ORDINANZA N.261
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis del codice di procedura penale, introdotto con la legge 22 dicembre 1980, n. 879 (Norme sulla connessione e sulla competenza nei procedimenti relativi a magistrati e nei casi di rimessione), promosso con ordinanza emessa il 5 aprile 1988 dal Pretore di Trieste nel procedimento penale a carico di Rosario Gianni, iscritta al n. 449 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1988.
Udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1989 il Giudice relatore Francesco Greco.
Ritenuto che il Pretore di Trieste, nel corso di un procedimento penale a carico del Procuratore della Repubblica presso quel Tribunale dei minorenni, con ordinanza del 5 aprile 1988 (R.O. n. 449 del 1988), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 41-bis del codice di procedura penale, nella parte in cui - secondo la costante interpretazione rigorosamente letterale della Corte di cassazione-dispone lo spostamento di competenza solo nell'ipotesi di appartenenza del magistrato imputato od offeso dal reato all'ufficio giudiziario che sarebbe competente a decidere in primo o in secondo grado, con esclusione, quindi, delle situazioni di appartenenza ad altro ufficio giudiziario della medesima sede, o circoscrizione, o distretto;
che, secondo il giudice a quo, tale esclusione contrasterebbe con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto, essendo la ratio della norma censurata, da un lato, quella di tutelare il diritto di difesa del magistrato imputato, dall'altro quella di fornire l'immagine verso l'esterno di terzietà del giudicante, i limiti di applicazione della norma stessa appaiono irrazionalmente ristretti;
che il Pretore si é fatto carico della sentenza n. 232 del 1984, con la quale questa Corte ha già dichiarato inammissibile la questione (prospettata, allora, con riferimento all'ipotesi di reato commesso dal pretore o vicepretore onorario - od in suo danno - allorché tale reato sia di competenza del tribunale nella cui circoscrizione si trovi il mandamento cui il magistrato appartiene);
che, peraltro, egli ha ritenuto di sottoporre alla Corte un nuovo elemento di valutazione, costituito dal nuovo codice di procedura penale all’'epoca dell'ordinanza di rimessione ancora bozza di progetto governativo-, che e nel senso (art. 11) di trasferire la competenza in relazione a tutti i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di imputato o persona offesa dal reato solo che svolga le sue funzioni-o le svolgesse al momento del fatto - nel distretto di cui fa parte l'ufficio giudiziario cui sarebbe attribuita, secondo le regole generali, la competenza a conoscere del reato.
Considerato che, come la Corte ha già osservato nella sentenza n. 232 del 1984 e nelle successive ordinanze nn. 164 e 165 del 1987, rientra nell’esclusiva competenza del legislatore stabilire se ed in quale misura i rapporti che si creano, nell'ambito dell’organizzazione giudiziaria, tra organi e singoli, debbano influire sulla determinazione della competenza, e quali siano le soluzioni più idonee a garantire l'indipendenza del giudizio ed il prestigio della magistratura;
che, pertanto, anche la predisposizione di una nuova norma (nella specie l'art. 11 del nuovo codice di procedura penale, approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447), che risolve in modo diverso il problema della competenza per i procedimenti riguardanti magistrati, e espressione della discrezionalità del legislatore, cui soltanto spetta la valutazione sull’opportunità di effettuare, attraverso il tempo, scelte diverse.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis del codice di procedura penale, introdotto con la legge 22 dicembre 1980, n. 879 (Norme sulla connessione e sulla competenza nei procedimenti relativi a magistrati e nei casi di rimessione), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Trieste con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/05/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 18/05/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Francesco GRECO, REDATTORE