SENTENZA N. 126
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Prof. Giuseppe BORZELLINO “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 4 aprile 1990 dalla Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, sul ricorso proposto da Previti Luigi, iscritta al n. 684 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1990;
Visto l'atto di costituzione di Previti Luigi, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 26 febbraio 1991 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;
Udito l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - La Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, con ordinanza emessa il 4 aprile 1990, ha sollevato di ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 per la parte in cui ha stabilito la imprescrittibilità del diritto al trattamento di quiescenza dei lavoratori pubblici dipendenti, consentendo l'impugnabilità in sede giurisdizionale dei relativi provvedimenti amministrativi senza limiti di tempo, diversamente da quanto stabilito nella stessa materia dagli artt. 58 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, per tutti gli altri lavoratori.
Decidendo sul ricorso presentato da un soldato in congedo (classe 1927) avverso decreto del Ministero della difesa con cui era stata respinta la domanda di pensione privilegiata per non dipendenza da causa di servizio dell'infermità denunciata, il giudice rimettente accoglie l'eccezione, sollevata dal Vice procuratore generale, di intempestività del ricorso, che ne precluderebbe l'esame nel merito, essendo trascorsi ben ventitré anni tra la notifica del decreto impugnato (avvenuta in data 16 giugno 1958) e il deposito del ricorso (avvenuto in data 29 luglio 1981). L'inerzia dell'interessato, da interpretare come implicita acquiescenza al disposto di predetto decreto, sarebbe incompatibile con la volontà d'impugnare il decreto medesimo, manifestata allorché era trascorso non solo il termine di decadenza di novanta giorni di cui all'art. 63 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, ma anche il termine decennale di prescrizione previsto dall'art. 2946 del codice civile.
Secondo il giudice a quo, la sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 14 gennaio 1976, con cui era stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 63 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, ha inteso dare a tutti i ricorrenti la stessa possibilità di fruire del termine decennale di prescrizione in luogo del più breve termine di decadenza di novanta giorni, non più giustificato sul piano della razionalità. Peraltro, prosegue il giudice rimettente, il richiamo, contenuto nella citata decisione della Corte costituzionale, all'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 - a termini del quale "il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, non si perde per prescrizione" - ha fatto sì che alla Corte dei conti si affermasse un indirizzo giurisprudenziale per cui si è ritenuto insussistente un termine per la proposizione dei ricorsi in materia di pensione ordinaria.
Ritiene pertanto il giudice a quo di condividere il dubbio dell'organo requirente sull'ammissibilità del ricorso, in quanto sostanziale è la differenza tra il diritto al trattamento di quiescenza normale (art. 42 e segg. del d.P.R. n. 1092 del 1973) e il diritto al trattamento privilegiato e quello spettante ai soldati di leva in particolare - rivendicato dal ricorrente nel caso di specie (art. 64 e segg. del d.P.R. n. 1092 del 1973) - che, "in quanto tabellare, non ha natura retributiva ma risarcitoria, per cui il relativo provvedimento amministrativo non è di carattere paritetico ma autoritativo": infatti, nel primo caso, il riconoscimento del diritto consegue solo al raggiungimento di una prestabilita anzianità di servizio, nel secondo caso consegue occasionalmente al verificarsi di fatti lesivi per cui, "mentre nel primo caso appare pertinente il riferimento alla imprescrittibilità del diritto, allorché sia venuto ad esistenza, non altrettanto appare nel secondo caso, allorché sia stata negata l'esistenza del diritto". A ciò si aggiunga - prosegue il giudice rimettente - che, per quanto riguarda la stessa materia che interessa tutti gli altri lavoratori le cui prestazioni pensionistiche sono affidate all'I.N.P.S., le decisioni di quest'ultimo sono impugnabili in sede giudiziaria entro il termine decennale (art. 58 della legge n. 153 del 1969, confermato dall'art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970).
In tal modo, mentre il diritto a pensione dei pubblici dipendenti è imprescrittibile e i relativi provvedimenti amministrativi sono impugnabili avanti alla Corte dei conti senza limiti di tempo, lo stesso diritto di tutti gli altri lavoratori risulta prescrittibile e i relativi provvedimenti amministrativi sono impugnabili nel termine di dieci anni: il che evidenzia una disparità di trattamento non conforme al dettato degli artt. 3 e 38 della Costituzione che, statuendo il diritto dei lavoratori ad un adeguato trattamento di pensione ordinaria (per vecchiaia) o privilegiata (invalidità) in condizioni di eguaglianza, "ragionevolmente non consentono la sussistenza della rilevata disparità che (.. .. ..) appare conseguente soltanto ad un difetto di coordinamento della normativa vigente in materia".
2. - In una memoria presentata per la parte privata, la difesa, dopo aver eccepito la incompetenza del giudice rimettente, che avrebbe dovuto trasmettere il ricorso alla Sezione giurisdizionale di Palermo, essendo il ricorrente residente in Palermo (e non essendo stata emessa pronuncia interlocutoria presso la competente Sezione centrale della Corte dei conti: cfr. Corte costituzionale sentenza n. 270 del 1988), eccepisce la nullità ( sic) dell'ordinanza di rimessione e, nel merito, la infondatezza della stessa alla luce della giurisprudenza di questa Corte in materia di imprescrittibilità del diritto a pensione.
3. - Intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato ricorda anzitutto come la Corte dei conti, mutando la sua giurisprudenza, si era dapprima orientata nel senso di includere il diritto a pensione, sia normale che privilegiata, fra quelli indisponibili e di considerarlo quindi imprescrittibile; tale orientamento venne in seguito codificato dall'art. 5 del d.P.R. 1092 del 1973. Con la sentenza n. 8 del 1976, la Corte costituzionale dichiarò poi l'illegittimità delle previsioni, relative a vari settori del pubblico impiego, che stabilivano termini brevi di decadenza per la proposizione di ricorsi in materia pensionistica. Pertanto la norma impugnata s'inserisce perfettamente, secondo l'Avvocatura, nella più ampia ed effettiva garanzia del principio costituzionale ex art. 38 della Costituzione di cui rappresenta non violazione ma piena attuazione.
Quanto al preteso contrasto con l'art. 3 della Costituzione - ricorda l'Avvocatura - la Corte costituzionale ha espressamente sottolineato come la pensione privilegiata non abbia connotati risarcitori o di indennità, ma si ricolleghi essenzialmente, al pari del normale trattamento di quiescenza, al pregresso rapporto di dipendenza e sia integrativo, quando non sostitutivo, di quello ordinario (sentenza n. 151 del 15 luglio 1981). Semmai, prosegue l'Avvocatura, la questione mirante ad istituire, un regime diversificato in tema di prescrittibilità del diritto a pensione - ordinaria da un lato e privilegiata dall'altro - si pone in contrasto col principio di eguaglianza che risulterebbe violato dall'accoglimento della questione, venendosi ad istituire, per situazioni omogenee, un regime difforme.
Per quanto riguarda, infine, il rapporto con la normativa I.N.P.S., l'Avvocatura, rilevata l'eterogeneità (pubblico e privato) dei settori di riferimento, sottolinea che il principio ex art. 3 della Costituzione è impropriamente invocato, poiché, semmai, a creare dubbi di disparità dovrebbero essere le disposizioni assunte a raffronto che nel giudizio a quo non vengono in considerazione.
L'Avvocatura conclude quindi chiedendo che venga dichiarata l'infondatezza della questione.
Considerato in diritto
1. - La Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, con ordinanza del 4 aprile 1990 (R.O. n. 684 del 1990), solleva, con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), "per la parte in cui ha stabilito la imprescrittibilità del diritto al trattamento di quiescenza dei lavoratori pubblici dipendenti e conseguentemente ha consentito la impugnabilità in sede giurisdizionale dei relativi provvedimenti amministrativi senza limiti di tempo, in difformità a quanto stabilito nella stessa materia dagli artt. 58 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, per tutti gli altri lavoratori".
In particolare, il giudice rimettente rileva l'irrazionalità della denunziata normativa con riferimento al trattamento privilegiato spettante ai soldati di leva, il quale non consegue - come la pensione ordinaria - al raggiungimento di una determinata anzianità, ma deriva dall'occasionale verificarsi di fatti lesivi, derivanti dall'adempimento di obblighi di servizio.
2. - La questione è infondata.
La norma impugnata è la legificazione di un orientamento giurisprudenziale della stessa Corte dei conti, che includeva il diritto sia alla pensione ordinaria sia a quella privilegiata tra i diritti indisponibili e imprescrittibili.
La singolarità del caso di specie - ricorso depositato ventitré anni dopo la notifica di decreto che respingeva domanda di pensione privilegiata presentata da soldato di leva in congedo, per non dipendenza da causa di servizio della denunciata infermità - non presenta alcuna anomalia rilevante ai fini della verifica di costituzionalità della norma impugnata.
Come questa Corte ha statuito (sentenza n. 151 del 1981) sia la pensione normale sia quella privilegiata hanno per necessario e comune presupposto un rapporto di impiego o di servizio, il che è decisivo connotato della loro unitaria natura.
Non si può pertanto argomentare per una imprescrittibilità pertinente o ragionevole del diritto alla pensione normale, e non altrettanto pertinente o ragionevole del diritto alla pensione privilegiata, sol perché nell'un caso il diritto viene ad esistenza col raggiungimento di una prestabilita anzianità di servizio, nel secondo con l'accertamento medico-legale e conseguente valutazione autoritativa dell'Amministrazione, che potrebbero negare l'esistenza del diritto vantato.
L'identità della natura retributiva e il comune presupposto del rapporto di dipendenza caratterizzano l'unicità della figura del diritto al trattamento pensionistico sia normale sia privilegiato, il che non può non riflettersi nella unitaria garanzia sostanziale e processuale della imprescrittibilità.
3. - Il giudice a quo rileva che per le prestazioni pensionistiche affidate all'Istituto nazionale della previdenza sociale il termine per impugnare in sede giudiziaria le decisioni dell'Istituto è di dieci anni ( ex art. 58 della legge n. 153 del 1969, confermato dall'art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970).
Sembra al giudice a quo che l'imprescrittibilità del diritto a pensione dei lavoratori dipendenti pubblici sia in contrasto col principio di eguaglianza di cui all'art. 3 e - data la specialità della materia - all'art. 38 della Costituzione, rispetto alla prescrizione decennale dell'eguale diritto di tutti gli altri lavoratori.
La comparazione non può essere istituita tra norme che non hanno lo stesso oggetto: quella impugnata prevede la non prescrittibilità del diritto sostanziale mentre le altre due, impropriamente confrontate, stabiliscono il termine di decadenza per l'impugnativa in giudizio dei provvedimenti dell' I.N.P.S.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione quarta giurisdizionale, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 26 marzo 1991.