Sentenza n. 350 del 1991

 

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SENTENZA N. 350

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 61, comma primo, lettera d), della legge della Regione Emilia-Romagna 15 maggio 1987, n. 20 (Organizzazione del territorio nella regione Emilia-Romagna ai fini della protezione della fauna selvatica e per l'esercizio controllato della caccia. Norme di adeguamento alla legge statale 27 dicembre 1977, n. 968. Abrogazione delle leggi regionali 16 agosto 1978, n. 431, 17 agosto 1978, n. 33, 6 marzo 1980, n. 14 e loro successive modifiche ed integrazioni), promosso con ordinanza emessa il 18 dicembre 1990 dal Pretore di Parma nel procedimento civile vertente tra Gaboardi Alberto e Amministrazione provinciale di Parma iscritta al n. 178 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 1991 il Giudice relatore Enzo Cheli;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel giudizio di opposizione promosso da Alberto Gaboardi avverso due ingiunzioni dell'Amministrazione provinciale di Parma per violazione di una norma in materia di caccia (addestramento di un cane in una zona di ripopolamento), il Pretore di Parma, con ordinanza del 18 dicembre 1990 (R.O. n. 178 del 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 61, primo comma, lettera d), della legge della Regione Emilia-Romagna n. 20 del 1987, recante "Organizzazione del territorio nella regione Emilia-Romagna ai fini della protezione della fauna selvatica e per l'esercizio controllato della caccia. Norme di adeguamento alla legge statale 27 dicembre 1977, n. 968. Abrogazione delle leggi regionali 16 agosto 1978, n. 431, 17 agosto 1978, n. 33, 6 marzo 1980, n. 14 e loro successive modifiche ed integrazioni".

Nell'ordinanza si espone che la legge in questione individua come "ambiti protetti" vari tipi di zone per la protezione e l'incremento della fauna selvatica e prevede, all'art. 18, zone nelle quali è permesso l'addestramento e l'allenamento dei cani, da ferma e da seguito, previa autorizzazione. La stessa legge regionale dispone poi, all'art. 61, primo comma, lettera d), che "l'addestramento dei cani in ambiti protetti" venga punito con la sanzione amministrativa che l'art. 31, lettera c), della legge quadro statale sulla caccia (legge 27 dicembre 1977, n. 968) prevede per l'esercizio della caccia in periodi non consentiti o in zone in cui sussiste il divieto di caccia.

Dal raffronto tra la disposizione dettata dall'art. 31, lettera c), della legge quadro statale e la norma regionale denunciata deriva, secondo il giudice a quo, il dubbio che la disposizione regionale sia lesiva dell'art. 117 della Costituzione, in base al quale il potere legislativo delle Regioni deve essere esercitato "nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato".

Ad avviso del giudice remittente, infatti, l'addestramento del cane non può essere equiparato all'esercizio della caccia regolato dall'art. 8 della legge statale n. 968, poiché il cane non è considerato mezzo di caccia, ai sensi dell'art. 9 della stessa legge, che prevede come mezzi di caccia solo il fucile, l'arco ed il falco.

Nell'ordinanza di rimessione si osserva, infine, che la stessa legge della Regione Emilia-Romagna, in un'altra delle sue norme, mostra di non considerare l'addestramento del cane come esercizio di caccia, dal momento che, quando tale addestramento avviene in periodi non consentiti, sia pure in zone in cui previa autorizzazione potrebbe avere luogo, la sanzione prevista non è più quella dell'art. 31, lettera c), della legge n. 968 del 1977, bensì quella più modesta indicata nella lettera n) dello stesso articolo.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte non si è costituita nessuna delle parti né vi sono stati interventi.

 

Considerato in diritto

 

1. - La questione sollevata dal Pretore di Parma investe l'art. 61, primo comma, lettera d), della legge regionale dell'Emilia-Romagna 15 maggio 1987, n. 20, dove si prevede, per chi addestri cani in ambiti protetti, l'applicazione della sanzione amministrativa stabilita, per coloro che esercitano la caccia in zone in cui sussiste il divieto di cacciare, dall'art. 31, lettera c), della legge-quadro 27 dicembre 1977, n. 968.

Ad avviso del giudice a quo, la norma in questione sarebbe incorsa nella violazione dell'art. 117 della Costituzione per il fatto di aver esteso la nozione di caccia - in deroga ai principi generali fissati dalla legge-quadro statale in tema di "esercizio della caccia" (artt. 8 e 9 l. n. 968 del 1977) - anche all'ipotesi dell'"addestramento dei cani".

2. - La questione è infondata.

Non può essere, infatti, condiviso l'assunto da cui muove l'ordinanza di rinvio, secondo cui la norma impugnata - nell'applicare all'ipotesi dell' "addestramento dei cani in ambiti protetti" la sanzione amministrativa prevista dalla legge statale per la caccia in zone in cui sussiste il divieto di cacciare - avrebbe indebitamente esteso la nozione di caccia fissata nell'art. 8 della legge n. 968, in relazione ai "mezzi di caccia" elencati nel successivo art. 9 (che non comprendono i cani).

In realtà, una corretta lettura della norma impugnata convince del fatto che il legislatore regionale non ha inteso né ampliare la nozione di caccia fissata nella legge-quadro statale, né variare l'elenco dei mezzi destinati alla caccia di cui alla stessa legge, bensì soltanto definire, nell'ambito della materia venatoria affidata alla sua competenza concorrente, una nuova fattispecie di illecito amministrativo che viene aggiunta all'elenco degli illeciti amministrativi di cui all'art. 31 della legge n. 968 e sanzionata per relationem, mediante il richiamo alla sanzione prevista dalla legge statale per una fattispecie diversa. Del resto, che la volontà del legislatore regionale, nel porre la norma impugnata, fosse diretta non tanto a estendere la nozione di caccia quanto a introdurre una nuova e diversa ipotesi di illecito amministrativo, risulta dimostrato - come rileva lo stesso giudice a quo - anche dalla presenza, nella stessa legge regionale, di una norma quale quella espressa nell'art. 61, sesto comma, lettera f), dove l'addestramento del cane nei periodi non consentiti va incontro ad una sanzione molto più lieve di quella prevista dall'art. 31, lettera c), della legge statale per l'esercizio della caccia negli stessi periodi.

La norma regionale di cui è causa si sottrae, pertanto, alla censura proposta, dal momento che - come questa Corte ha costantemente affermato (v. sentt. n. 21 del 1957; n. 72 del 1977; n. 62 del 1979; nn. 97 e 192 del 1987; nn. 729 e 1034 del 1988), - il legislatore regionale, nelle materie di propria competenza, può definire e sanzionare, nel rispetto dei principi fondamentali posti dal legislatore nazionale, gli illeciti di natura amministrativa, anche in aggiunta o a specificazione di quanto prescritto dalla legge statale.

Nella specie, nessun dubbio può sussistere né in ordine al fatto che l' "addestramento dei cani", in quanto attività strumentale all'esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia "caccia" di cui all'art. 117 della Costituzione, né in ordine alla rispondenza del nuovo illecito sanzionato dalla legge regionale alle finalità protezioniste perseguite, in linea preminente, dalla legge-quadro statale.

Dal che l'infondatezza della questione proposta.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 61, comma primo, lettera d), della legge della Regione Emilia-Romagna 15 maggio 1987, n. 20 (Organizzazione del territorio nella regione Emilia-Romagna ai fini della protezione della fauna selvatica e per l'esercizio controllato della caccia. Norme di adeguamento alla legge statale 27 dicembre 1977, n. 968. Abrogazione delle leggi regionali 16 agosto 1978, n. 431, 17 agosto 1978, n. 33, 6 marzo 1980, n. 14 e loro successive modifiche ed integrazioni), in riferimento all'art. 117 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Parma con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1991.