge 8 giugno 1990, n. 142), - nonchè con l'indirizzo della Corte costituzionale, secondo la quale spetta allo Stato, e per esso al procuratore generale della Corte dei conti, promuovere l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti delle regioni per l'accertamento di eventuali danni connessi all'esercizio delle loro funzioni, senza ulteriori condizionamenti (sentt. n. 421 e n. 995 del 1988).

 

Ciò premesso, si afferma nelle ordinanze che l'introduzione nel sistema di una esenzione da responsabilità per il caso in cui l'ente pubblico danneggiato sia diverso dall'ente regione, viola il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), l'art. 97 Cost., che vuole assicurato il buon andamento della pubblica amministrazione, nonchè l'art. 103, secondo comma, Cost., che devolve alla Corte dei conti la giurisdizione in materia di responsabilità patrimoniale dei pubblici dipendenti.

 

Dinanzi a questa Corte si sono costituiti i componenti della giunta regionale delle Marche, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata.

 

In relazione alla prima richiesta, si osserva che la limitazione alla giurisdizione della Corte dei conti ritenuta illegittima, non è stabilita nell'impugnato art. 30 della legge n. 335 del 1976, ma nel successivo art. 3l.

 

Quanto alla non manifesta infondatezza, si deduce che erroneamente il giudice a quo ha ritenuto la sussistenza, alla stregua della normativa impugnata, di una irresponsabilità degli amministratori regionali per i danni arrecati, nell'esercizio delle loro funzioni, ad enti diversi dalla regione. Detta normativa, infatti, si limita ad escludere in proposito la giurisdizione della Corte dei conti, ma resta al riguardo, secondo i principi generali, quella del giudice ordinario.

 

Circa la esclusione della giurisdizione della Corte dei conti, si rammenta che alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale - e della stessa Corte di cassazione remittente - l'art. 103 Cost., va interpretato nel senso che la giurisdizione della Corte dei conti, in materia di contabilità pubblica e responsabilità amministrativa, è tendenzialmente generale, ma esige l'interpositio legislatoris, il quale può legittimamente lasciare la cognizione, in relazione a determinate fattispecie, al giudice ordinario, che è normalmente competente in materia di diritti soggettivi.

 

Ne deriva che la normativa non lede la Costituzione e comunque non contrasta con alcun principio normativo della specifica materia.

 

Considerato in diritto

 

1. I giudizi promossi con le ordinanze di rimessione, avendo ad oggetto la medesima questione, vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

 

2. La Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 della l. 19 maggio 1976, n. 335, "nella parte in cui correla la responsabilità patrimoniale degli amministratori e dipendenti delle regioni alla incidenza del danno, derivante da violazione di obblighi di funzione o di servizio, sull'erario dell'ente regione e non anche dello Stato o di altro ente pubblico". Ne ha dedotto il contrasto con l'art. 3 Cost., non essendo ragionevole una esenzione dalla responsabilità ove l'ente pubblico danneggiato sia diverso dall'ente regione; con l'art. 97 Cost., che vuole assicurato il buon andamento della pubblica amministrazione; con l'art. 103 Cost. in quanto, una volta devoluta legislativamente alla Corte dei conti la materia della responsabilità patrimoniale degli amministratori e dei dipendenti della Regione per i danni derivanti dalla violazione di obblighi di funzioni o di servizio, una limitazione dell'attribuzione relativamente al danno subito dallo stesso ente pubblico di appartenenza e non di altro ente pubblico, risulterebbe artificiosa e disarmonica.

 

3. Va pregiudizialmente respinta l'eccezione d'inammissibilità della questione, formulata dalle parti private sotto il profilo che la limitazione alla giurisdizione della Corte dei conti non è stabilita dall'impugnato art. 30 della legge n. 335 del 1976, ma dall'art. 3l.

 

In effetti l'art. 30 (primo comma), della legge n. 335 del 1976 si limita a disporre che "gli amministratori e i dipendenti dalla regione sono tenuti a risarcire all'ente i danni derivanti da violazioni di obblighi di funzioni o di servizio, secondo le norme vigenti per le amministrazioni dello Stato". Il successivo art. 31, invece, statuisce che gli amministratori e i dipendenti della regione, in relazione alla responsabilità prevista dall'art. 30, "sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti nei modi previsti dalle leggi vigenti in materia".

 

Dall'esame delle ordinanze di rimessione risulta chiaro che il giudice a quo lamenta da un lato che gli amministratori regionali siano esentati da responsabilità per i danni derivanti da violazione dei loro obblighi di funzione o di servizio ad un ente pubblico diverso dalla regione.

 

Dall'altro, che in tali ipotesi essi non siano assoggettati alla giurisdizione della Corte dei conti.

 

Ne deriva che la questione deve intendersi riferita al combinato disposto degli artt. 30 e 31 della legge n. 335 del 1976 ed essendo essa chiaramente percepibile nelle ordinanze di rimessione, l'eccezione d'inammissibilità va respinta, in conformità della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la questione deve ritenersi validamente proposta ove la normativa impugnata, ancorchè inesattamente indicata, sia chiaramente identificabile in base alla prospettazione compiuta dal giudice a quo (cfr. da ultimo le sentenze nn.595, 446 e 115 del 1990).

 

4. Venendo all'esame del contenuto della questione, va rilevata l'inesattezza dell'affermazione - su cui il giudice a quo basa la dedotta violazione degli artt. 3 e 97 Cost. - secondo la quale dalla normativa impugnata deriverebbe esenzione di responsabilità per gli amministratori e i dipendenti regionali ove l'ente danneggiato sia lo Stato od altro ente pubblico.

 

In proposito va osservato che la responsabilità amministrativa patrimoniale dei dipendenti pubblici ha natura contrattuale, presupponendo l'esistenza di un rapporto di servizio tra l'autore del danno e l'ente danneggiato, nonchè la violazione di doveri inerenti a detto rapporto.

 

Tale responsabilità, a sua volta, costituisce presupposto della giurisdizione della Corte dei conti, che è esclusa, in via di principio, secondo consolidata giurisprudenza, ove manchi l'anzidetto rapporto che è base della responsabilità amministrativa.

 

É parimenti ius receptum che i pubblici dipendenti, per i danni cagionati nell'esercizio delle loro attribuzioni a terzi - siano questi soggetti privati, ovvero enti pubblici diversi da quelli ai quali siano legati dal rapporto di servizio - rispondono a titolo di responsabilità extracontrattuale e la giurisdizione al riguardo spetta al giudice ordinario.

 

Ne deriva che la asserita esclusione della responsabilità, per gli amministratori e i dipendenti regionali ove l'ente pubblico danneggiato sia diverso dalla regione, non sussiste, con la conseguente infondatezza della questione in relazione alla dedotta violazione degli artt. 3 e 97 Cost..

 

5. Quanto alla mancata devoluzione alla Corte dei conti della giurisdizione in ordine a detta ipotesi di responsabilità, va osservato che la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 102 del 1977, ha ritenuto il carattere non cogente ed assoluto, ma solo tendenzialmente generale, dell'attribuzione alla Corte dei conti, ad opera dell'art. 103 Cost., della giurisdizione in materia di contabilità pubblica, intesa come comprensiva sia dei giudizi di conto che di quelli sulla responsabilità amministrativa patrimoniale dei pubblici dipendenti ed amministratori.

 

La concreta attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità amministrativa è infatti rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario e non opera automaticamente in base all'art. 103 Cost., richiedendo l'interpositio legislatoris, al quale sono rimesse valutazioni che non toccano solo gli aspetti procedimentali del giudizio, investendo la stessa disciplina sostanziale della responsabilità (sentenze nn. 189 e 241 del 1984; n. 641 del 1987; nn. 411, 421 e 773 del 1988). Le relative scelte, pertanto, attenendo alla politica legislativa, non sono censurabili in sede di giudizio di legittimità costituzionale ed escludono la possibilità di sentenze additive, con la conseguente inammissibilità della questione sollevata.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 30 e 31 della legge 19 maggio 1976, n. 335 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con le ordinanze indicate in epigrafe;

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 30 e 31 della legge 19 maggio 1976, n. 335, sollevata in riferimento all'art. 103 della Costituzione, con le stesse ordinanze.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/01/93.

 

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 29/01/93.