Sentenza n. 390 del 1989

 CONSULTA ONLINE 

 

 

SENTENZA N.390

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge della Regione Toscana 96/1988 riapprovata il 14 febbraio 1989 dal Consiglio regionale, avente per oggetto: <<Norme per l'assegnazione del personale, dei mezzi finanziari per oneri aggiuntivi e dei beni agli Enti locali per l'esercizio delle funzioni delegate>, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 2 marzo 1989, depositato in cancelleria 11 successivo ed iscritto al n. 16 del registro ricorsi 1989.

Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1989 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio, per il ricorrente, e l'avv. Calogero Narese per la regione.

 

Considerato in diritto

 

1.-Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della legge della Regione Toscana (Norme per l'assegnazione del personale, dei mezzi finanziari per oneri aggiuntivi e dei beni agli enti locali per l'esercizio delle funzioni delegate), riapprovata senza modifiche dal Consiglio regionale il 14 febbraio 1989, concernono in particolare gli artt. 2 e 3 della predetta legge.

L'art. 2 é sospettato d'incostituzionalità per violazione del principio di ragionevolezza e di quello del buon andamento dell’amministrazione pubblica regionale (artt. 3, 97, primo comma, e 117 della Costituzione), in quanto, nel determinare l'ammontare di personale da comandare presso gli enti locali per l'esercizio delle funzioni delegate, stabilirebbe un contingente troppo elevato e non giustificato da una preventiva verifica delle effettive necessita funzionali derivanti dall'attribuzione delle deleghe stesse.

L'art. 3, invece, nel regolare le procedure per il trasferimento del personale regionale agli enti delegati consentendo modalità di inquadramento derogatorie rispetto alla disciplina contrattuale, violerebbe tanto il principio del buon andamento dell'amministrazione pubblica regionale (artt. 97, primo comma, e 117 della Costituzione), quanto il principio della parità di trattamento tra il personale suddetto e quello del ruolo regionale (art. 3 della Costituzione).

2. - Vanno innanzitutto respinte le censure sollevate nei confronti degli artt. 2 e 3 della legge impugnata sotto il profilo della violazione del principio della ragionevolezza e di quello del buon andamento dell'amministrazione pubblica regionale (artt. 3, 97, primo comma, e 117 della Costituzione).

E' un punto fermo della giurisprudenza di questa Corte che il giudizio di legittimità costituzionale di una legge che si presume contrastante con i parametri ora indicati non può comportare un esame sul merito o sull'opportunità delle norme impugnate, né tantomeno può implicare una revisione o una riformulazione della ponderazione degli interessi che il legislatore ha compiuto nell'esercizio della sua insindacabile discrezionalità. In tali casi il giudizio di legittimità costituzionale non può consistere che in una valutazione meramente esterna delle scelte legislative, che riguardi la palese arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina denunciata (v., ad esempio, sentt. nn. 123 del 1968, 10 e 16 del 1980, 185 del 1982, 277 del 1983, 1032 e 1130 del 1988).

Del resto, non va neppure dimenticato che la legge regionale, al pari di ogni altro atto avente valore di legge, non esige una motivazione, ne richiede come elemento di validità che le esigenze che intende soddisfare con le proprie disposizioni debbano essere documentate sia sotto il profilo quantitativo sia sotto quello qualitativo.

Posto in questi ristretti limiti, il giudizio sui dubbi di costituzionalità sollevati, sotto i profili indicati, in relazione agli artt. 2 e 3 della legge impugnata non può essere che negativo.

2.1. - In attuazione di quanto disposto dall'art. 6 del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo sindacale per il triennio 1985-87, relativo al comparto del personale degli enti locali), che ha demandato alle leggi regionali la disciplina del trasferimento del personale necessario all'esercizio delle funzioni delegate agli enti locali, nonché di quanto disposto dall'art. 6 della legge regionale 29 dicembre 1987, n. 62, che ha recepito l'accordo sindacale prima ricordato, l'art. 2 della legge impugnata, nel dettare norme volte ad assicurare agli enti locali risorse umane adeguate all'espletamento delle funzioni delegate, ha definito, in sede di prima applicazione, in 2498 posti il contingente numerico complessivo del personale da comandare o trasferito agli enti locali per lo svolgimento delle predette funzioni.

Considerato che attualmente in posizione di comando vi sono 2078 dipendenti del ruolo unico regionale, la relativa maggiorazione non può dirsi frutto di una decisione legislativa arbitraria o palesemente irragionevole, ove si tengano presenti tre elementi di particolare rilievo. Innanzitutto, a seguito dell'entrata in vigore di numerose leggi regionali che hanno delegato a vari enti locali l'esercizio di funzioni amministrative di spettanza regionale, e sostanzialmente mutata la distribuzione del personale fra gli enti delegatari, pur restando fermo il numero complessivo di 2078 unità di personale del ruolo unico regionale in posizione di comando presso gli enti locali. Inoltre, si deve tener presente che la stessa legge impugnata, all'art. 3, secondo comma, prevede che, entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della medesima legge, la Giunta regionale, previo confronto con le organizzazioni sindacali, definisca, nei limiti del contingente complessivo prima indicato, il riequilibrio quantitativo e qualitativo del personale fra le varie qualifiche funzionali, riequilibrio che é espressamente finalizzato alla garanzia della migliore funzionalità delle attività e dei servizi oggetto di delega. Infine, va considerato che, stando alle disposizioni della legge impugnata, dalla destinazione del personale regionale agli enti locali a seguito di comando o di trasferimento non discende un incremento del personale del ruolo unico regionale.

Né va trascurato come elemento di sfondo che, nel dare attuazione all'art. 118, terzo comma, della Costituzione e all'art. 64 del proprio Statuto, i quali esigono che le funzioni amministrative regionali siano normalmente esercitate mediante delega alle Province, ai Comuni e agli altri enti locali, la Regione Toscana ha comparativamente dato particolare sviluppo a tale modalità organizzativa.

2.2. -Per le ragioni ora accennate non può considerarsi viziato di manifesta irragionevolezza, ne appare contrario al buon andamento dell'amministrazione regionale, l'art. 3 della legge impugnata, il quale contiene una deroga rispetto alla disciplina contrattuale nazionale recepita dall'art. 6 del d.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, in quanto conferisce un beneficio non previsto nella suddetta disciplina a favore del personale in posizione di comando che intende transitare nei ruoli degli enti locali.

Premesso che, ai sensi dell'art. 10 u.c. della legge 29 marzo 1983, n. 93, come modificato a seguito della sentenza n. 219 del 1984 di questa Corte, dall'art. 2 della legge 8 agosto 1985, n. 426, la legge regionale che recepisce nel proprio ordinamento la disciplina contenuta nell'accordo nazionale può introdurre, entro i limiti delle disponibilità finanziarie appositamente stanziate dal bilancio regionale, gli opportuni adeguamenti della normativa recepita alle peculiarità dell'ordinamento degli uffici regionali e degli enti pubblici dipendenti dalla regione, non può apparire irrazionale che il legislatore regionale stabilisca una disciplina derogatoria rispetto a quella nazionale in considerazione del particolare sviluppo in Toscana del settore delle funzioni amministrative delegate agli enti infraregionali.

Del resto, nel disporre che, ove i posti non risultino ricoperti al termine del riequilibrio quantitativo e qualitativo, questi sono messi a concorso tra il personale in posizione di comando appartenente alle qualifiche funzionali immediatamente inferiori a quelle cui si riferisce il concorso stesso e nel prevedere, pertanto, l'incentivo di un passaggio alla qualifica superiore non prefigurato dal contratto nazionale, l'art. 3 non contempla una concessione automatica del beneficio, ma subordina espressamente tale passaggio al superamento di un concorso per titoli e per esame, ancorché riservato.

Né, infine, va trascurata la circostanza che anche nella legislazione statale i procedimenti relativi alla mobilità del personale sono sovente accompagnati dalla previsione di incentivi rappresentati da benefici di carriera o da vantaggi economici (v. art. 8, quarto comma, del decreto del Ministro per la funzione pubblica 2 marzo 1989, nonché già art. 68 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748).

3. - Del pari infondata e la censura mossa all'art. 3 per la dedotta violazione del principio di parità di trattamento (art. 3 della Costituzione).

L'infondatezza del dubbio relativo alla presunta disparità di trattamento che si creerebbe tra il personale comandato che può beneficiare dei concorsi riservati e il restante personale regionale discende dal semplice rilievo che la dedotta disparità riguarda categorie non omogenee e non comparabili.

La differenza di trattamento, infatti, discende dal superamento di concorsi pubblici, al termine dei quali i vincitori sono trasferiti nei ruoli degli enti delegati. In conseguenza di ciò, costoro vengono a trovarsi in una posizione non comparabile con quella relativa ai dipendenti inseriti nel ruolo unico regionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 della legge della Regione Toscana (Norme per l'assegnazione del personale, dei mezzi finanziari per oneri aggiuntivi e dei beni agli Enti locali per l'esercizio delle funzioni delegate), riapprovata il 14 febbraio 1989, in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, e 117 della Costituzione, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/07/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 11/07/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE