SENTENZA N.294
ANNO 1990
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco SAJA,Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Umbria riapprovata il 26 febbraio 1980 dal Consiglio regionale avente per oggetto: <Ulteriore modificazione ed integrazione (nota alla voce n. l della tariffa allegata) della legge regionale 28 maggio 1980, n. 57, Nuova disciplina delle tasse sulle concessioni regionali> promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 15 marzo 1990, depositato in cancelleria il 22 marzo successivo ed iscritto al n. 19 del registro ricorsi 1990.
Visto l'atto di costituzione della Regione Umbria;
udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore Enzo Cheli;
uditi l'Avvocato dello Stato Giorgio d'Amato, per il ricorrente, e l'avv. Lorenzo Migliorini per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato il 15 marzo 1990 il Presidente del Consiglio dei ministri chiede che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Umbria, riapprovata il 26 febbraio 1990, recante "Ulteriore modificazione ed integrazione (nota alla voce n. 1 della tariffa allegata) della legge regionale 28 maggio 1980 n. 57, "Nuova disciplina delle tasse sulle concessioni regionali", in relazione all'art. 119 Cost., nonchè all'art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 ed all'undicesimo comma della nota alla voce n. 15 - titolo IV - della tariffa delle tasse sulle concessioni governative annessa al T.U. approvato con d.P.R. 1° marzo 1961 n. 121.
Nel ricorso si premette che la legge della Regione Umbria 28 maggio 1980 n. 57, recante la disciplina delle tasse sulle concessioni regionali, stabiliva, al comma nono della nota alla voce n. 1 del Titolo I della tariffa allegata, l'esenzione dal pagamento della tassa di concessione per l'apertura e l'esercizio di farmacie limitatamente alle "farmacie gestite in Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti, i cui titolari godano dell'indennità di residenza stabilita dall'art. 115 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 e successive modifiche".
Successivamente, con la legge regionale impugnata, la Regione Umbria ha esteso l'esenzione dalla tassa di concessione regionale alla totalità delle farmacie beneficiarie dell'indennità di residenza, sopprimendo l'inciso "gestite in Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti" contenuto nella richiamata nota della tariffa allegata alla legge regionale n. 57 del 1980.
Sostiene il Presidente del Consiglio che, con la disposizione impugnata, la Regione si sarebbe svincolata dal parametro di riferimento costituito dalla disciplina statale delle tasse di concessione per l'apertura e l'esercizio di farmacie, estendendo il regime di esenzione di questo tributo oltre i limiti fissati dal legislatore statale nel comma undicesimo della nota alla voce n. 15 - titolo IV - della tariffa annessa al T.U. approvato con d.P.R. lo marzo 1961, n. 121. La disposizione regionale impugnata, anzichè risultare attuativa della disciplina statale ai sensi dell'art. 119 Cost., verrebbe pertanto a spezzare la corrispondenza - imposta dall'art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 - tra gli atti imponibili adottati dalle Regioni e quelli già di competenza dello Stato assoggettati alle tasse sulle concessioni governative, ai sensi della legislazione statale vigente al momento del trasferimento. Inoltre, la modificazione dei limiti dell'esenzione tributaria inciderebbe sui presupposti e sulla configurazione del tributo, che l'art. 119 Cost. vuole riservati alla competenza del legislatore statale.
Di qui l'impugnativa della legge con riferimento ai profili richiamati.
2.- Nel giudizio si é costituita la Regione Umbria, al fine di sostenere l'infondatezza della questione.
Secondo la Regione tale infondatezza deriverebbe dal fatto che il parametro rappresentato dalla tariffa annessa al T.U. approvato con d.P.R. n. 121 del 1961 non sarebbe più in vigore in quanto le disposizioni di tale Usto unico sarebbero state espressamente abrogate dall'art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, contenente la nuova disciplina sulle tasse e concessioni governative Una riprova di tale abrogazione potrebbe essere individuata anche nel fatto che la nuova tariffa allegata al d.P.R. n. 641 del 1972 non riproduce la norma già contenuta nel d.P.R. n. 121 del 1961.
E Poichè, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il limite alla potestà delle Regioni di stabilire la misura delle tasse di concessione é Posto in relazione alle concessioni concernenti le sole attività indicate nella tariffa allegata alla normativa statale, nel caso di specie detto limite non potrebbe dirsi varcato in quanto, a seguito della abrogazione del TU. approvato con il d.P.R. n. 121 del 1961, non esisterebbe più una tariffa specifica in materia di tasse per l'apertura e l'esercizio di farmacie.
Considerato in diritto
1. -Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la legge della Regione Umbria, riapprovata il 26 febbraio 1990, recante <Ulteriore modificazione ed integrazione (nota alla voce n. 1 della tariffa allegata) della legge regionale 28 maggio 1980 n. 57 - Nuova disciplina delle tasse sulle concessioni regionali>, legge che ha modificato-ampliandola- l'area di esenzione dalla tassa di concessione regionale per l'apertura e l'esercizio di farmacie.
La legge regionale impugnata - sopprimendo le parole <gestite in Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti> nel comma nono della nota alla voce n. 1 del Titolo I della tariffa allegata alla citata legge n. 57 del 1980-ha infatti esteso l'esenzione dal suddetto tributo alla totalità delle farmacie beneficiarie dell'indennità di residenza. Così disponendo il legislatore regionale avrebbe, peraltro, indebitamente esteso il regime di esenzione della tassa di concessione regionale oltre i limiti fissati dal legislatore statale nel comma undicesimo della nota alla voce n. 15-Titolo IV-della tariffa delle tasse sulle concessioni governative annessa al T. U. approvato con d.P.R. 1° marzo 1961, n. 121. La norma impugnata avrebbe pertanto alterato la corrispondenza della normativa regionale alle norme di legislazione statale invariata voluta dall'art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, che - in materia di tasse sulle concessioni regionali-detta le <forme> ed i <limiti> di esercizio della potestà normativa regionale ai sensi dell'art. 119 Cost.
Di qui l'asserito contrasto della legge impugnata con l'art. 119 Cost., nonchè con l'art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281 e con l'undicesimo comma della nota alla voce n. 15 - Titolo IV - della tariffa delle tasse sulle concessioni governative annessa al T. U. approvato con d.P.R. 1° marzo 1961, n. 121.
La Regione, dal canto suo, sostiene che, nella fattispecie, non esisterebbe più un parametro normativo statale cui la legislazione regionale debba uniformarsi: e ciò in quanto le disposizioni del d.P.R. 1° marzo 1961, n. 121 sarebbero state espressamente abrogate dall'art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.
641, recante la nuova disciplina delle tasse sulle concessioni governative.
2. - La questione è fondata.
Essa ripropone il tema, più volte affrontato nella giurisprudenza costituzionale, del contenuto e dei limiti della potestà normativa spettante in materia tributaria alle Regioni a statuto ordinario. (cfr. sent. n. 321 del 1989; nn. 203 e 214 del 1987; nn. 271 e 272 del 1986).
Questa Corte, in ordine a tale tema, ha già evidenziato come l'autonomia legislativa regionale in materia tributaria, configurandosi quale aspetto o specie dell'autonomia finanziaria, trovi la sua specifica fonte di disciplina nell'art. 119 Cost., dove tale autonomia viene riconosciuta alle Regioni ordinarie <nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica>: dal che l'esigenza, ripetutamente sottolineata, che la legge statale, oltre a precedere l'intervento regionale, sia tale da delimitare gli spazi operativi delle Regioni tanto in ordine al tipo del tributo, nella sua configurazione e nei suoi elementi, quanto in ordine al momento quantitativo dell'imposizione tributaria.
Ed è appunto nel dettato dell'art. 119, primo comma, Cost. che trova il suo fondamento l'art. 3 della legge n. 281 del 1970, norma che identifica tipologia e limiti delle tasse sulle concessioni regionali, sancendo, da un lato, la regola della necessaria corrispondenza fra gli atti imponibili regionali e quelli già di competenza dello Stato assoggettati alle tasse sulle concessioni governative e, dall'altro, i limiti dell'ammontare delle tasse regionali (limiti successivamente modificati dalla legge 23 novembre 1979, n. 594 e dal decreto legge 28 febbraio 1983, n. 55 convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 1983, n. 131).
Con riguardo alla fattispecie in esame va osservato che la legge regionale ha dettato una nuova disciplina del regime di esenzione dalla tassa sulla concessione regionale per l'apertura e l'esercizio di farmacie, ridisegnando uno degli elementi del tributo (e cioé l'area impositiva) in termini diversi e più ristretti rispetto a quelli in passato previsti, per la tassa sulla <corrispondente> concessione governativa, dal d.P.R. 1° marzo 1961, n. 121. Risultano infatti sottratti alla sfera di applicazione del tributo regionale atti sin qui oggetto di tassazione da parte della Regione in quanto ricompresi nell'originario schema della tassa sulla concessione governativa per l'apertura e l'esercizio di farmacie, quali le concessioni con ferite a titolari di esercizi gestiti in Comuni con popolazione superiore ai 5000 abitanti, ove siano stati ammessi al beneficio dell'indennità di residenza.
Ma la mutata sfera di applicazione del tributo regionale rende la tassa in questione strutturalmente difforme dal modello costituito dalla tassa sulla concessione governativa per l'apertura e l'esercizio di farmacie di cui alla tariffa allegata al d.P.R. n. 121 del 1961. Non può dirsi, di conseguenza, rispettata la regola di corrispondenza della normativa regionale alla legislazione statale invariata sancita dall'art. 3 della legge n. 281 del 1970.
E poichè quella regola individua il confine entro il quale può legittimamente esplicarsi la potestà normativa tributaria della Regione in materia di tasse sulle concessioni regionali, la sua violazione finisce per tradursi in una violazione dell'art. 119 Cost.
3. - Al fine di affermare la legittimità della legge impugnata la Regione svolge un'unica tesi difensiva, imperniata sulla asserita inesistenza, nella legislazione statale in vigore, di un parametro di riferimento per la tassa in esame.
Secondo la resistente, infatti, non sarebbe più in vigore il parametro rappresentato dalla tariffa annessa al T.U. approvato con d.P.R. n. 121 del 1961 in quanto tutte le disposizioni di tale Testo unico sarebbero state espressamente abrogate dall'art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, recante la nuova disciplina delle tasse sulle concessioni governative.
Questa argomentazione difensiva risulta, peraltro, infondata alla luce della vicenda relativa al trasferimento delle funzioni amministrative statali alle Regioni ordinarie e della successione delle leggi, statali e regionali, intervenute in materia di tasse sulle concessioni trasferite.
Va innanzitutto ricordato che con il d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 vennero trasferite alle Regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria, comprensive anche delle funzioni riguardanti gli esercizi farmaceutici (art. 1, lett. l, m, n, o). Conseguenza di tale trasferimento fu che gli atti ed i provvedimenti relativi alla materia dell'assistenza farmaceutica, in precedenza soggetti a tassa di concessione governativa, divennero soggetti, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 281 del 1970, a tassa di concessione regionale, in quanto adottati dalla Regione nell'esercizio di proprie funzioni.
Risulta pertanto che all'atto dell'emanazione del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 le concessioni relative all'apertura ed all'esercizio di farmacie costituivano ormai provvedimenti di competenza regionale, suscettibili di sottostare al potere di imposizione tributaria delle stesse Regioni. É quindi del tutto naturale che il legislatore statale, nel dettare, con il citato d.P.R. n. 641 del 1972, una nuova disciplina relativa alle sole tasse sulle concessioni governative, non abbia più richiamato nell'annessa tariffa le voci relative agli atti connessi alle funzioni già trasferite alle Regioni con il decreto delegato n. 4 del 1972 e non abbia, in particolare, adottato alcuna disposizione in tema di tasse sulle concessioni per l'apertura e l'esercizio di farmacie.
La vicenda normativa qui richiamata offre, di conseguenza, una chiara indicazione sulla portata della norma abrogatrice contenuta nell'art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 641 e cioé sul fatto che l'abrogazione in essa disposta-dato anche il tenore letterale della norma-sia venuta ad investire le sole disposizioni del d.P.R. n. 121 del 1961 concernenti le tasse sulle concessioni rimaste governative, senza in alcun modo toccare le norme dello stesso d.P.R. relative alle tasse trasferite alle Regioni. Queste ultime norme sono, pertanto, rimaste in vita al fine di assolvere alla specifica funzione di fungere da presupposto e da parametro per la disciplina regionale relativa alle tasse sulle concessioni trasferite alle Regioni ordinarie.
Puntuali conferme di questa ricostruzione si trovano, del resto, sia nella legislazione statale che in quella regionale.
Da un lato, infatti, l'articolo unico della legge 23 novembre 1979, n. 594 (Adeguamento delle tasse sulle concessioni regionali) designa come oggetto di possibile adeguamento <le tasse sulle concessioni regionali relative alle competenze trasferite alle Regioni con i decreti del Presidente della Repubblica numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del 14 gennaio 1972 e numeri 7, 8, 9, 10 e 11 del 15 gennaio 1972>: con ciò confermando che la trasformazione del tributo da statale a regionale è divenuta operante al momento del trasferimento delle funzioni amministrative, cioè in un'epoca anteriore all'emanazione del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641. Dall'altro lato, le leggi della Regione Umbria che hanno disciplinato le tasse sulle concessioni regionali in data successiva all'entrata in vigore del d. P. R. n. 641 del 1972, hanno seguitato a richiamare, nella tariffa, il d.P.R. n. 121 del 1961, dimostrando così di considerare la normativa contenuta in tale decreto ancora in vigore per le tasse sulle concessioni regionali (cfr. Leggi Regione Umbria 9 agosto 1974, n. 47 e 28 maggio 1980, n. 57).
Le considerazioni sin qui svolte inducono pertanto ad accogliere il ricorso e ad annullare la legge regionale impugnata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Umbria riapprovata il 26 febbraio 1990, recante <Ulteriore modificazione ed integrazione (nota alla voce n. 1 della tariffa allegata) della legge regionale 28 maggio 1980, n. 57 -Nuova disciplina delle tasse sulle concessioni regionali>.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/06/90.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Enzo CHELI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 15/06/90.