SENTENZA N. 214
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 legge Reg. Emilia-Romagna 23 agosto 1979, n. 26 ("Disciplina delle tasse sulle concessioni regionali") in relazione al n. 16 del titolo II della tariffa allegata, promosso con ordinanza emessa il 22 ottobre 1985 dal Tribunale di Bologna nel procedimento civile vertente tra Forestieri Cesare Alberto ed altri contro Regione Emilia-Romagna iscritta al n. 754 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 60/1a s.s. dell'anno 1986;
Visti gli atti di costituzione di Forestieri Cesare Alberto ed altri e della Regione Emilia-Romagna;
Udito nell'udienza pubblica del 18 marzo 1987 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
Udito l'avv. Francesco D'Audino per Forestieri ed altri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio promosso da concessionari di aziende faunistico-venatorie situate nella Regione Emilia-Romagna, per la restituzione delle maggiori somme versate, a titolo di tassa di concessione, rispetto agl'importi massimi determinabili dalla Regione a norma della legge statale 16 marzo 1970, n. 281, il Tribunale di Bologna, con ordinanza 22 ottobre 1985, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della l. reg. dell'Emilia-Romagna 23 agosto 1979, n. 26 in relazione al n. 16, titolo II della tariffa allegata alla legge stessa, nella parte in cui ha stabilito in lire 10.000 per ettaro la tassa di concessione per le aziende faunistico-venatorie.
Nell'ordinanza di rimessione si rileva che la legislazione regionale e l'autonomia finanziaria delle regioni possono esplicarsi - a norma degli artt. 117 e 119 Cost., nonché dell'art. 9 l. 10 febbraio 1953, n. 62 - solo nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. In materia di tasse sulle concessioni regionali, detti limiti sono stati determinati prima dall'art. 3 della l. 16 maggio 1970, n. 281 e poi dalla l. 23 novembre 1979, n. 594. Non avendo l'art. 1 della legge regionale n. 26 del 1979 (e relativa tariffa) rispettato i limiti previsti dalla legislazione statale, esso sarebbe - secondo il giudice a quo - costituzionalmente illegittimo, a nulla rilevando che le tasse in questione riguardino aziende faunistico-venatorie e non riserve di caccia (alle quali ultime soltanto si riferiva espressamente la legislazione statale), tenuto conto che le aziende faunistico-venatorie sono un istituto nuovo e la tassa di concessione su di esse é legata agli stessi presupposti impositivi previsti per le riserve di caccia.
Dinanzi a questa Corte si é costituita la Regione Emilia-Romagna chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, in quanto per le tasse di concessione sulle aziende faunistico-venatorie, non sussisterebbero i limiti impositivi previsti per le riserve di caccia, trattandosi d'istituti diversi.
Si sono costituite pure le parti private che hanno chiesto che la questione sollevata sia dichiarata fondata. Queste ultime hanno insistito nelle loro deduzioni anche con memoria depositata fuori termine.
Considerato in diritto
2. - Il Tribunale di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della l. reg. Emilia-Romagna 23 agosto 1979, n. 26, in relazione al n. 16 del titolo II della tariffa allegata a tale legge, nella parte in cui ha stabilito in lire 10.000 per ettaro la tassa di concessione per le aziende faunistico-venatorie. Ha dedotto in proposito la violazione degli artt. 117 e 119 Cost., avendo la legge regionale ecceduto dai limiti posti dalla Costituzione all'autonomia regionale in materia tributaria, determinando la tassa in questione in misura superiore a quella consentita dall'art. 3 della legge statale 16 maggio 1970, n. 281 nonché, successivamente, dalla legge statale 23 novembre 1979, n. 594.
La questione é fondata.
3. - Invero, l'art. 3 della l. n. 281 del 1970, nel disciplinare i provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario - dopo avere disposto, in materia di tasse sulle concessioni regionali, che esse debbono applicarsi agli atti e provvedimenti adottati dalle regioni nell'esercizio delle loro funzioni e corrispondenti a quelli già di competenza dello Stato assoggettati alle tasse sulle concessioni governative - stabilì che "nella prima applicazione le Regioni determinano l'ammontare della tassa in misura non inferiore all'80 per cento delle corrispondenti tasse erariali. Successive maggiorazioni possono essere disposte ad intervalli non inferiori al quinquennio, nel limite del 20 per cento delle tasse regionali vigenti nel periodo precedente". In seguito l'articolo unico della l. 23 novembre 1979, n. 594 dispose che le regioni a statuto ordinario potessero aumentare le tasse sulle concessioni regionali in misura non superiore al triplo dell'ammontare in vigore al 1ø aprile 1972 e l'art. 25, n. 11, del d.l. 28 febbraio 1983, n. 55 (conv. nella l. 26 aprile 1983, n. 131) stabilì che, a decorrere dal 1984, le regioni potessero disporre nuovi aumenti annuali in misura non superiore al 30% degl'importi determinati per il periodo immediatamente precedente, ovvero in misura eccedente la maggiore percentuale corrispondente alla variazione del costo della vita risultante dai dati pubblicati dall'ISTAT.
La Regione Emilia-Romagna, costituitasi, non contesta che la normativa impugnata, nel determinare le tasse per il rilascio ed il rinnovo delle concessioni in materia di aziende faunistico- venatorie, abbia travalicato i limiti quantitativi stabiliti dalle l. n. 281 del 1970 e n. 594 del 1979, ma sostiene che per le tasse di concessione relative alle aziende faunistico-venatorie, non sussisterebbero i limiti impositivi previsti da dette leggi per le riserve di caccia, trattandosi d'istituti nuovi introdotti dalla l. 27 dicembre 1977, n. 968, recante la nuova legge sulla caccia. Secondo la Regione, dette aziende avrebbero un'autonoma configurazione strutturale e funzionale rispetto alle riserve di caccia, cosicché le relative tasse di concessione sarebbero estranee alla normativa dettata dalle l. n. 281 del 1970 e n. 594 del 1979, essendo diversi i presupposti della imposizione tributaria. Nulla vieterebbe infatti che, in relazione a leggi regionali le quali, nell'ambito dei princìpi della legge quadro n. 968 del 1977, disciplinano differentemente la struttura e le finalità delle aziende rispetto alle riserve, le regioni stabiliscano importi tariffari differenziati. Inoltre, l'art. 24, ultimo comma, della l. n. 968 del 1977, nel prevedere che le concessioni per le aziende faunistico-venatorie siano assoggettate a tasse regionali, non stabilisce alcun limite quantitativo, così eliminando in materia - secondo la regione - quelli in precedenza previsti in relazione alle riserve di caccia.
Tali deduzioni, formulate a sostegno della legittimità della normativa impugnata - non ostante che non abbia rispettato i limiti impositivi stabiliti dalla legislazione statale - vanno disattese.
4. - Invero su tale problematica, questa Corte si é già pronunciata con sentenza 19 dicembre 1986, n. 271, con la quale ha dichiarato - tra l'altro - l'illegittimità costituzionale dell'art. 57 della l. reg. Piemonte 17 ottobre 1979, n. 60, nella parte in cui, eccedendo i limiti determinati dalla legislazione statale, fissava in lire 8.000 per ettaro la tassa per la concessione e l'esercizio delle aziende faunistico-venatorie.
In quella sentenza la Corte ha affermato che sotto l'aspetto tributario le aziende faunistico-venatorie sono pienamente assimilabili alle riserve di caccia, ricorrendo un insieme di elementi comuni ai due istituti. Da un lato, infatti, sussistono nelle aziende, l'interesse faunistico, soprattutto autoctono, e naturalistico (art. 36, quarto comma, l. n. 968 del 1977), lo svolgimento dell'attività venatoria secondo piani di ripopolamento, e di abbattimento della selvaggina; dall'altro, sussistono nelle riserve il requisito del ripopolamento rimesso al concessionario alla stregua delle clausole di concessione, e l'utilizzazione da parte del concessionario stesso della riserva, che può essere anche consorziale.
L'assimilazione delle aziende alle riserve, quanto al trattamento fiscale, trova inoltre riscontri specifici nell'art. 36 della l. n. 968 cit., che conserva in via transitoria le riserve (primo comma) e ne prevede la trasformazione in aziende faunistico-venatorie in caso di rilevante interesse naturalistico-faunistico. Si riconosce così testualmente l'attitudine evolutiva dell'antica figura, nel concorso dei già rilevati elementi caratteristici della nuova e un segno di rilievo in tal senso é offerto dall'art. 1 della l. 16 gennaio 1981, n. 9, che proroga i termini prescritti per la trasformazione delle riserve e ne facilita il compimento. Sussiste, infine, l'accomunamento in una unica omogenea previsione delle aziende faunistiche e delle riserve, entrambe dichiarate "soggette" a tasse regionali dall'art. 24, ultimo comma, della l. n. 968 cit.: norma questa che si riferisce anche ad altre figure (appostamenti fissi, centri di produzione della selvaggina), pure espressione del duplice momento faunistico e venatorio, presente nelle aziende e nelle riserve. Tale articolo - come ha già rilevato la Corte nella citata sentenza - contrariamente a quanto sostiene la Regione, non incide sui limiti riguardanti l'autonomia tributaria regionale in materia. Esso, infatti, si limita a statuire che gli appostamenti fissi, le aziende faunistiche, i centri di produzione di selvaggina e le riserve entro i limiti di cui all'art. 36 (il quale detta disposizioni transitorie in ordine alle riserve destinate ad essere trasformate in aziende faunistico-venatorie) "sono soggetti a tasse regionali". Ma dalla circostanza che nulla dispone circa la misura di tali tasse e i limiti dell'autonomia legislativa regionale al riguardo non può trarsi alcun argomento in favore della tesi sostenuta dalla Regione.
Infatti - in conformità di un corretto criterio di ermeneutica il contenuto precettivo di una norma non può essere esattamente individuato se non esaminandone il disposto nel quadro del sistema in cui viene ad inserirsi. Cosicché l'ultimo comma del citato art. 24 va interpretato alla luce del complesso normativo concernente l'autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario nonché della disciplina specifica in tema di competenze legislative delle Regioni in materia di tasse sulle concessioni regionali.
5. - L'autonomia finanziaria delle regioni a statuto ordinario, trova la sua fonte normativa specifica nell'art. 119 Cost. e l'aspetto di tale autonomia, che interessa qui precisare, concerne l'esistenza e i limiti della potestà normativa spettante in materia tributaria a tale tipo di regioni, configurandosi l'autonomia tributaria come aspetto o specie di quella finanziaria.
Nell'ordinanza di rinvio si fa riferimento anche all'art. 117 Cost., quale norma che stabilisce i limiti dell'autonomia legislativa regionale in materia tributaria. Questa Corte, viceversa, con la citata sentenza n. 271 del 1986, ha precisato che l'autonomia legislativa regionale in materia tributaria é regolata dalla norma specifica dettata dall'art. 119 Cost., il quale prevede che "le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica". Ne deriva che la sottoposizione a "forme" e "limiti stabiliti dalle leggi dello Stato", condiziona largamente il contenuto dell'autonomia normativa tributaria delle Regioni, in quanto il primo termine attiene al tipo del tributo, nella sua configurazione e nei suoi elementi costitutivi, mentre il secondo ha riguardo al momento quantitativo e spetta alle leggi statali la precedenza sull'intervento regionale, perché, in mancanza di una tale iniziativa, non potrebbero preliminarmente delimitarsi gli spazi operativi delle regioni, in conformità del precetto costituzionale che, da un lato, garantisce l'autonomia della regione e dall'altro individua nella legge statale la fonte "necessaria ed obbligata" della disciplina dei predetti spazi. In altri termini in mancanza di una legge statale che attribuisca alla regione un determinato tipo di tributo e delimiti il potere impositivo regionale riguardo ad esso, l'autonomia tributaria regionale non può legittimamente esplicarsi.
In relazione a tale principio lo Stato, nell'attribuire alle Regioni a statuto ordinario come tributi propri le tasse sulle concessioni in materia di caccia, con il citato art. 3 della l. n. 281 del 1970, ha determinato i limiti massimi impositivi stabilendo, con sistema mai disatteso, anche il limite delle maggiorazioni successive (cfr. l. 23 novembre 1979, n. 594 e, da ultimo, art. 25, n. 11, d.l. 28 febbraio 1983, n. 55 convertito, nella l. 26 aprile 1983, n. 131).
In questo quadro si colloca l'ultimo comma dell'art. 24 della l. n. 968 del 1977, cosicché l'interpretazione di tale norma proposta dalla Regione (come attributiva ad essa di piena potestà tributaria in materia di tasse sulle concessioni regionali riguardanti le riserve di caccia e le aziende faunistico-venatorie), oltre ad essere incompatibile con il sistema costituzionale dell'autonomia tributaria regionale sopra delineato, prescinde da ogni coordinamento con il più volte ricordato art. 3 della l. n. 281 del 1970. La persistente piena vigenza di questa norma emerge dalla successiva l. n. 594 del 1979 e, in modo particolarmente efficace, dal d.l. n. 55 del 1983, già ripetutamente menzionato. Nel quadro di tale normativa, l'art. 24, ultimo comma, della l. n. 968 del 1977 si pone come una norma meramente confermativa dell'attribuzione alle Regioni della competenza legislativa nella materia delle suddette tasse di concessione, non incidendo sui limiti quantitativi di esse.
6. - Consegue che, anche in materia di tasse per il rilascio ed il rinnovo di concessioni riguardanti le aziende faunistico-venatorie, le Regioni debbono rispettare i limiti impositivi stabiliti dalla legislazione statale, con la conseguenza che, non avendoli osservati, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della l. reg. Emilia-Romagna 23 agosto 1979, n. 26 e del n. 16, del titolo II dell'allegata tabella, nella parte in cui determinano in lire 10.000 per ettaro la tassa per il rilascio ed il rinnovo di concessioni riguardanti le aziende faunistico-venatorie.
Per la stessa ragione, ai sensi dell'art. 27 della l. 11 marzo 1953, n. 87, va parimenti dichiarata l'illegittimità costituzionale del n. 17 del titolo II della tariffa allegata alla l. reg. dell'Emilia-Romagna 29 dicembre 1980, n. 60, nella parte in cui determina in lire 10.000 per ettaro la tassa e il rinnovo di concessioni riguardanti le aziende faunistico-venatorie.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della l. reg. Emilia-Romagna 23 agosto 1979, n. 26 (Disciplina delle tasse sulle concessioni regionali) e del n. 16 del titolo II dell'allegata tabella, nella parte in cui determina in lire 10.000 per ettaro la tassa per il rilascio ed il rinnovo di concessioni riguardanti le aziende faunistico-venatorie; dichiara, ai sensi dell'art. 27 della l. 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale del n. 17 del titolo II della tariffa allegata alla l. reg. Emilia-Romagna 29 dicembre 1980, n. 60 (Modifica della legge regionale 23 agosto 1979, n. 26, "Disciplina delle tasse sulle concessioni regionale), nella parte in cui determina in lire 10.000 per ettaro la tassa per il rilascio ed il rinnovo di concessioni riguardanti le aziende faunistico-venatorie.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 3 giugno 1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: PESCATORE
Depositata in cancelleria l'8 giugno 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE