ORDINANZA N. 593
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
dott. Francesco SAJA, Presidente
prof. Giovanni CONSO
prof. Ettore GALLO
dott. Aldo CORASANITI
prof. Giuseppe BORZELLINO
dott. Francesco GRECO
prof. Renato DELL'ANDRO
prof. Gabriele PESCATORE
avv. Ugo SPAGNOLI
prof. Francesco Paolo CASAVOLA
prof. Antonio BALDASSARRE
prof. Vincenzo CAIANIELLO
avv. Mauro FERRI
prof. Luigi MENGONI
prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 41- bis del codice di procedura penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1399, introdotto con legge 22 dicembre 1980, n. 879 (Norme sulla connessione e sulla competenza nei procedimenti relativi a magistrati e nei casi di rimessione), e 11, primo e secondo comma, del nuovo codice di procedura penale, approvato con d.P.R. 24 settembre 1988, n. 447, promosso con ordinanza emessa il 3 aprile 1989 dal Giudice Istruttore presso il Tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di Fanton Martino, iscritta al n. 366 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1989;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 16 novembre 1989 il Giudice relatore Francesco Greco;
Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale per calunnia in danno di un sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, il Giudice Istruttore del Tribunale di Bologna, con ordinanza in data 3 aprile 1989, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 41- bis del codice di procedura penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1399, e 11, primo e secondo comma, del nuovo codice di procedura penale, approvato con d.P.R. 24 settembre 1988, n. 447, in riferimento agli artt. 3, 97 e 101 della Costituzione, nella parte in cui dette norme assegnano ad uffici giudiziari (nella specie, Tribunale e Corte d'Appello di Bologna e Firenze) la competenza territoriale reciproca per i procedimenti penali concernenti magistrati ad essi addetti;
che, in particolare, il giudice a quo ha rilevato che, tale essendo il regime della competenza territoriale in materia, può verificarsi che un medesimo magistrato, imputato o persona offesa in un procedimento pendente presso l'altra sede, esplichi, nella propria, funzioni di giudice in un procedimento in cui sia imputato o persona offesa quello stesso collega che esercita o concorre ad esercitare funzioni giudicanti nella sede ove pende il primo di detti procedimenti, con conseguente pericolo di condizionamento psicologico e concreto pregiudizio dell'indipendenza del giudice e dell'imparzialità delle sue decisioni, in violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, di soggezione del giudice stesso soltanto alla legge e di imparzialità nell'esercizio delle pubbliche funzioni;
che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per l'inammissibilità e, comunque, per l'infondatezza della questione;
Considerato che questa Corte ha già affermato che nelle situazioni in cui possa sorgere il dubbio del verificarsi, per i rapporti interpersonali tra giudici, di una turbativa della serenità e imparzialità degli stessi, rientra nella esclusiva competenza del legislatore statuire se ed in quale misura i rapporti che si creano, nell'ambito della organizzazione giudiziaria, tra organo e singoli influiscano sulla determinazione della competenza;
che allo stesso legislatore spetta la determinazione delle soluzioni più idonee a garantire l'indipendenza dei giudici e il prestigio della magistratura;
che le dette scelte, essendo riservate alla discrezionalità del legislatore, sono insindacabili nel giudizio di costituzionalità se non concretano dei meri arbitri (sentenza n. 232 del 1984; ordinanze nn. 285 del 1985, 164 e 165 del 1987, 261 del 1989);
che gli stessi principi trovano applicazione nella questione ora sollevata per la cui soluzione si invoca dal remittente l'intervento additivo della Corte, diretto ad apprestare, in sostituzione di quello vigente, un diverso sistema tra i vari ipotizzabili di scelta del giudice competente;
che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 41- bis del codice di procedura penale approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1399, introdotto con legge 22 dicembre 1980, n. 879 (Norme sulla connessione e sulla competenza nei procedimenti relativi a magistrati e nei casi di rimessione), e 11, primo e secondo comma, del nuovo codice di procedura penale, approvato con d.P.R. 24 settembre 1988, n. 447, in riferimento agli artt. 3, 97 e 101 della Costituzione, sollevata dal Giudice Istruttore presso il Tribunale di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1989.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI .
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1989.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Francesco GRECO, REDATTORE