SENTENZA N. 8
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Dott. Luigi OGGIONI, Presidente
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 63 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 (testo unico delle leggi sulla Corte dei conti); dell'art 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 (regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti); e dell'art. 60 del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680 (ordinamento della cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 21 novembre 1972 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Venturi Mirzia contro il Ministero dei trasporti e dell'aviazione civile, iscritta al n 447 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35 del 6 febbraio 1974;
2) ordinanza emessa il 12 aprile 1973 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Cervone Arcangelo contro la Direzione generale degli Istituti di previdenza, iscritta al n. 126 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 15 maggio 1974.
Visto l'atto di costituzione di Cervone Arcangelo;
udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1975 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;
uditi gli avvocati Giovanni Cassandro e Aurelio Schwarzenberg, per il Cervone.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento relativo al ricorso di Venturi Mirzia, la Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, con ordinanza emessa il 21 novembre 1972, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 63 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e 72 del regolamento di procedura per i giudizi dinanzi alla stessa Corte, approvato con r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, nella parte in cui statuiscono, per la proposizione dei ricorsi in materia di trattamento di quiescenza, un termine perentorio di 90 giorni dalla data di comunicazione o notificazione del provvedimento impugnato.
Preliminarmente l'ordinanza di rimessione pone in rilievo l'origine storica dell'istituto della decadenza per la proposizione dei ricorsi giurisdizionali e il collegamento tra la previsione del termine di decadenza e la struttura originaria di procedimento di appello del processo in materia di pensioni dinanzi alla Corte dei conti.
Osserva poi l'ordinanza che, se il diritto alla pensione, come non si dubita, costituisce un vero e proprio diritto soggettivo di natura patrimoniale, il provvedimento amministrativo che dispone in proposito non si pone come atto autoritativo, costitutivo del diritto stesso, ma assume la chiara natura di atto accertativo e ricognitivo di tale diritto, in base ai presupposti fissati dalla legge.
A conforto di questa interpretazione, la Corte dei conti richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato che, nell'ambito della propria giurisdizione esclusiva, concernente il diritto allo stipendio e, in alcune materie, anche quello alla pensione, dei pubblici dipendenti, da tempo ha affermato che il ricorso giurisdizionale, proposto contro il provvedimento relativo, non soggiace all'ordinario termine di decadenza per la impugnazione degli atti amministrativi, ma, riguardando la sussistenza dì un diritto patrimoniale del dipendente, può essere proposto entro il termine di prescrizione relativo a tale diritto, ove esso vi sia sottoposto.
Pertanto, il giudice a quo ritiene che la previsione di un termine di decadenza nel giudizio in materia di pensioni si risolve, per i dipendenti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, in una rilevantissima disparità di trattamento, non solo nei confronti dei lavoratori dipendenti privati per i quali l'azione giudiziaria, volta a conseguire i diritti di quiescenza non é assoggettata ad alcuna decadenza, ma anche degli stessi dipendenti pubblici, in quella parte della materia pensionistica sottoposta alla giurisdizione del Consiglio di Stato. In conseguenza, le norme impugnate violerebbero l'art. 3 della Costituzione, sotto l'aspetto della evidente discriminazione che l'istituto processuale della decadenza opererebbe in concreto nell'ambito della tutela giurisdizionale dell'identico diritto a pensione tra le indicate categorie di soggetti.
Le stesse disposizioni poi, in quanto comprimerebbero l'esercizio dell'azione e della tutela giudiziaria di un diritto patrimoniale vantato da una vasta categoria di cittadini nei confronti della amministrazione, sarebbero in contrasto con gli artt. 24, primo comma, e 113 della Costituzione.
Infine, in considerazione della natura di retribuzione differita del diritto a pensione e del principio di socialità e solidarietà che caratterizza tale diritto, il giudice a quo deduce la violazione degli artt. 36, primo comma, e 38, primo e secondo comma, della Costituzione.
L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata e pubblicata.
Nel giudizio dinanzi alla Corte nessuna delle parti si é costituita né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
2. - In termini sostanzialmente analoghi la stessa questione di legittimità costituzionale é stata riproposta dalla Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, con ordinanza 12 aprile 1973, emessa nel procedimento relativo al ricorso promosso da Cervone Arcangelo contro il Direttore generale degli Istituti di previdenza.
In questa ordinanza, il giudice a quo, oltre ad impugnare i citati artt. 63 del t.u. n. 1214 del 1934 e 72 del r.d. n. 1038 del 1933, deduce anche la illegittimità, per gli stessi motivi inerenti alla perentorietà del termine, dell'art. 60 dell'ordinamento, approvato con r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali.
Inoltre, la illegittimità delle norme denunciate é prospettata non solo dal punto di vista della perentorietà, ma anche sotto il profilo della incongruità del termine di novanta giorni che, in considerazione del rilevante valore sociale riconosciuto al diritto pensionistico, sarebbe lesivo del diritto di difesa tutelato dagli artt. 24 e 113 della Costituzione.
Anche questa ordinanza é stata notificata, comunicata e pubblicata ai sensi di legge.
In questo giudizio si é costituito dinanzi alla Corte il Cervone che, con deduzioni del 24 gennaio 1974, chiede che le disposizioni impugnate vengano dichiarate costituzionalmente illegittime.
All'udienza di discussione la parte costituita ha ulteriormente illustrato le proprie deduzioni scritte.
Considerato in diritto
1. - Poiché le ordinanze di rimessione sollevano la stessa questione di costituzionalità, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - La Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale pensioni civili, propone questione di legittimità costituzionale degli artt. 63, primo comma, del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214; 72 del regolamento di procedura per i giudizi dinanzi alla stessa Corte approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038; e 60 dell'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli Enti locali, approvato con r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, "nella parte in cui statuiscono, per l'utile proposizione dei ricorsi contro provvedimenti amministrativi di concessione o di diniego di pensione, di assegno o di indennità, un termine perentorio di novanta giorni dalla data di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato".
Secondo il giudice a quo, le norme denunziate, che stabiliscono tale termine di decadenza per l'impugnazione di un provvedimento concernente un diritto, per altro non soggetto a prescrizione, sarebbero in contrasto con gli artt. 3, 24, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 113, della Costituzione.
3. - La questione é fondata.
Occorre premettere che il diritto a pensione dei pubblici dipendenti va collocato nel più ampio quadro delle prestazioni patrimoniali a carico dell'Amministrazione e da essa corrisposte in base alla legge sia a titolo di remunerazione del servizio prestato dall'impiegato, sia, dopo la cessazione dal servizio, come corresponsione periodica e vitalizia di una somma di danaro. Tali prestazioni, che sono oggetto di un diritto soggettivo di natura patrimoniale, trovano nel nostro ordinamento tutela giurisdizionale dinanzi agli organi di giustizia amministrativa, (tribunali amministrativi regionali e Consiglio di Stato) per quanto concerne il diritto allo stipendio (ma, in determinati casi, anche alla pensione) e dinanzi alla Corte dei conti, per quanto riguarda il diritto alla pensione e agli altri assegni di quiescenza (art. 103, primo e secondo comma, Cost.).
É noto che per i diritti che, come quelli in esame, sono devoluti alla sua giurisdizione esclusiva dall'art. 29 del t.u. approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, il Consiglio di Stato ha, da tempo, elaborato una giurisprudenza, ormai fermamente consolidata, la quale ha escluso che, per la proposizione di ricorsi contro provvedimenti che non hanno causa nell'esercizio di una potestà autoritativa, possa valere il termine di decadenza di sessanta giorni, stabilito in via generale dall'art. 36 del citato t.u.
Il Consiglio di Stato ha motivato il suo orientamento facendo riferimento sia alla natura del provvedimento amministrativo in tema di questioni patrimoniali dei pubblici dipendenti che, essendo di carattere così detto paritetico e non autoritativo, ha per oggetto diritti soggettivi e non interessi legittimi; sia all'oggetto stesso della controversia in sede giurisdizionale, che non é limitata all'esame della legittimità del provvedimento amministrativo, ma si estende al rapporto controverso e quindi a tutti i presupposti del diritto soggettivo in questione.
4. - I principi così elaborati si attagliano perfettamente alle controversie relative al trattamento di quiescenza, riservate alla giurisdizione della Corte dei conti. Anche in questo caso, oggetto del giudizio é un diritto soggettivo patrimoniale, rispetto al quale il provvedimento amministrativo, che lo riconosce o lo esclude, é privo di ogni carattere autoritativo, perché si limita ad accertare i presupposti stabiliti dalla legge, in ordine sia alla spettanza del diritto al detto trattamento, sia alla determinazione del suo ammontare.
Donde la conseguenza che non esistono, in rapporto a un provvedimento siffatto, quelle esigenze che legittimano la previsione di un breve termine di decadenza per l'impugnazione, invece, dei provvedimenti autoritativi.
Nella prassi giurisprudenziale, del resto, il giudizio che si instaura a seguito del ricorso, pur avendo formalmente carattere di giudizio d'impugnazione di un provvedimento amministrativo, sostanzialmente é volto all'accertamento del diritto a pensione attraverso un indagine che comprende tutti gli elementi del diritto medesimo.
5. - Alla stregua delle considerazioni che precedono, le norme che, nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione dei pubblici dipendenti, prescrivono, per la presentazione dei ricorsi, il termine di novanta giorni decorrenti dalla data della comunicazione o notificazione del provvedimento di concessione o di rifiuto della pensione, dell'assegno o dell'indennità, si presentano prive di ogni giustificazione sul piano della razionalità e, in quanto determinano, con riferimento a situazioni tra loro assimilabili, una rilevante disparità di trattamento, risultano in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Ed invero, la antica previsione di un breve termine di decadenza (risalente alla legge 26 luglio 1869, n. 4516) per la tutela del diritto a pensione, ritenuto già imprescrittibile dalla giurisprudenza della Corte dei conti e oggi espressamente dichiarato tale dalla legge (art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.ce, se può trovare la sua spiegazione nella antica struttura del giudizio pensionistico e nelle concezioni del legislatore dell'epoca, non appare più consona al riconoscimento dei diritti che, nell'ambito del pubblico impiego, attraverso una lenta ma sicura evoluzione giurisprudenziale e legislativa dell'istituto, sono stati riconosciuti ai dipendenti della pubblica Amministrazione.
D'altra parte, non é chi non veda come non sussista più alcuna ragione per differenziare, dal punto di vista della sua tutela, i diritti patrimoniali nascenti in costanza del rapporto di impiego pubblico, da quelli che invece sorgono dalla cessazione dal servizio e che attengono al trattamento di quiescenza del dipendente, specie se si considera che i principi giuridici affermati con riferimento a tutti i provvedimenti non autoritativi relativi alle situazioni patrimoniali dei dipendenti pubblici non possono trovare una differente applicazione in ragione della distribuzione della giurisdizione tra il tribunale amministrativo regionale e il Consiglio di Stato da una parte e la Corte dei conti dall'altra.
Dalla accertata violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, consegue che deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale degli artt. 63 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, e 60 del r.d. 3 marzo 1938, n. 680, nella parte in cui stabiliscono il termine perentorio di novanta giorni per la presentazione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al trattamento di quiescenza. Ed é appena il caso di precisare che il termine assegnato al Procuratore generale per il deposito del ricorso, quando egli ricorra in via principale, ai sensi dell'articolo 76 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, avendo diverso fondamento e differenti finalità rispetto a quello denunciato dalla ordinanza di rimessione, non viene travolto dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale contenuta nella presente decisione.
6. - A seguito della dichiarazione di illegittimità delle norme impugnate, vengono dichiarati assorbiti gli altri motivi di censura proposti dalle ordinanze di rinvio.
7. - In conseguenza della pronuncia di incostituzionalità delle norme denunciate, va dichiarata d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità delle seguenti altre disposizioni, nella parte in cui prevedono lo stesso termine di decadenza di novanta giorni per la proposizione dei ricorsi dinanzi alla Corte dei conti, e cioè:
1) l'art. 22, secondo comma, del r.d. 22 aprile 1909, n. 229;
2) l'art. 24, secondo comma, del r.d.l. 27 novembre 1919, n. 2373, convertito nella legge 7 aprile 1921, n. 369;
3) l'art. 49 del r.d. 12 luglio 1934, n. 2312;
4) l'art. 54, primo comma, della legge 6 luglio 1939, n. 1035;
5) l'art. 63, primo comma, della legge 6 febbraio 1941, n. 176, in quanto richiamata dall'art. 6 della legge 11 aprile 1955, n. 379;
6) l'art. 59, primo comma, della legge 25 luglio 1941, n. 934;
7) l'art. 90, primo comma, del d.P.R. 5 giugno 1952, n. 656;
8) l'art. 29, secondo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 699.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 63 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, e 60 del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, nella parte in cui prescrivono, per la proposizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla data di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato;
b) dichiara altresì, d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e negli stessi limiti, la illegittimità costituzionale delle disposizioni di cui ai seguenti articoli:
1) art. 22, secondo comma, del r.d. 22 aprile 1909, n. 229, sulle pensioni del personale delle ferrovie dello Stato;
2) art. 24, secondo comma, del r.d.l. 27 novembre 1919, n. 2373, convertito nella legge 7 aprile 1921, n. 369, che migliora il trattamento di quiescenza del personale delle ferrovie dello Stato;
3) art. 49 del r.d. 12 luglio 1934, n. 2312, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli ufficiali giudiziari;
4) art. 54, primo comma, della legge 6 luglio 1939, n. 1035, sul regolamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai sanitari;
5) art. 63, primo comma, della legge 6 febbraio 1941, n. 176, sull'ordinamento del Monte-pensioni per gli insegnanti elementari, in quanto richiamata dall'art. 6 della legge 11 aprile 1955, n. 379;
6) art. 59, primo comma, della legge 25 luglio 1941, n. 934, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai salariati degli Enti locali;
7) art. 90, primo comma, del d.P.R. 5 giugno 1952, n. 656, sulle disposizioni in materia di ricevitorie postali e telegrafiche, agenzie, collettorie e servizi di portalettere rurali;
8) art. 29, secondo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 699, sulla disciplina dell'Ente Fondo trattamento quiescenza al personale del lotto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1976.
Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 15 gennaio 1976.